Quid novi?

Rime eteree 11-20


XII freddi e muti pesci avezzi omaiad arder sono, ed a parlar d' amore,e tu Nettuno, e tu Anfitrite or saicome rara bellezza allacci un core,da che 'n voi lieto spiega i dolci raiil Sol che fu di queste sponde onore:il chiaro Sol, cui più devete assaich' a l' altro uscito del sen vostro fuore.Ché quegli ingrato, a cui non ben sovienecom' è da voi cortesemente accolto,v' invola il meglio, e lascia il salso e 'l greve.Ma questi con le luci alme e serenev' affina, e purga e rende il dolce e 'l lieve,e molto più vi dà che non v' è tolto.XIIErbe felici, che già in sorte avestedi vento in vece, e di temprato sole,il raggio di duo luci accorte oneste,e l' aura di dolcissime parole;che già dal bianco piè presse cresceste,e qualor più la terra arsa si duole,pronta a scemar il vostro ardor vedestela bella man, che i cori accender suole;ben sete dono aventuroso e grato,ond' addolcisco il molto amaro, e sazioil digiuno amoroso a pieno i' rendo.Già novo Glauco in ampio mar mi spaziod' immensa gioia, e 'l mio mortale statoposto in oblio, divina forma i' prendo.XIIIPoi che madonna sdegnafuor d' ogni suo costumevolger in me de' suoi begli occhi il sole,qualch' arte, Amor, m' insegna,ond' io del vago lumealcun bel raggio ascosamente invole,e gli occhi egri console.Né giusto fia che teco ella se 'n doglia:ché se furommi il core,fia 'l mio furto minorequando in dolce vendetta un guardo i' toglia.XIVAmor l' alma m' allacciadi dolci aspre catene:né mi doglio io perciò, ma ben l' accusoche mi leghi ed affrenela lingua, acciò ch' io tacciaanzi a madonna timido e confuso,e 'n mia ragion deluso.Sciogli pietoso Amorela lingua, e se non vuoiche mi stringa un sol men de' lacci tuoi,tanti n' aggiungi in quella vece al core.XVAura, ch' or quinci intorno scherzi, e volefra 'l verde crin de' mirti e de gli allori,a destando ne' prati i vaghi fioricon dolce furto un caro odor n' invole;deh se pietoso spirto in te mai suolesvegliarsi, lascia i tuoi lascivi errori,e colà drizza l' ali, ove Licoristampa in riva del Po gigli e viole.E nel tuo molle sen questi sospirireca, e queste querele alte amoroselà 've già prima i miei pensier n' andaro.Potrai poi quivi a le vermiglie roseinvolar di sue labra odor più caro,e riportarlo in cibo a' miei desiri.XVIChi di non pure fiamme acceso ha 'l core,e lor ministra esca terrena immonda,chiuda l' incendio in parte ima e profonda,sì che favilla non n' appaia fuore.Ma chi infiammato d' un celeste ardored' ogni macchia mortal si purga e monda,ragion non è che 'l nobil foco ascondachiuso nel sen: né tu 'l consenti, Amore.Ché s' altri (tua mercé) s' affina e terge,vuoi che 'l mondo il conosca, e ch 'indi imparequanto in virtù di duo begli occhi puoi.E s' alcun pur il cela, insieme i tuoipiù degni fatti in cieco oblio sommerge,e de l' alte tue glorie invido appare.XVIIVedrò da gli anni in mia vendetta ancorafar di queste bellezze alte rapine;vedrò starsi negletto il bianco crine,ch' ora l' arte e l' etate increspa e 'ndora;e 'n su le rose, ond' ella il viso infiora,sparger il verno poi nevi e pruine:così 'l fasto e l' orgoglio avrà pur finedi costei, ch' odia più chi più l' onora.Sol rimarranno allor di sua bellezzapenitenza e dolor, mirando sparsisuoi pregi, e farne il Tempo a sé trofei.E forse fia ch' ov' or mi sdegna e sprezza,poi brami accolta dentro a' versi mieiquasi in rogo Fenice rinovarsi.XVIIIQuando avran queste luci e queste chiomeperduto l' oro e le faville ardenti,e di tua beltà l' arme or sì pungentisaran dal tempo rintuzzate e dome;fresche vedrai le piaghe mie, né comein te le fiamme, in me gli ardori spenti,e rinovando gli amorosi accentirischiarerò la voce al tuo bel nome;e quasi in specchio, che 'l difetto emendede gli anni, ti fian mostre entro a' miei carmile tue bellezze in nulla parte offese.Fia noto allor ch' a lo spuntar de l' armipiaga non sana, e ch' esca un foco apprendeche vive quando spento è chi l' accese.XIXQuando vedrò nel verno il crine sparsoaver di neve e di pruine algenti,e 'l seren de' miei dì lieti e ridenticol fior de gli anni miei fuggito e sparso;non sarò punto al tuo bel nome scarsode le mie lodi e de gli usati accentiné da gel de l' età fiano in me spentiquegli incendi amorosi, ond' or son arso.Anz' io, ch' or sembro augel palustre e roco,cigno parrò lungo il tuo nobil fiume,che già l' ore di morte abbia vicine.E quasi fiamma, che vigore e lumene l' estremo riprenda anzi 'l suo fine,risplenderà più chiaro il mio bel foco.XXChi chiuder brama a' pensier vil il coreapra in voi gli occhi, e i doni in mille sparsiuniti in voi contempli, e 'n lui crearsisentirà nove voglie e novo amore.Ma se scender nel seno estremo ardoresente da' lumi di pietà sì scarsi,non s' arretri o difenda, ove in ritrarsinon è salute o in far difesa onore.Anzi, sì come già vergini sacrenobil fiamma nutrir, tal egli sempreesca rinovi al suo vivace foco:ché dolcezze soffrendo amare ed acre,e quasi Alcide ardendo a poco a pococangerà, fatto Dio, natura e tempre.Torquato Tasso