Quid novi?

Ada Negri


Ada Negri (1870-1945)Ada Negri nacque a Lodi il 3 febbraio 1870. Di famiglia poverissima, il padre manovale e la madre tessitrice in filanda, trascorse gli anni della sua infanzia nel contrasto di ambienti offerto dal palazzo altoborghese dove si trovava l'angusta abitazione della portineria della nonna. Conseguito, a seguito di pesanti sacrifici economici, il diploma di maestra elementare nel 1887, l'anno seguente ottenne l'insegnamento dapprima nella scuola elementare di Motta Visconti e successivamente a Milano. Le prime liriche di Ada Negri apparvero su riviste locali e nazionali tra gli anni 1889-90, ottenendo subito favorevoli critiche, tra cui ricordiamo quella per Gelosia apparsa nel 1891 su "L'Illustrazione italiana" a firma di Raffaello Barbiera e quella per tutte le sue opere, firmata da Sofia Bisi Albini che la definì "poetessa rurale". Ma sarà Fatalità, la prima raccolta di poesie data alle stampe nel 1892 presso l'editore Treves, a conferirle la notorietà e assicurarle unanimi consensi. Sullo sfondo della sua lirica ritroviamo gli esempi di Verga, De Amicis, Stecchetti e della Scapigliatura, ma in primo piano emerge la reazione personale, vigorosa e talvolta incontenuta della Negri al destino immutabile dei poveri e insieme la trasfigurazione del lavoro manuale. I suoi versi caratterizzati da immediatezza di linguaggio esprimevano le lotte del primo socialismo italiano e gli ideali di redenzione sociale in uno stile sonante, spesso incline alla retorica. A Fatalità seguirono poi Tempeste (1895), Maternità (1904), Dal profondo (1910), opere di poesia nelle quali la Negri manifestò, con pari immediatezza e scioltezza formale, sentimenti propri dell'intima vita familiare. Se in precedenza le sue composizioni avevano risentito qualche eco del Carducci e ancor più degli influssi della poesia borghese e scapigliata di Praga, Betteloni e specialmente dello Stecchetti, la nuova fase della sua lirica si orientò di preferenza verso certe forme dell'estetismo dannunziano; ne sono esempio il poema Il libro di Mara (1919) e I canti dell'isola (1924). Negli anni successivi la Negri alternò prose, racconti e versi (Le strade, 1926; Sorelle. Ritratti di donne, 1929; Vespertina, 1930; Di giorno in giorno, 1933; Il dono, 1936; Erba sul sagrato, (1939) nei quali, in virtù di una impostazione vagamente leopardiana e di una interpretazione del dolore umano inserito in una visione cristiana della vita, riuscì a conseguire accenti espressivi di più modulata cadenza, formulati in una misura metrica più equilibrata e di nitida eleganza.La raccolta Le Strade, composta contemporaneamente a I canti dell'Isola, costituisce quasi un completamento in prosa di quei versi. Una sostanziale uniformità autobiografica e sentimentale unisce infatti queste due opere, al punto che l'una, Le Strade, diviene quasi un'integrazione, un' annotazione chiarificatrice a luoghi, momenti e persone dell'altra. Paesaggi lacustri e montani, Capri e il suo incanto, Milano con i suoi palazzi e le vie cittadine, ritornano qui nella ricostruzione di un percorso intimo e personale che, grazie alla prosa ariosa che mescola elementi visivi e di riflessione a presenze naturali ed a memorie, assume nuove forme poetiche determinando la fisionomia del nuovo autobiografismo della Negri : "... questa trasformazione rappresenta la conquista dell'ultima Negri. La forza di trascinamento con cui agisce sul passato rianimandolo, non solo ricongiunge l'intera materia di un così lungo narrare ma, come un amalgama, procura a un'opera impremeditata il colpo d'occhio dell'organicità -" ( Anna Folli, Penne leggère. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo, Milano, 2000, p.167) Marino Moretti che conobbe e intrattenne con Ada Negri un amichevole rapporto epistolare, offre con queste parole un ricordo della poetessa legato a La casa nuova: "-Rimasta sola, agitata irrequieta, cambiava spesso di casa. Variano gl'indirizzi in cima alle lettere. Non credo d'esser tornato più d'una volta o due volte nella stessa casa. Le ultime volte che la vidi, fu nel lontano 1920, nel suo salottino di via Guastalla, una nobile via della vecchia Milano, non lungi dal giardino della Guastalla ch'ella frequentava e adorava. La finestra dava sui tetti (anche questi adorava) - diceva che i tetti le avevan fatto amare e conoscere i gatti. -." (Marino Moretti, Il libro dei miei amici, Milano, 1960, p.115).Scheda tratta dal sito Digitami.
Immagine tratta da: Maria Bandini Buti, Enciclopedia biografica e bibliografica italiana: poetesse e scrittrici (Roma, 1942), vol. 2, p. 67.