Quid novi?

Nicola Marchese


SonettoQuattro il sonno mio grande alabardieriLa prima notte veglieran silenti.Oh, le alabarde dalle lancie ardenti!Oh, la guardia spettral de' quattro ceri!Per essi anche una volta, i sogni alteriFiammeggeranno agli occhi, agli occhi spenti,Cui tutti ardean di soli i firmamentiCome di ancor non conquistati imperi.Ma la pallida fronte, inonorataDi ramo dalle sempre verdi fronde,Rimpiangerà l'inutile giornata.E invan poi, perché tardo e perché muto,Nascerà dalle ceneri infecondeIl rimorso del mio giorno perduto».La BarcacciaLà, dove l'onda d'Agrippa ristagnanella bonaccia di Piazza di Spagna,immota sta nell'immota bonaccia,vecchio Bernini, la vostra Barcaccia.Poi che, sguernita di remi e d'antenne,la tien la tiene un letargo perenne,dorme al gran sole e non sogna burrasca,dorme alle stelle nel sen della vasca.Non forse, un maggio, alla Spagna dei Moriessa approdava per caricar fiori?Non di là venne di fiori sì carca,che ancor ne sbarca ne sbarca ne sbarca?Non essa, dunque, al ritorno del maggio,muove il talento d'un altro viaggio?Invano: irrompe da più di una fallal'acqua, ed a pena sorreggesi a galla.Né calafato al burchiel che perigliadi stoppa e pece rimpalma la chiglia;né Propaganda, il cantier della fede,guarda; o la barca dei fiori non vede.Nel plenilunio, essa Cadice sognae l' ardor bianco de la Catalogna:salgono, allora, per l'alta marea,onde di fiori l'argentea scalea.Piazza NavonaChiuse il libro d'Orlando. E l'architetto,Che scolpia da pittore e da poeta,Balzò; diede di pugno al cavalletto,Di calcagno alla creta,Ed escì di bottega. Aria la piazzaGrande alitò, la notte, alla gran fronte;Che, gli occhi accesi, madida di guazza,Sognò grande una fonte.Essa che veglia, quando par che dorma;Essa che, quando par morta, procrea;Essa, la Notte, gli ispirò la formaDella fonte ariostea.Date, date scalpelli alla sua manoE marmi e travertini agli scalpelli;E l'apra dell' artefice titanoL'obelisco suggelli.E quattro fiumi, i massimi, versandoIl tributo re gal del!' onda opima,Come da Garfagnana aspra, cantandoVengan l'ottava rima.Vide Innocenzo (aveva allor posato,Rosso vestito, innanzi a Diego nero);E, poi che alla colomba ebbe guardatoCon l'occhio di sparviero,Sorrise, benedisse; e, regalia,Ben dell'altro e di lui degna, il domaniCinque il Pamphily al Cavalier largiaMila scudi romani.Fontana delle NaiadiBen detto: schiaffo al pudibondo estetache le bollò del marchio di baccanti,faccia un tuo gesto la vendetta lieta,o gente senza buffa e senza guanti.Ben fatto: schiaffo allo scortese edile,compì un tuo gesto !'attica vendetta.Diruta gloria, o gloria del Pecìle,ben tu risorgi per il nuovo erettaportico dell' Esedra; e l'ora è grecase propizia essa volge allo scultore;se la gente non danna, ignara o bieca,l'arte che denudò, casta, il pudore.Eccole. O figlie di leggiadre fole,onde il giovine e antico estro si piacque;o forme che dall'isola del solel'onda sospinse alla città dell' acque;o donne belle dalle fronti oneste;belle a cui !'onda pettina la chioma,e cui le nudità l'iride veste:belle, se mai peccaste, assolve Roma.Ben Paolo terzo, per virtù dell' arteche di vénia al peccato anca è cortese,l'eterna benedizione impartealla beltà di Giulia Farnese.Nicola Marchese15 febbraio 1901Da: Strenna dei Romanisti, 1955, pag. 172-175