Quid novi?

Er beccamorto


"L'assistenza ai moribondi e il seppellimento dei morti.Nei secoli passati, in Roma, le numerose confraternite che raggruppavano gli esercenti lo stesso mestiere, avevano dalle disposizioni del regolamento, l'assistenza scrupolosa agl'infermi e la sepoltura dei defunti. Questi vincoli umanitari vennero ad affievolirsi, con l'affacciarsi dei tempi moderni, più inclini all'individualizzazione, in maniera tale che l'assistenza e il seppellimento dei morti viene fatto da persone stipendiate.Già ai tempi del Belli questi aspetti negativi apparivano evidenti: i due sonetti sui beccamorti, che qui riportiamo, indicano come costoro desideravano vivere sulla pelle degli altri ...I due sonetti del Belli, che qui riportiamo sul mestiere, se così vogliamo chiamarlo, del beccamorto, sono di una freschezza e vivacità che manifestano come il poeta sapeva cogliere, dal vivo, degli avvenimenti [sic] ...N.B. Nel 1817 vi fu in Roma un'epidemia da tifo petecchiale che fece una vera strage; nel 1836 si ripetèuna forte mortalità."Brano tratto da: "Vecchi mestieri romani. Origine del nome delle vie e le caratteristiche poesie di G. Belli e curiosità varie. L'E.D.I. - Roma - Centro Studi Storia Locale Roma e Lazio, 1965 (?), pagg. 36-38. Il volumetto è il V numero della serie di una pubblicazione mensile, inizialmente curata da Umberto Maraldi e successivamente dalla storica Libreria di Remo Croce. Per quel che ne so, furono almeno dieci i titoli della Collana "Roma de 'na vorta".Er beccamortoTu ccapischi cor culo, abbi pascenza:nun dico questo, ch’averebbe torto.Bell’e bbono è er mestier der beccamortoquanno Iddio vò mmannà la providenza.Io dico, e sto discorzo è una sentenza,che cquanno er tempo de l’istate è scorto,sò spicciati (1) li cavoli pell’orto, (2)e ssi (3) ppoi vôi maggnà mmagni a ccredenza.Sta Roma è un paesaccio mmaledettodove l’inverno nun ce more un cane,e tte se tarla puro er cataletto.Oh vvedi pe abbuscà un boccon de panequanto s’ha da pregà Ddio bbenedettoperché illumini medichi e mmammane!Note:1 Finiti.2 Cioè: «è finita la raccolta, è finito il guadagno».3 Se.Giuseppe Gioachino BelliRoma, 23 novembre 1831 - Der medemo(Sonetto 261)Li bbeccamortiE cc’affari vòi fà? ggnisuno more:sto po’ d’aria cattiva è ggià ffinita:tutti attaccati a sta mazzata vita...Oh vva’ a ffà er beccamorto con amore!Povera cortra (1) mia! sta llí ammuffita.E ssi (2) vva de sto passo, e cqua er Ziggnorenun allúmina un po’ cquarche ddottore,la profession der beccamorto è ita.L’annata bbona fu in ner disciassette. (3)Allora sí, in sta piazza, era un ber vive, (4)ché li morti fioccaveno a ccarrette.Bbasta...; chi ssa! Mmatteo disse jjerzerac’un beccamorto amico suo je (5) scriveche cc’è cquarche speranza in sto Collèra.Note:1 Coltre.2 E se.3 Nel 1817, anno del tifo petecchiale.4 Era un bel vivere.5 Gli.Giuseppe Gioachino Belli18 marzo 1834(Sonetto 1115)Note: [Morandi] (vol. 3, pag. 197)Mazzata: Ammazzata: maledetta.Cortra: Coltre mortuaria.In sto Collèra: In questo colera che dal 1823 in poi aveva flagellato ora l' una o l' altra parte d' Europa, e nel 37 invase davvero anche Roma. - Cfr. il sonetto; L' incontro ecc., 21 genn. 43.Note [Teodonio]1 E che affari vuoi fare? nessuno muore. - 3 mazzata: ammazzata (maledetta). - 7 allùmina: illumina. - 8. è ita: se ne è andata (è bell'e finita). - 14 Collèra: colera.Note [VS]:Il sonetto è riportato anche in "Nun sai c'a lo spedale ce se more?" (Newton Compton, 1994, pag. 12), Marcello Teodonio scrive: "Tutto il sonetto si articola su un ragionamento apparentemente paradossale. Per il beccamorto la morte è un affare; e siccome era da un po' che non "fioccaveno" le epidemie (come Belli stesso scrive in una nota che rivela ancora una volta il suo scrupolo documentario) per lui diventa fondamentale l'aiuto di quello che lui ritiene il suo naturale alleato: il medico. Tutto dunque, il bene e il male, è relativo e questa scoperta parte dallo spirito di negazione di ciò che è convenzionalmente ammesso: "su questa inerzia del pensiero, del luogo comune", scrive Giorgio Vigolo, "il Belli fa sprizzare la scintilla della contraddizione, del dubbio, della negatività in generale come principio attivo della coscienza"."Il sonetto è riportato anche da Pietro Gibellini, in "Sonetti erotici e meditativi", Adelphi, 2012, Sonetto 143, pag. 292, ma senza note proprie (tranne quella al verso 8: ita = andata).N.B.: ho già pubblicato questo sonetto, senza note, nel post 1395.