Quid novi?

Dell'uso delle voci antiquate


Dell'uso delle voci antiquateNon niego io già che alle volte non si possa lasciare una voce moderna per usarne una antica più propria e significante; quando ella non sia però di quelle scabrose e rozze, che gridan: lasciami stare.Ma ciò vuol esser fatto così di rado, e con tanta opportunità e dissimulazione, che l'orecchia dell'uditore quasi non se n'avvegga. Il che certo non è mestiere da ogni ordinario giudicio. Gli uomini dotti che in qual si voglia provincia hanno fatto fiorir le dottrine, hanno nel tempo stesso fatto fiorir le lingue. Perciocché ognun che favelli, è buono da fare una lingua nuova, s'egli si metterà in capriccio di non voler favellar come gli altri; ma una lingua tersa e pulita non è mestiere da ogni persona idiota. Che non per altro il Boccaccio, il Passavanti e 'l Petrarca sopra i loro contemporanei s'avvantaggiarono tanto, se non perchè furono più scienziati di loro, e seppero non solamente scegliere le Voci e frasi migliori dell'uso, ma perfezionarle in maniera che a tutti piacquero; come pur feciono Cicerone, Cesare e Livio, che non andaron cogliendo l'anticaglie di Nigidio e di Fabio, ma il meglio di quella età.Direi adunque che chi preme nello stile, e nella bellezza del dire, dovesse affaticarsi in fare la scelta delle più belle voci e frasi che si favellino e scrivano al presente, e non di quelle che l'uso ha dismesse: perocché come i vestimenti antichi, benchè di grande fattura e spesa, non piacciono, ma si conservano per memoria riposti; così delle parole antiche suole avvenire, che si conservano per memoria ne' loro autori, ma non s'adoprano.Alessandro Tassoni, Varietà di pensieri, libro IX, in "Crestomazia italiana", "Crestomaia Prosaica", di Giacomo Leopardi, Napoli 1876, pag. 529