Quid novi?

Luigi Carrer


Il Leone di San Marco aveva da pochi anni imbellemente raccolto il volo di quelle dorate ali che dall' Adriache sponde eransi nel prisco tempo gloriosamente spiegate sull' ora contrastato Eusino, sull' incantata città di Costantino, su Cipro e su Candia, quando nel 1801 nasceva framezzo le sue lagune dalla fortuna abbandonate Luigi Carrer. La sua fanciullezza trascorse fra le folte selve ed i ridenti poggi della magnifica terra cui fanno splendida scena le azzurre balze dello scosceso Cadorre, la verdeggiante vallata di Quero, il rapido corso dell' argentea Piave. Là circondato da quella natura in un silenziosa ed animata nudrì lo spirito alle misteriose ispirazioni che, frutto della solitudine e della contemplazione, male si rivelano nelle popolose città o fra le mura di un collegio. E il carme suonò ispirato sulle labbra di Luigi Carrer perchè moveva da un cuore puro come i ruscelli delle patrie colline. Essendo a Venezia dove l'improvvisare di alcune tragedie lo avea fatto noto ai cultori delle lettere che ancora serbavano ricordanza di Foscolo, si diede a severi studii piegando la giovine Musa ad una scuola veramente più ecclettica che romantica, la quale sulle traccie del Jonio poeta incedendo, signoreggiava e tuttavia signoreggia nel campo letterario d' Italia. E di questa sua predilezione per quella forma di poetare dava saggio nella Fidanzata di Messina; mentre poi nel Canto il Libano e nelle sue Canzoni e nei Sonetti mostrò come di fondo fosse maestro negli studii classici, additando libera via e raccogliendo così in suo viaggio fiori da tutte scuole, se belli. Eletto nel 1830 supplente alla cattedra di filosofia nella Università di Padova, lo studio delle severe discipline non valse a staccarlo dall' arpa giovanile, che anzi in quel tempo pubblicò le Odi, i Sonetti, le Ballate, poesie piene d' affetto e d' immagini meste e gentili quanto le memorie delle cento sue isole, quanto i fiori del natio suo lido. È nella Poesia dei Secoli Cristiani ove campeggia precipuamente l' intelletto del veneziano poeta, il quale avrebbe certamente spiegato sublime il volo del patrio amore se la tirannide dell' Austria non rendesse mute le libere fantasie degli Italici bardi. Luigi Carrer era uomo di sensi generosi, l'assenza dei quali rende vano, se non dannoso, l'ufficio del Poeta; e questi sensi gli furono sempre guida, sia che col Gondoliere si facesse giornalista, colla Vita di Foscolo, colla Piccola morale, e col' Anello di sette gemme, si rendesse maestro di virtù e narratore immaginoso del glorioso passato della sua patria. Ritornato un raggio di libertà a benedire la fronte del Leone alato, Carrer salutò con entusiasmo l' alba dello sperato risorgimento.Testimonio delle forti pugne combattute in quelle nobili lagune s'accingeva forse a guisa degli antichi Bardi, a cantarle, quando stremata di forze, vinta dalla fame e dalla peste, Venezia cadeva ultimo baluardo dell' Italiana libertà. Il vessillo giallo e nero fu visto sventolare più insolente sotto gli atrii del Palazzo dei Dogi, ed a Manin, a Tommaseo, a Mengaldo e ad ogni più nobile figlio della caduta città la via dell' esilio fu amaramente tracciata. Lo spettacolo miserando della patria preparò forse all'Adriaco Vate l'ultima ora di sua vita, la quale suonò nel seguente anno aggravatrice di quel grande infortunio.La visioneAppiè d' un'ampia scala,In chiuso manto avvolta,Bianco a veder com' alaTesté dal fianco toltaDi giovin cigno, apparvemiIncognita beltà.Apparvemi tra il graveSopor di notte estiva ;La vision soaveL' intenta alma rapivaNell' infocato palpitoDella mia prima età.La man le porgo, e: Cara,Dirle pareami incerto,Il nome tuo m' impara,Fammi il tuo riso aperto ;0 sii tu donna od angelo.Parla,t'adorerò.Parte di te mi svelaLa vivida pupilla,Che per la bianca telaCom' astro in ciel sfavilla ;E un nome il cor mi mormora,Ma proferir nol so.Tace; e la man mi stende,E in essa il cerchio auratoTestimonianza rendeDel volto ancor celato.Sei desso! Oh fido indizio!Il cor non mi menti.Troppa è la gioia! AppressoLa mano al labbro ansante,E si vel tengo impresso,Ch' ivi lo spirto erranteTutto par voglia accogliersiPoiché dal cor fuggì.Sorgi, l' indugio è molto,Quindi parlarmi udia,E nel levar del voltoUn paradiso apriaAlla mia vista il candidoManto caduto al pie.Sull'innocente visoScorrean le brune anella;Raggianti eran nel risoGli occhi e la bocca bella,Che tali più non riseroCome in queill' ora a me.Seco la scala ascesi,Né delle membra il pondoPunto gravarmi intesi.Era un salir giocondo,Come le zolle a premereDi florido sentier.A sommo giunti: Siedi,Diceami; ed io: Deh! tecoRestarne mi concedi.Qui teco, sempre. - Oh cieco!(L'altra proruppe)immobileFra noi sorge il Dover.Ma, ti conforta, ancoraVedermi t' è concesso;Ancor potrai brev' oraSederti a me da pressoE favellarmi, e molcereL'acerbo tuo destin.E allor sovra l'ardenteMia guancia errar le chiomeSentia soavementeDell' amor mio, siccomeFoglie olezzanti e rorideDel gelo mattutin;Ed alitar un lieveSpirto su' labbri miei....Oh vita! E perchè un breveSospir d' amor non sei?Ah ! tutto il resto è tedio,Oltraggio e vanità.E un sogno sol fu questo?Misero! E a me da cantoPiù non ti trovo? E, desto,Ti cerco invan tra il pianto?Né a me più colle tenebreQuel gaudio tornerà?Vagheggerò solingoLe stelle a te pensando.Per erme vie ramingo,Crederò udirti quandoDa lungo udrò di tibiaUn dolce lamentar.Ma se mi torni innante,Oh! pel desio, pel duoloMio lungo, anco un istante,Prego, un istante soloQuel dolce riso arridimiChe l'ombre mi mostrar.Tratto da:I Poeti Italiani Selections from the Italian Poets forming an historical view of the development of Italian Poetry from the earliest times to the present. With Biographical notices by Charles Arrivabene Deputy Professor of the Italian Language and Literature in the London University College. London: P. Rolandi - Dulau & C, 1855