Quid novi?

Giovanni Guidiccioni 2


XXI Di M. Giovanni Guidiccione11Dunque, BUONVISO mio, del nostro seme Debbe i frutti raccor barbara mano, E da le piante coltivate in vano I cari pomi via portarne insieme?Questa madre d’imperi ognora geme (Scolorato il real sembiante umano) Sì larghi danni e ’l suo valor sovrano, La libertate e la perduta speme;E dice: "O Re del ciel, se mai t’accese Giust’ira a raffrenar terreno orgoglio, Or tutte irato le saette spendi.Vendica i miei gran danni e le tue offese, O quanto è ingiusto il mal, grave il cordoglio, Tanto del primo mio vigor mi rendi".12Vera fama fra i tuoi più cari sona Ch’al paese natio passar da quelle Quete contrade, ov’or dimori, e belle (Né spiar so perché) disio ti sprona.Qui sol d’ira e di morte si ragiona, Qui l’alme son d’ogni pietà rubelle, Qui i pianti e i gridi van sovra le stelle, E non più al buon ch’al rio Marte perdona;Qui vedrai i campi solitarii e nudi, E sterpi e spine in vece d’erbe e fiori, E nel più verde april canuto verno;Qui i vomeri e le falci in via più crudi Ferri converse, e pien d’ombre e d’orrori Questo de’ vivi doloroso inferno.13Empio ver me di sì gentil riesci, Amor, che col velen de la paura Stempri il mio dolce, e men che mai secura Fai l’alma allor che tu più ardito cresci.Pur dianzi mi gradisti, or mi rincresci, Sì poco il tuo gioir diletta e dura. Strugga, signor, questa gelata cura Tua pietà ardente, o fuor del mio pett’esci.Che s’io deggio languir quando più fissi Nel profondo del ben sono i miei spirti, Io prego che ’l tuo stral più non mi tocchi.S’allor ch’io gelo in alta fiamma udissi Quel che ’l sentito ben mi vieta dirti, Verresti a lacrimar ne’ suoi begli occhi.14Mal vidi, Amor, le non più viste e tante Bellezze sue, se nel più lieto stato Dovea languire, e con la morte a lato L’orme seguir de le leggiadre piante.Spesso col sol de le sue luci sante Chiudo il mio dì seren, l’apro beato, E scorgo ivi il Piacer ch’è teco armato Contra i sospetti del mio cor tremante.Ma nulla val: che da’ begli occhi lungi Tal nasce giel da le mie fiamme vive Che visibilemente ogni ben more.Forse sei tu che poi mi segui e giungi E nanzi a lei, ch’ogni tuo ardir prescrive, Lusinghi e queti l’affannato core.15Scaldava Amor ne’ chiari amati lumi Suo’ acuti strai d’una pietà fervente, Per più fero assalirmi il cor dolente Mentre n’uscian duo lagrimosi fiumi.Io, che le ’nsidie e i suoi duri costumi So per lungo uso, allor subitamente Spingo ’l cor nel bel pianto u’ vita sente, Perché ’n calda pietà non si consumi.Come ne la stagion men fresca suole, Se la notte la bagna, arida erbetta Lieta mostrarsi all’apparir del sole,Ris’ei ne la rugiada de’ begli occhi, Baciolli e disse: "Amor, la tua saetta Di pietà non tem’io che più mi tocchi".16Le tue promesse, Amor, come sen vanno Spesso vote di fé verso i martiri, Come nascon nel cor feri desiri Quando interdette le speranze stanno!Non è presto al venir se non il danno: Io ’l so che ’l sento; e tu che lieto il miri Dammi dond’io talor dolce respiri Dal grave peso di sì dolce affanno.Per virtù del tuo santo aurato strale Raccolta sia la mia speranza ov’ebbe Albergo già sì aventuroso e degno;Sostenti la tua fé pena mortale, Ed al cader non sia meno il sostegno Che desti al cor quando di lui t’increbbe.17Se ’l vostro sol, che nel più ardente e vero Eterno Sol s’interna e si raccende, Splendesse or qui come su ’n cielo splende, Tanto a’ vostr’occhi bel quanto al pensiero,L’Aquila avria dove fermar l’altero Guardo, ch’or forse oscura nube offende, E quel ch’a spegner l’alta luce intende Del buon nome cristian saria men fero.Che, come quel che per Vittoria nacque, E per quella vivrà, gli apriria ’l fianco, Quasi folgor che fenda eccelsa pianta;E voi lieta non men che cara e santa Cantereste i suoi gesti e l’ardir franco, Qual celeste sirena in mezzo all’acque.18Quanto a’ begli occhi vostri e quanto manca A’ seguaci di Cristo, poi che morte Spense quel sol ch’or la celeste corte Alluma e ’l cerchio bel di latte imbianca!Quei non vedon più cosa onde la stanca Mente nel gran desio si riconforte, Ma piangon l’ore ai lor diletti corte E la luce a’ bei giorni oscura e manca.Questi contra ’l furor del fero Scita, Ch’or sì possente vien ne’ nostri danni, Avrian ferma speranza di salute:Ch’un raggio sol della sua gran vertute Vincer potria la costui voglia ardita, E le nebbie sgombrar de’ nostri affanni.19Se ben sorge talor lieto il pensiero A’ caldi raggi del suo amato sole, E vede il volto ed ode le parole, Quasi in un punto poi l’attrista il vero.Quanto più pago andria sciolto e leggiero Ad imparar ne le celesti scole Gli alti segreti e quelle gioie sole, Se l’occhio vivo lo scernesse e vero!Percioché fisso nel suo caro obietto A la mente daria sì fida aita Che non l’impediria l’ira e ’l dolore.Allor vedrebbe il ben fermo e perfetto, E tutta piena d’un beato ardore Gusteria il dolce di quell’alma vita.20GIOVIO, com’è che fra l’amaro pianto De l’alta donna tua, fra tanti affanni, Fra le triste membranze e i neri panni, S’oda sì dolce e sì felice canto?Cercando il suo bel sol col pensier santo, Ch’a morte studia far onta ed inganni, Cred’io che s’erga a quei superni scanni Ov’oda e ’mprenda il suon mirabil tanto.Che come vince l’armonia celeste L’uman udir, così ’l bel dir ne lega I sensi d’un piacer che suol beare.Deh perché ’l mio, che ’ndarno l’ali spiega, Seco non guida al ciel, sol perché queste Voci del nome suo sian dolci e chiare?21Tu, che con gli occhi ove i più ricchi e veri Trionfi addusse e tenne il seggio Amore, Festi pago il desio, dolce il dolore, E serenasti i torbidi pensieri,Tu (potrò in tanto duol mai dirlo?), ch’eri Specchio di leggiadria, di vero onore, Sei spenta; ed io pur vivo in sì poche ore, Misero essempio degli amanti altieri.Aprasi il tetro mio carcer terreno, E tu, vero e nuovo angelo celeste, Prega il Signor che mi raccolga teco,E per te salvo sia nel bel sereno Eterno, come fui felice in queste Nubi mortali, ove or son egro e cieco.Giovanni GuidiccioniDa: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)