Quid novi?

Claudio Achillini 6 sonetti


Sei sonetti di Claudio AchilliniLa dipartitaEcco vicine, o bella tigre, l’oreche tu de gli occhi mi nasconda i rai.Ah, che l’anima mia non senti mai,meglio che dal partir, le tue dimore!Fuggimi pur con sempiterno errore:sotto straniero ciel, dovunque, saiche, quanto piú peregrinando vai,cittadina ti sento in mezzo al core.Ma potess’io seguir, solingo errante,o sia per valli o sia per monti o sassi,l’orme del tuo bel piè leggiadre e sante;ch’andrei lá, dove spiri e dove passi,con la bocca e col cor, devoto amante,baciando l’aria ed adorando i passi.La bionda scapigliataTra i vivi scogli de le due mammellela mia bella Giunon veggio destaredal suo crinito ciel piogge e procelle,prodighe d’oro e di salute avare.Se mostra gli occhi o quelle poma belle,piú ricco s’apre e piú fecondo appare,mercé di due rubini e di due stelle,quel ciel di stelle e di rubin quel mare.Ma sia di scogli e di tempeste or pieno,ch’io, dai venti d’amor sospinto e scorto,vo’ navigar col core un sí bel seno.Né tem’io giá di rimanere absorto,poiché la sua tempesta è ’l mio sereno,poiché gli scogli suoi sono il mio porto.Lo sdegno nel bianco voltoCorteggiata da l’aure e dagli amori,siede sul trono de la siepe ombrosa,bella regina de’ fioriti odori,in colorita maestá la rosa.Superbo anch’ei per gli odorati onori,mirasi il giglio al piè turba odorosad’ossequïosi e di devoti fiori,e lo scettro ne vuole e non ha posa.S’arman di spine e d’archi, e dánno segnofra lor di guerra; alfin, prendon consigliod’esser consorti a la corona, al regno.Cosí nel volto tuo bianco e vermiglio,Filli, cangiato in imeneo lo sdegno,veggio la rosa maritarsi al giglio.L'antica amante fatta monacaQuell’idolo mio dolce, a cui si resevinto il mio core, al ciel vinto si rende;la beltá del suo volto il cor m’accese,la beltá del suo core il cielo accende.S’egli alle fiamme mie placido scese,or tutto fiamma al paradiso ascende;e s’egli a’ miei desir nulla contese,8or nulla ancora al suo Fattor contende.Vedrem quell’alma al suo signore ancellasparsa in sospiri e seminata in piantoanimar di pietá povera cella.Potessi anch’io per le sue preci intanto,soggiogata ogni voglia a Dio rubella,condur quest’ombra al primo sole accanto.La mendicanteSciolta il crin, rotta i panni e nuda il piede,donna, cui fe’ lo ciel povera e bella,con fioca voce e languida favellamendicava per Dio poca mercede.Fa di mill’alme, intanto, avare predeal fulminar de l’una e l’altra stella;e di quel biondo crin l’aurea procellaa la sua povertà togliea la fede.- A che fa - le diss’io - sí vil richiestala bocca tua d’orïental lavoro,ov’Amor sul rubin la perla innesta?Ché se vaga sei tu d’altro tesoro,china la ricca e prezïosa testa,ché pioveran le chiome i nembi d’oro. -Il ruscelletto nella villa Camaldoli, appartenente ad Annibale MarescottiTesse quest’ermo bosco, allor ch’ei fuggea l’ombra di se stesso il raggio estivo,un ricovro frondoso, anzi lascivo,ove in sen di Lesbin Lidia si strugge.Qui, se il Leon tra mille fiamme rugge,mormorando sen vien limpido e vivodal fianco di quel monte un picciol rivo,cui l’arsiccio terreno avide sugge.Mira l’acqua gentil come s’affrettae forma col suo corso un liquid’arco,che d’immensa dolcezza il cor saetta.Qui, di cure, Annibal, men venni carco;ma, in quest’onda che tanto il cor m’allettasommergendo le cure, il cor ne scarco.Claudio Achillini