Quid novi?

Bartolomeo Carlo Piccolomini


XVIIDi M. Bartolomeo Carlo Piccolomini1Poscia ch’a sì leggiadro e chiaro obbietto, Che sembianza non ha di cosa umana, Gli occhi m’hai volti, Amor, che gìano errando Chinati a terra dietro a l’ombra vana De la bellezza, e a vil raggio imperfetto, Quante grazie debbo io render cantando A così larga tua mercede, quando Mi dipinge il pensier quel sacro volto Ch’alzar solo mi puote infino al cielo, Il tenebroso velo Squarciando, che ’l sentier dritto avea tolto ? Porgine aita, alto signore, e insegna Al rozzo stil, che vorria dire in rime Quell’immenso piacer che l’alma sente Per tua cagione, e qual sia il lume ardente De la santa beltà, ch’entro s’imprime Nel cor, mosso da te, perch’a sì degna Scala di gire al primo bello or vegna. Gloria molta ti fia ch’io ’l dica e onori Quella ond’avvien che ’l nome tuo s’adori. Benedetto sia ’l dì che i primi passi Torsi dal rio viaggio e ruppi il nodo Che prigion mi tenea d’empio signore, Quando svelsi del sen l’amaro chiodo Che ’l tenea fisso in pensier duri e bassi: Da la parte del ciel destra l’ardore Del divin foco allor piovve nel core, Ch’io mi svegliai dal sonno egro e mortale Che di notte m’empia le luci e ’l petto. O felice disdetto, Poscia che m’involasti al crudo strale, E mi facesti uscir de l’aspro bosco Che i piedi e ’l collo a i peregrini intrica, E traestimi poi del tristo fiume Che de l’oscura Lete have il costume! O benigno splendore, o stella amica, Che l’aere gravato umido e fosco Da tutto il mio natio bel colle tosco Con aura lieta disgombrasti intorno Nel sopr’ogni altro avventuroso giorno! Questi so’ i raggi del divino Sole In cui mirando la bellezza eterna Stimar si può di quello, e questo il viso Che di quel ben, che in sé la più superna Rota nasconde, a noi dimostrar suole Sì chiari segni ch’io da me diviso Corro a vederli, e provo il paradiso. Queste le chiome son che vincon l’oro Col qual dal terzo ciel Venere splende, Di queste i nodi tende Amor che trae su nel celeste coro I degni spirti. O dolce e caro laccio, Che ’l cor quanto più stringe più discioglie, Quanto da te mi glorio esser avvinto ! Questa è la voce angelica onde vinto Resta ogni altro concento, onde le voglie S’infiamman sì che del mortale impaccio Vorrian spogliarsi. Io per te sola scaccio Ogn’altro suon da le mie orecchie interne, E odir mi fai quaggiù le voci eterne. Pigra giacea nel mondo la virtute Che dal cor nasce e quella che la cima Di noi ritiene, e già l’arbitrio umano In basso volto l’alta strada prima Avea lasciata della sua salute, Ed a fiero costume ed inumano Scendea, di sé facendo il miglior vano, Quando pietà di noi celeste feo Volar in terra l’unica bellezza Che co la sua vaghezza Volgesse altrui dal camin torto e reo, E chiamassene al cielo, al ciel, ch’allora Ch’ella qui nacque le benigne stelle Tutte avea accese con felici aspetti; Ed Eolo intanto i venti avea ristretti Nel cavo speco, e ’l mar le sue procelle Tutte acquetava. Sormontò l’Aurora Più lieta in vista, e l’odorata Flora Sparse il mondo di rose, e Amor la face Santa raccese, ond’or tutto mi sface. Qual pensier sento al suo apparir che l’ombre Discaccia intorno e l’alto lume porge, Mentre accrescermi sento il dolce foco Ch’a l’incendio degli angeli mi scorge E fa che l’alma ogn’altro ardor disgombre ! Quando i passi poi muove ed ogni loco Empie di meraviglia, Amor, qual gioco Nel cor mi versi e qual gloria, se arriva Tra l’altre come sol lucente e vago ! Quanto talor m’appago Vedendo lei per qualche verde riva Che de i fiori più degni allor si copre, Al cantar degli augelli, al suon dell’onde Ch’accompagnan la voce alta e gentile ! Qual più leggiadro ed animoso stile Agguagliar porria il dolce che s’infonde In mezzo a l’alma, e narrar tutte l’opre Ch’ella in me face, e di qual tempre adopre Gli strali Amor, di cui le piaghe sento Al cor profonde gir senza il tormento ! Per voi le dotte Muse e ’l sacro Apollo Sovr’a Pindo e Parnaso ed Elicona M’accolgon lieti a la lor selva e a l’acque, E degni fanno i crin de la corona A cui non dà l’ira di Giove crollo, Da poi ch’agli occhi miei felici piacque L’angelico sembiante, onde al cor nacque Quel gran desio ch’a dir di voi mi mena, Celeste donna, e a far sentire il nome E ’l bel volto e le chiome Scolpite in carte, e l’aurea mia catena Mostrar dove il sol nasce, ove s’inchina, Ne l’Oceano e a l’Orse e a mezzo l’arco Che ne saetta il giorno, e in ogni etade Si senta che la vostra alma beltade Del cielo al secol nostro aperse il varco, Pur che la vista chiara e pellegrina Mi si mostri benigna, e la divina Luce veggia dappresso in dolce stato, Che in un può in terra e in ciel farmi beato. Mentre come per limpido cristallo Si mira in lei dentro al bel corpo l’alma E s’ode il parlar dolce ch’a noi fede Fa del saggio intelletto, ogni aspra salma Lungi disgombra il cor d’ogni rio fallo; E sì col suo valor lo spirto il fiede Che da i rozzi pensier dilunga il piede; E s’amica fortuna ancor lo sguardo Mi fa incontrar di quegli occhi sereni, Del ben ch’è dentro pieni Spirano il santo zelo ond’io tutto ardo, E lasciar fanno le mortali imprese. Vola aura fuor delle sue labbia a noi Che del sepolto foco a mille a mille Visibilmente fuor trae le faville. Ogni vano desir co gli atti suoi, Co l’alte voglie di virtute accese Sparir fa quindi, ove il suo lume accese: Quanto gradir più fate il sommo bene, Poi che per voi, madonna, a lui si viene Onde vostra mercede, o fida scorta Per la strada ch’a Dio mena secura, Per tutti i gradi avvien che lieto poggi, Ch’io miri pria la vostra alma figura Mentre l’anima va da i sensi scorta, Poi l’imagin più bella in seno alloggi, Quindi volando per campagne e poggi In un raccolga le bellezze sparte; E quella poscia a contemplar se stessa E la bellezza espressa Nel puro specchio suo con miglior arte Vegna, ed indi s’innalzi al quinto seggio Ne l’intelletto suo, dove la guardi Non con l’imagin più ma in propria forma; E al fin muovi l’estrema e felice orma Al vero lume eterno ove tutta ardi. Così mi fermo, e quivi assiso veggio La prima mente, e in lei tutte vagheggio Le belle idee ne l’esser più gradito, Solo per voi nel ciel, donna, salito. Canzon, dal nuovo ardor subito nata Che m’ha nel petto miso, e sarà eterno, La bella donna ch’a ben far ne chiama, Vedi che ’l cor non può dir quanto ei brama, E converria, del gran diletto interno E di sì rari effetti, e de l’amata Sopra ogn’altra gentil beltà pregiata: Scusami, che non pur l’uman pensiero, Non che la lingua, tutto aggiugne al vero.Bartolomeo Carlo PiccolominiDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)Lodovico Domenichi, Bartolomeo Carlo Piccolomini, Poeti italiani, Rime diverse di molti..., Secolo XVI, Canzoni