Quid novi?

Alfieri, 8 sonetti


A tardo passo, al sospirato loco,A tardo passo, al sospirato loco,Cui solo abbella di mia donna il volto,Dopo dodici lune ho il piè rivolto;E fortuna a me par più mite un poco.Ma, per lo pianger lungo, io son sì fioco,L'ingegno in nebbia così densa è avvolto,E intero il cor sì nel dolor sepolto,Che al canto invan l'alta mia Diva invoco.Pur, sì invasa ho di lei la mente, e il pettoCaldo così, che parmi, anco senz'arte,Abbiano i miei sospiri a dar diletto.Ma s' io m' inganno, almen sfogato in parteAvrò quel dolce vario-mesto affetto,Che me dal volgo, e da me stesso, parteVittorio AlfieriSansoni, Firenze 1963 p.79-80D’ozio, e di vino, e di vivande pieno,D’ozio, e di vino, e di vivande pieno,Tra donne e cavalieri a mensa assisoStassi Fra Ciacco con lo grifo intriso,Tutto aggraziato, amorosetto, ameno.Sorto un brindisi a fare, adocchia il senoDi quella, ond’ei si sente il cuor conquiso;Poi su la sedia il posterior suo visoCrede adagiar, ma batte il rio terreno. Tanto d’impeto fu, sì sconcio il peso,Che all’aria andár le zampe, i panni in testa,E di sua Reverenza il meglio apparse.Tal vediam nella polve in lieta festaUn possente asinon di foia acceso,Per far pompa di membra, rotolarse.Vittorio Alfieri1777Le opere di Vittorio Alfieri, vol. XIPadova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1810, P. 118https://books.google.it/books?id=gXiA7-kaWD4CDel sublime cantore, epico solo,Del sublime cantore, epico solo,Che in moderno sermon l'antica trombaFea risuonar dall'uno all'altro polo,Qui giaccion l'ossa, in sì negletta tomba?Ahi Roma! e un'urna a chi spiegò tal voloNieghi, mentre il gran nome al ciel rimbomba?Mentre il tuo maggior tempio al vile stuoloDe' tuoi vescovi re fai catacomba?Turba di morti, che non fur mai vivi,Esci, su dunque ; e sia di te purgatoII Vatican, cui di fetore empivi:Là, nel bel centro d'esso ei sia locato.Degno d'entrambi il monumento quiviMichelangiolo ergeva al gran Torquato.Vittorio Alfieri1778Sansoni, Firenze 1963 p. 133O gran padre Alighier, se dal ciel miriO gran padre Alighier, se dal ciel miriMe tuo discepol non indegno starmi,Dal cor traendo profondi sospiri,Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi;Piacciati, deh! propizio ai be' desiri,D'un raggio di tua luce illuminarmi.Uom, che a primiera eterna gloria aspiri,Contro invidia e viltà de' stringer l'armi?- Figlio, i' le strinsi, e assai men duol; ch'io diediNome in tal guisa a gente tanto bassa,Da non pur calpestarsi co' miei piedi.Se in me fidi, il tuo sguardo a che si abbassa?Va, tuona, vinci: e, se fra' pie ti vediCostor, senza mirar, sovr'essi passa.Vittorio Alfieri1783Sansoni, Firenze 1963 p.66Oggi ha sei lustri, appié del colle amenoOggi ha sei lustri, appié del colle amenoChe al Tanaro tardissimo sovrasta,Dove Pompeo piantò sua nobil asta,L'aure prime io bevea del di sereno.Nato e cresciuto a rio servaggioPur dire osai: Servir, l'alma mi guasta;Loco, ove solo UN contra tutti basta,Patria non m'è, benché natio terreno.Altre leggi, altro cielo, infra altra genteMi dian scarso, ma libero ricetto,Ov'io pensare e dir possa altamente.Esci dunque, o timore, esci dal pettoMio, che attristasti già si lungamente;Meco albergar non dèi sotto umil tetto.Vittorio Alfieri1778Sansoni, Firenze 1963 p. 15Solo, fra i mesti miei pensieri, in rivaSolo, fra i mesti miei pensieri, in rivaal mar là dove il tosco fiume ha foce,con Fido il mio destrier pian pian men giva;e muggìan l'onde irate in suon feroce.Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empivail cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce)d'alta malinconia; ma grata, e privadi quel suo pianger, che pur tanto nuoce.Dolce oblio di mie pene e di me stessonella pacata fantasia piovea;e senza affanno sospirava io spesso:quella, ch'io sempre bramo, anco pareacavalcando venirne a me dappresso...Nullo error mai felice al par mi fea.Vittorio AlfieriLetteratura italiana Storia e testi - Vol. 6,II - Il Settecento p. 622, Casa editrice Laterza, Roma-Bari, 1973Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gentSon dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gentch'ha l'anima tant mola e deslavàch'a l'é pa da stupì se 'd costa niài piaso apena ape-a a l'un per cent.Tuti s'amparo 'l Metastasio a mente a n'han l'orie, 'l coeur e i'eui fodrà:i Eroi ai veulo vede, ma castrà,‘l tragic a lo veulo, ma impotent.Pure i m’ dag nen pr vint fin ch'as decidas'as dev troné sul palc o solfegiè,strassè 'l coeur o gatiè marait l'orìa.Già ch'ant cost mond l'un l'autr bsogna ch'as rida,i’eu un me dubbiet ch'i veui ben ben rumiè:s'l'é mi ch'son d’ fer, o i'italian d’ potìa.Vittorio AlfieriLetteratura italiana Storia e testi - Vol. 6,II - IL Settecento p. 619, Casa editrice Laterza, Roma-Bari, 1973Uom, che barbaro quasi, in su la spondaUom, che barbaro quasi, in su la spondaDel non Etrusco Tanaro nascea,Dove d'Itale voci è impura l'onda,Si ch'ella macchia ogni più tersa idea;Più lustri or son, ch'ei la natal sua immondaFavella in piena oblivion ponea;E al vago dir che l'alma Flora inonda,E labro e penna ed animo volgea.Se niun di voi, cigni dell'Arno, or vedeSpurio vestigio nel costui sermone,Cittadinanza di parole ci chiede.Sacro tributo a Grecia tutta imponeL'unica Atene, di ogni grazia sede,Cui la Beozia stolta invan si opponeVittorio AlfieriSansoni, Firenze 1963 p.173-174