Quid novi?

La pace


XI.La paceCom'è stato? Ecco qua: propio ar momentoCh'entravo a visità le quarantoraLì a la Minerba (1), ecco che me sentoChiamà da quela sgrinfia (2) se mi' nora.Io, pe' prudenza, entro subbito drento;E lei appresso! Ch'avréssi fatto alloraAr posto mio? Io pianto er SagramentoE, sempre pe' prudenza, esco de fòra;E lei appresso! In quer punto me pijaUn nonsocché, ch'er sangue ce l'avémoTutti drent'a le vene, e allora fija ... !Basta, s'è mess'in mezzo un pizzardone (3)Cià fatt'arifà pace, e accusì sémoRientrate assieme a la binidizzione.Note: 1. La Minerva, cioè la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva, detta così, perché costruita sull'area d'un tempio dedicato a quella dea. - 2. Sgrinfia è propriamente l'amorosa; ma significa pure, come in questo luogo, "donna facile a innamorarsi". C'è anche il verbo sgrinfià, che vale amoreggiare, o meglio, per dirla con una parola nuova e degna di far fortuna, amorazzare. - 3. Chiamano, per ischerno, pizzardoni, le benemerite guardie municipali, perché portano un bel cappello a navicella, che somiglia a una pizzarda. A Firenze, quando le guardie portavano un cappello a tuba piuttosto grande, le chiamavano i cappelloni.Luigi FerrettiCentoventi sonetti in dialetto romanesco, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1879, pag. 59