Quid novi?

Trissino (3)


A Papa Leone X.Del decimo Lion sommo pastoreDel decimo Lion sommo pastoreSoave é il giogo ed è leggier il pesoAll' umil plebe ed al ricco signore,Ch'hanno di sua bontate il petto acceso.Tutt' il popol di Dio onnipotenteFuor d'ogni tempesta or vive quietoSotto l' ammanto di sl gran virtute.Ecco qui d' ogni parte e d' ogni gentePeregrini aspettar il volto lieto,Dalle man sante il segno di salute.O felici alme in questa età venute,Che non più n'ama pochi il giusto Giove,Anzi sopra ciascun le grazie pioveDel decimo Lion sommo pastore.Com' io veggio apparir la bella auroraCom' io veggio apparir la bella auroraCinta di bianche e di vermiglie rose,E veggio i fior e l'erbe rugiadoseScoprir la lor vaghezza ad ora ad ora;Meco medesmo mi conforto allora,Sperando riveder forse pietoseLe luci, dov'Amor l'arco ripose,Per darmi la ferita che m' accora;E là ne vado pien tutto di speme,Dov'elle fanno spesse volte il giornoOr chiaro or fosco, sì come a lor piace.Ma, lasso, com' io trovo poi fallaceQuesta speranza, subito ritornoA gl'usati sospiri, alle mie pene.Se 'l supplicio infernal tant' alto offende,Se 'l supplicio infernal tant' alto offende,Che quando il miser più di ber desia,Vede le frigid' acque andarsen via,E giunger cibo, e al fin poi nulla prende;Peggio son io d'Amor, che'l cor m'accende,E veggio d' esser lieto aperta via,Né so pigliarla, che la mente obliaIl ben nel mal, che di seguir comprende.Però contro me stesso ognor m' adiro,Che s'agghiaccio e son muto al suo cospetto,50 ben ch'io perdo il tempo e in van sospiro.Non voglio quel ch'io voglio, e così aspettoChe la morte finisca ogni martiro,Che ad estrema miseria è sol diletto.
Gli occhi, ch' un tempo con mirabil arteGli occhi, ch' un tempo con mirabil arteIl cor della mia donna mi celaro,Né in lor già mai comprender mi lasciaro,Quanta della sua grazia avessi parte;Or al mio dipartir poser da parteQuel che faceami suo voler men chiaro,Ed un sincero amor mi dimostraroFra sospiri rotti e lagrime non sparte.D'onde crebbe il dolor della partita51 fieramente, ch'io non penso maiPoter gran tempo mantenermi in vita;E ben è degno il fal dov' io cascai,Punir con morte, perche un' infinitaColpa non è da trapassar per guai.Ben conosco io che la mia fiamma nasceBen conosco io che la mia fiamma nasceDa quegl' occhi divin, ond' io mi struggo,E pur da lor mi fuggo,Ma cerco sempre mai specchiarmi in elli.Né curo che pietà del mio doloreLi mova, e turbi il suo gioir alquanto,Che quest' offenderla la lor bellezza.Anzi mi piace il mio continuo pianto,Poiche ogni cosa che mi strugge il cuore,L'aggrada e reca lor qualche vaghezza.E più dico, che mi serà dolcezza,Quando venga per me l' ultima sorte,Perche della mia morteS' allegreran e viveran più belli.Signor, se far volete un bel sonetto,Signor, se far volete un bel sonetto,Ch'ammirar faccia e impallidir la gente,Togliete uopo e unquanco, uggia, sovente,Né mica, e neghittoso e dirimpetto;E chente e guiderdon, quindi e snelletio,Semente ed ode, scaltro e brumal gente,E monticel, che ginestrevolmenteA' riguardanti porga alto diletto.E riponete queste entro al bel gremboDi vostre rime, e parerà perfetto,Seguendo l' orme del famoso Bembo,Che son da quest'età lodate e lette;L' altre non sparse di si vago nemboVi Dan dagl'Accademici interdette,E non saranno accetteSe in ogni verso avesser tre risposte,Secondo le Trifoniche proposte.Non si vede nel ciel sorger il soleNon si vede nel ciel sorger il solePiù che l'usato allegro, e per le valliLieti fugir i liquidi cristalliFra l'erbe verdi e i fiori e le viole,Ed or tesser le ninfe allegre e soleScorse lontane ai consueti calli,Or tenersi per mano in dolci balli,Cantando insieme angeliche parole.E ciò n'avvien dapoi che in questi montiSi sente l'aura, al cui spirar s'allegraL'acqua, la terra, il mondo e gl'animali.Tal che ambo gli occhi miei non son più prontiAl pianto, e la mia mente afflitta ed egraAl mal suo grado oblia gli antichi mali.Sovra gli aurati tuoi superbi alberghi,Sovra gli aurati tuoi superbi alberghi,Ch'umil tetti fur già di canne e fronde,S'ergan, empia cittade, d'Adria l'onde,Sì che ogni tuo tiranno si sommerglli.Di qual legge crudel carte non verghiPer pascer le tue arpie voraci e immonde,Che venner da Oocito alle tue sponde,Ov' avarizia, ov'ogni vizio alberghi?A te par forse che gì' erarii tuoiNon sian colmi d'argento e d'oro onusti,Che sino il sangue ancor sugger ne vuoi.Deh volga il re del Ciel gli occhi suoi giustiQui, dove Italia piange i figli suoi,E tolga al mondo regnator si ingiusti!
Stemma di Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da P.F. Castelli nel 1753.Io vado fuor della più ingiusta terra,Io vado fuor della più ingiusta terra,E da' costumi più corrotti e falsi,Ch' abbia l' Europa, e se mi spiacquer, salsiIl Ciel , con ch' io mi dolgo e con la terra.ll sangue mio crudel, che mi fa guerra,A cui sì poco piacqui e poco calsi,La casa dov' io nacqui ed arsi ed alsi ,Con fraudi e tradimenti (1) ora m'afferra,E mi scaccia indi. O cosa iniqua ed empia,Che lo sopporti quel Senato ingiusto,Ch' ha l' antico suo ben posto in obblio!Ond'io mi parto povero e vetusto,Stroppiato e infermo, e lasso al Ciel ch'adempiaI miei bisogni, e la vendetta a Dio.Nota: (l) Altra versione: «Per fraude e tradimento».O tu che passi appresso a questa tomba,O tu che passi appresso a questa tomba,Che chiude il fior de' bellicosi Ispani,Sappi ch' al suon della turchesca trombaFu morto ognun da più di mille maniCon tanta sua difesa, che rimbombaLa strage ancor di quelli orribil cani.Ben si può dir, come l' ispana gloriaVinse fin col morir l'altrui vittoria.Gian Giorgio Trissino (Vicenza, 8 luglio 1478 - Roma, 8 dicembre 1550, noto anche come Gian Giorgio Dressino)Rime di Poeti italiani del Secolo XVI, Bologna, presso Gaetano Romagnoli, 1873, pagg. 6-12 (a cura di Antonio Ceruti).