Quid novi?

Giovanni Muzzarelli 3


X Di M. Giovan Mozzarello14 Aura soave, che sì dolcemente Lusinghi l’aere, e tra l’erbette e i fiori Dolce scherzando accogli i molli odori, E poi gli spargi sì soavemente, O verde prato, o bel rivo corrente, Grato rifugio a gli amorosi ardori, Che già le mie speranze e i miei timori Sì pietosi ascoltaste e sì sovente, Al tristo suon, ch’ognor tra voi s’udiva, Posi eterno silenzio: e può ben tanto Nostro voler, pur che ragion il tempre. Ma se ben più di lei non piango e canto, Non sia però che ’l cor non ami sempre Questo fresco, quest’erba e questa riva. 15Occhi vaghi, amorosi, ove risplende Quanto di luce e di beato ardore, Inspirando il superno alto Fattore, Da tutto il terzo ciel fra noi discende,Occhi soavi e cari, in cui raccende D’infiammato desio, d’eterno onore, Sua vivace facella il santo Amore, Onde sì dolcemente il cor m’incende,Occhi leggiadri, ond’io mi sento ognora Traffiger l’alma a più di mille strali Senza mai di rimedio aver conforto,Occhi, del vero Amor raggi immortali, Cui porta invidia il sol, cui il mondo onora, Voi, voi dolci occhi, voi m’avete morto. 16O bella man, che ’l fren del carro tieni Quando Amor col trionfo a Cipri torna, Man bianca, man leggiadra, mano adorna, Che l’aureo scettro suo reggi e mantieni,Man, che ignuda del guanto rassereni Mia mente afflitta, ove sempre soggiorna L’imagin tua, ch’ogni altra mano scorna E muove invidia a quei begli occhi ameni,Man cara, man soave, mano eguale A neve e avorio, man, con che disserra Amor suo arco e suo dorato strale,Man, che l’acerbe piaghe che ’l cor serra Mitighi e addolci, e sei di forza tale Che sola mi puoi dar e pace e guerra. 17Ahi perché non correggi L’empia mia donna, Amor, di te rubella, Che fa nel regno tuo sì dure leggi ? Questa nostra nemica altera e bella Dubbiosa ed iniquissima mercede Spesso propone al mio servir con fede, E dice: "Amico, eleggi, O senza speme sospirar mai sempre Ed essermi più caro, O per gioir un dì, non sperar mai Di trar tutto il tuo tempo altro che guai". E tu comporti, Amore, Che meschi nel tuo mel cotanto amaro E le dolcezze tue così distempre ? Ma s’ancor vive in te qualche valore, Sciegli fra molte a prova una saetta E fa’ del danno mio giusta vendetta. 18Terreno Giove, a cui l’alto governo Ha posto in mano il Re de l’universo, E commesso del ciel ambe le chiavi Per alzar l’almo ufficio a quanta puote Gloria maggiore e chiaro pregio eterno, E mutando in tranquillo il tempo adverso A le piaghe d’Italia acerbe e gravi Medico dar che risanar la possa, E col primo valor più larga dote Tornar d’antichi onori Che d’opre elette il secol nostro infiori, Io parlo a voi, che rallegrata e scossa Di lunga doglia nostra vita avete E la paura d’ogni mal rimossa, Poi che sete poggiato a quella altezza Che voi fate maggior, la cui grandezza Non è minor del mondo che reggete; E prego sostenete Che le molte speranze e l’allegrezza, C’ha di voi preso ognuno a parte a parte, Qual io mi sia, ragioni in queste carte. Come dopo sonante atra tempesta, Tosto che ’l sol si scopre e cessa il vento Ch’avea commosso mar largo e profondo, La gente afflitta ad adorar s’atterra E fa di sua salute insieme festa, Dipinta il volto ancor d’umil spavento, Così dapoi che si racheta il mondo Al romor sol di così gran novella, Ch’era turbato e pien d’odio e di guerra, Per tutto omai si gode E ciascun lieto a Dio ne rende lode, Uscito fuor di così ria procella. Io che d’ogn’altro ho via maggior diletto Lo vo mostrando in atto ed in favella, Che ’l gran piacer, che a dir di ciò m’invoglia, Fa senza voce risonar la voglia, Traendo a forza in fin di mezzo il petto Or uno or altro detto. E perché maggior frutti anco sen coglia, E la mia gioia d’ogni parte versi, Legan se stesse le parole in versi. Tutto il nostro felice almo paese, Quantunque l’Alpi e ’l mar cingono intorno E parte il re d’i monti alto Appennino, D’elci e di faggi il petto orrido e ’l volto, Poi ch’è stato ver lui tanto cortese Che fatto l’ha di voi ricco ed adorno, Stanco de i strazii il suo forte destino, Più d’ogn’altro umilmente il ciel ringrazia, Che ’l suo lungo travaglio ha in pace vòlto, Sì lieto che non sente La pena onde gran tempo è sì dolente O l’empie man d’alcun ch’ancor lo strazia, Né molto andrà de le sue spoglie altero. E prega e spera apo cotanta grazia Che ’l commune disnor sproni ed incenda L’animo vostro, e sdegno tal ne prenda Ch’a l’Oriente omai volga il pensiero Per ricovrar l’impero, Sì che ’l nome di Cristo si difenda, Ed a quel popol timido e fugace, Con breve guerra, acquisti eterna pace. Dunque pien de l’ardir c’ha sì infiammati Gli animi a guerra ed inondar più volte Fatto di sangue i nostri dolci campi, Or tien l’onor del vostro ufficio a bada, Lo stuol movete de’ diversi armati, Sì che le fiamme e quinci e quindi accolte Faccian l’incendio onde Babel avampi. Che pur dianzi una parte da se stessa Solea aver per voi cinta la spada, L’altra convien che inchine L’animo a voi dopo molte ruine, Che d’ogni sdegno suo la cagion cessa, E sol manca a fornir sì dura lite Che vostra voglia a lor si mostri espressa. Roma, che a ciò sol mira e non è cosa Che non speri da voi lieta e gioiosa, Co i primi preghi suoi par che vi invite Ad opre alte e gradite, E di inimica a Dio gente ritrosa Attenda sol trionfi il Tebro, e brama Dar parte ad Arno ancor de la sua fama. Da l’altra parte le diverse genti Che vede il mar dove entra la Danoia, L’Eufrate e ’l Nilo, e quel gran vecchio stanco Che fa colonna al ciel de le sue membra, Treman già tutte, e d’ira ed odio ardenti Fanno a sé danno assai sovente e noia Co i proprii ferri, onde a se stesse il fianco, A voi d’eterna fama apron la via. E non fu mai, per quant’uom si rimembra, Più laude e men fatica A trar da lor la nostra gloria antica, E ’n stato por la prima monarchia Portando ovunque il sol scalda la ’nsegna Del figliuol glorioso di Maria, Come or per indrizzar l’imperio umano Ch’al maggior uopo il fren pigliaste in mano, E far come a voi sol par si convegna L’impresa altera e degna, E ’l mondo ritornar libero e sano, Qual è sì ’nfermo e d’ogni parte oppresso, Non altrui seguitando che voi stesso. Sopra cotante e sì diverse prove, Note a ciascun, del vostro almo valore Nostre speranze son fondate e salde, Che certezza di sé ferma ne danno. Quel petto che fortuna unqua non move E dove regna sol disio d’onore, Ch’a bell’opre lo ’nfiammi non pur scalde, E l’animo ch’odiar viltate suole Più che la morte e non curar affanno, Di virtù vero amante, Con l’altre sue eccellenze altere e sante Ove son basse tutte le parole, Son de’ nostri desir chiari ed onesti E d’ogni ben prime radici e sole. Re de le stelle immenso, e tu divina Madre del tuo Fattor, sacra Reina, Che sempre in cor nostra salute avesti, Lasciate almen che questi Sostegna il secol già posto in ruina. Vostro desio d’ornarvi il ciel sì tempre, Che non abbiam ognun a piagner sempre. Canzon, se sopra il Vaticano andrai, Ove alberga il Pastor del grande ovile, Gente molta e devota ivi vedrai Adorar un signor cortese e pio; Basciali umil i piedi e digli ch’io Vorrei la gloria sua da Battro a Tile Portar con altro stile, Se ’l valor fosse tal qual è il desio; Pur se nol sprezza, ch’al suo nome sacro La voce, e i versi miei purgo e consacro.Giovanni MuzzarelliDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)