Quid novi?

Sant'Ambrogio


Sant'AmbrogioVostra Eccellenza che mi sta in cagnescoPer que' pochi scherzucci di dozzina,E mi gabella per anti-tedescoPerchè metto le birbe alla berlina,O senta il caso avvenuto di fresco,A me che girellando una mattina,Capito in Sant'Ambrogio di Milano,In quello vecchio, là, fuori di mano.M'era compagno il figlio giovinettoD'un di que' capi un po' pericolosi,Di quel tal Sandro, autor d'un RomanzettoOve si tratta di Promessi Sposi......Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,In tutt'altre faccende affaccendato,A questa roba è morto e sotterrato.Entro, e ti trovo un pieno di soldati,Di que' soldati settentrïonali,Come sarebbe Boemi e Croati,Messi qui nella vigna a far da pali:Difatto se ne stavano impalati,Come sogliono in faccia a' Generali,Co' baffi di capecchio e con que' musi,Davanti a Dio diritti come fusi.Mi tenni indietro; chè piovuto in mezzoDi quella maramaglia, io non lo negoD'aver provato un senso di ribrezzoChe lei non prova in grazia dell'impiego.Sentiva un'afa, un alito di lezzo;Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,In quella bella casa del Signore,Fin le candele dell'altar maggiore.Ma in quella che s'appresta il SacerdoteA consacrar la mistica vivanda,Di subita dolcezza mi percuoteSu, di verso l'altare, un suon di banda.Dalle trombe di guerra uscian le noteCome di voce che si raccomanda,D'una gente che gema in duri stentiE de' perduti beni si rammenti.Era un coro del Verdi; il coro a DioLà de' Lombardi miseri assetati;Quello: O Signore, dal tetto natio,Che tanti petti ha scossi e inebriati.Qui cominciai a non esser più io;E come se que' côsi doventatiFossero gente della nostra gente,Entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,Poi nostro, e poi suonato come va;E coll'arte di mezzo, e col cervelloDato all'arte, l'ubbíe si buttan là.Ma cessato che fu, dentro, bel belloIo ritornava a star, come la sa;Quand'eccoti, per farmi un altro tiro,Da quelle bocche che parean di ghiro,Un cantico tedesco lento lentoPer l'äer sacro a Dio mosse le penne:Era preghiera, e mi parea lamento,D'un suono grave, flebile, solenne,Tal, che sempre nell'anima lo sento:E mi stupisco che in quelle cotenne,In que' fantocci esotici di legno,Potesse l'armonia fino a quel segno.Sentía nell'inno la dolcezza amaraDe' canti uditi da fanciullo: il coreChe da voce domestica gl'impara,Ce li ripete i giorni del dolore:Un pensier mesto della madre cara,Un desiderio di pace e d'amore,Uno sgomento di lontano esilio,Che mi faceva andare in visibilio.E quando tacque, mi lasciò pensosoDi pensieri più forti e più soavi.Costor, dicea tra me, Re paurosoDegl'italici moti e degli slavi,Strappa a' lor tetti, e qua senza riposoSchiavi gli spinge per tenerci schiavi;Gli spinge di Croazia e di Boemme,Come mandre a svernar nelle Maremme.A dura vita, a dura disciplina,Muti, derisi, solitari stanno,Strumenti ciechi d'occhiuta rapinaChe lor non tocca e che forse non sanno:E quest'odio che mai non avvicinaIl popolo lombardo all'alemanno,Giova a chi regna dividendo, e temePopoli avversi affratellati insieme.Povera gente! lontana da' suoi,In un paese qui che le vuol male,Chi sa che in fondo all'anima po' poiNon mandi a quel paese il principale!Gioco che l'hanno in tasca come noi. -Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale,Colla su' brava mazza di nocciuolo,Duro e piantato lì come un piolo.Giuseppe Giusti (1809-1850)1846Da: Giuseppe Giusti, Versi editi ed inediti, Firenze, Felice Le Monnier, 1852