Quid novi?

Francesco Maria Molza


XVIDi M. Francesco Maria Molza 1 Dormiva Amor entro ’l bel seno accolto De la mia donna sonno dolce e queto, Quando le guancie e ’l caro sguardo e lieto Sentì cangiarsi, e sé dal gioir tolto; E di faville armato e ’n foco avvolto, Volando a parte onde mai sempre mieto Pace e dolcezza, e ’l gran desir acqueto, Repente se l’offerse a mezzo ’l volto; E quanto di vergogna avea nel core Acceso il casto e pellegrino affetto, Tanto con le sue mani ei vi dipinse: A me scese per l’ossa un dolce ardore Sì ratto che mai ’l ciel da’ nembi infetto Non corse balenar sì presto o cinse.2Né mai racemi ne l’estivo ardore Colorì ’l sole in sì vezzoso aspetto, Né da’ bei pomi a piegar ramo astretto Sì vago mise e sì natio colore,Né di rose i bei crin cinta mai fuore Portò l’Aurora dì chiaro ed eletto, Né giunse onor a fino avorio schietto D’Africa e Tiro prezioso umore,Né stella seguì mai purpurea face Allor che ’l ciel cadendo a basso fiede, Né girò ’l volto Primavera intorno,Né vaghezza fu mai, ch’ad alma pace Simile apporti a quella che al cor riede Membrando il variar del viso adorno.3L’atto avante avrò sempre in che onestade Somma refulse, e ’l bel cortese giro Per cui, se ’n donne atti leggiadri i’ miro, Sogno mi sembra e fumo ogni beltade.Ma perché a questa poi o ad altra etade Ridir non posso (che troppo alto aspiro), Meco sovente e con Amor m’adiro, Sì trovo a i bei desiri erte le strade.Allegro in vista dimostrossi il cielo E prese qualità dal bel rossore Che ’l mio sole in quel punto avea sì adornoPer fregiarne se stesso, allor che fuore Fra la rugiada a noi si scuopre e ’l gielo La bella Aurora, e ne rimena ’l giorno.4SCIPIO, che lunge dal tuo patrio lido L’antiche mura del figliuol di Marte Riverente contempli a parte a parte, Che belle rivedere ancor mi fido,Se cosa eguale al gran publico grido Brami trovar, c’hai letto in tante carte, Là donde Amor giamai non si diparte, Mira de l’alma mia fenice il nido.So che dirai, solo ch’uno atto avante Di lei ti rechi, o ’n bel sembiante altero Rida ella o pensi, e ’n ciò se stessa segua:"Quanto i termini già produsse inante Roma del grande ed onorato Impero, Tanto costei con suo’ begli occhi adegua".5CARO, che quanto scopre il nostro polo Spiegate per lo ciel sì larghi i vanni Ch’ogni acuto veder par che s’appanni, Che dietro s’assicuri al vostro volo,Poiché ’l viso che tanto onoro e colo Ornar mi vietan duri e lunghi affanni, Voi con l’inchiostro, onde a la morte inganni Fatto più volte avete unico e solo,Cantate la divina alma beltate Di lei c’ho sempre inanzi, ond’ella goda Accolta dentro a più leggiadro stile.A le calde mie voglie ed infiammate Assai fia degna ed onorata loda Se desto a cantar voi, cigno gentile.6Il cangiar dolce del celeste viso, Ove Amor rivelò casto e pudico L’ultimo sforzo, e di viltà nimico D’ogni basso pensier mostrò diviso,Chiari ne fe’ sì come in Paradiso L’un l’altro onora e con sembiante amico Apre ciò che ’l cor chiude, e nol ridico Mai ch’io non tremi di pietà conquiso.Cotal fra bei ligustri vergognosa Espero mira da i superni chiostri Aprir ben nata e leggiadretta rosa,Né più risplende, per ch’altri l’inostri, Candido avorio. In somma fu ben cosa Degna, saggio signor, de gli occhi vostri.7Qual vago fior, che sottil pioggia ingombra E d’umor cuopre rugiadoso e lieve, Riluce allor che parte ’l giorno breve E ’l caldo il ghiaccio alle campagne sgombra,Cotale ’l mio pensier madonna adombra Sotto abito che poco o nulla aggreve Coprir gigli, ligustri, oro, ostro e neve, E far con atti schifi a se stesso ombra.Bagnava ’l ciel le piaggie d’ogni ’ntorno Sparse di color mille e di viole, Ch’incontro i raggi de i bei lumi aperse;Ma rose non però scorse in quel giorno Simili a quelle che ’l cor brama e cole, Né fior altrove sì leggiadro asperse.8Alma Fenice, che dal sacro nido Al ciel v’alzate con sì salde penne Che quanto con Atlante Ercol sostenne Empite di famoso e chiaro grido,Mentre ch’Amor, in cui poco mi fido, Quel ch’a gli anni miglior più si convenne, Per ch’io vi segua ’l cor par che m’impenne Da questo nostro ad ogni estremo lido,A me, già volto alla stagion più ria Che i colli imbianca e al gennaio vicino Ch’al fin la vita d’ogni ben dispoglia,Piacciavi in parte agevolar la via Col vostro volo, s’è pur mio destino Ch’io cangi ’l pelo e non l’accesa voglia.9Invido sol, se le due chiare stelle De la nuova cagion de’ miei tormenti Soffrir non puoi, e quei be’ raggi ardenti, Di cui sempre sarà ch’arda e favelle,A che tua forza par che rinovelle E ’n mille guise di turbar ritenti Gli occhi sopra ’l mortal corso lucenti, Te ricoprendo di nubi atre e felle?Ben era di guidar l’aurato carro Più di te degna, e con sembiante umano Il giorno dispensar da quel bel seno.Ma che le conte sue fattezze narro, Se vinto alzando pur l’altr’ier la mano Il ciel lasciasti lor franco e sereno?10Quando fra l’altre donne altera giunge Questa fenice che ’l mio cor possiede, Ove che gli occhi giri o mova ’l piede, Ogn’altrui vista a sé sola congiunge;Né però doglia interna alcuna punge Ch’oscura e senza pregio allor si vede, Anzi benigna e riverente cede, Sì dal nostro uso in tutto si disgiunge.Felice voi, che d’ogni invidia avete I segni disturbati alteramente, Tante ’l ciel grazie in que’ begli occhi pose.A me, cui più d’ogni altro ’l cor ardete, Amor cose discopre a voi presente Che sono al mondo ed alle genti ascose.Francesco Maria MolzaDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)