Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)
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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°954 pubblicato il 03 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) Delle tue lodi a l'infinita altezza, Non che in stil dirne d'ogni parte intiero? Che dovendo onorar la tua grandezza, Sacro, inclito signor, quanto richiede Poco sarìa ciò che qua giù s'apprezza. Ma alla gran parte in che mancar si vede Li onor' ch'oggi ti fa Felsina lieta Supplisca il buon voler, la pura fede. Ché, se potesse quel che a lei si vieta Non d'altro vincitor, d'altro vessillo, Più altamente mai cantò poeta. Se Paolo, Mario, Cesare, o Camillo Trionfar' più onorati, oh! fausto giorno Da memorar nel candido lapillo. Chi or vede d'un nuov'Ercole il ritorno, Prostrato avendo il fier leon Nemeo, Che in Flaminia a' pastori era gran scorno,v Vede il chiaro e magnanimo Teseo, Che a' più insolenti e indomiti centauri Spento ha l'orgoglio altrui nocivo e reo. Donagli Apol' degli odorati lauri Verdeggiante corona, il grido estendi Dalle rive del Gange ai lidi Mauri; E perché i nuovi gesti, alti e stupendi Mal si puon celebrar con mortal suono, Placido nume or tu dal ciel discendi. Con quella lira e in quel più ardente tuono Temprate ch'esser vuol quando tu canti Da Flegia e Giove, e i dei presenti sono. Simil materia avrai d'altri giganti, Figli del mar, che d'Adria il nome porta, Tumidi, al padre eguali et arroganti. Questi con mente dal diritto estorta I regni a lor non debiti occupando, Tolto il voler, non la ragion, per scorta, Ecco caduti son subito, quando Quel che il scettro di Giove in terra regge Pur tratta fuor de la giust'ira il brando, Con cui l'insania altrui batte e corregge, Con questo il lor ardir vano ha percosso, Che al ciel credeano ancor poter dar legge. E sopra lor tanta ruina ha mosso, Che non Etna, non Ischia con tal pondo A Encelado e Tifeo calcàro adosso, Onde ai futuri secoli nel mondo S'udiran per miracolo le cose Magne, che fatte avrà Giulio secondo. Benché al presente sì meravigliose Non siano a chi il valor, l'alta prudenza, E l'altre sue virtudi or' son nascose. Perché di Dio la somma previdenza L'ha mandato qua giù, non cagion lieve, Sel per tornar' la chiesa in riverenza. Oh! quanto lieto in ciel star' oggi deve L'almo padre Silvestro, a cui son note Le vittorie che Giulio oggi riceve; Ché riguardando dall'eterne rote, Vede da Giulio esser novellamente Reintegrato di sua prima dote. Quanto in quelle città gaudio si sente, Che d'aspra servitù ridutta in stato Son d'aurea libertà, stato innocente! Si dica: o venerabil porporato, Che Giulio, e Giove, e tu a disposizione Di lui sei l'emisfero raggirato, Varie sorti a' mortali il cielo impone, E ben che il motor primo tutto scorge, Con le seconde cause opra e dispone. Tuo gran voler, che a mortal fama sorge, Così l'eccelse imprese assume, come Il divo Giulio le disegna e porge; E perché ben le più pesanti some Regger sai con prudenza, e 'l tutto adempi, Tocca in gran parte a te la gloria e 'l nome. Ma a quai sì degni mai gl'antichi tempi Posero, come a voi poner' si denno, Arche, statue, colonne, altari e tempî? Che si potrà ben dir: questi duoi fenno Gran cose, e a gloria eterna il ciel gli spinse, Acquistata con l'opre e con il senno. Domò i nepoti, e per tiranni estinse Giulio Ligure invitto e glorïose, L'altro in Flaminia venne, vide e vinse. Questo è il savio e magnanimo Alidoso, Cardinal di Pavia, ch'al pastor santo Fu sempre d'obbedir pronto e geloso. Or' a' vostri alti titoli un sol vanto S'aggiunga, e non già mai fia il più soprano, Alla chiesa, alla fede, al papal Mauro. Poiché de' sommi regi è in vostra mano L'impero, e l'armi, deh! movete i passi Al nido ove Gesù fu pellicano. Ma veggio all'alta impresa ordine dassi, Già del rumor il Maumettano trema, E par che i lidi già fuggendo lassi. Del celeste favor punto non scema, Giulio ecco ha l'ali aperte al santo volo, E presto a nostra età gloria suprema Vedrem farsi un ovile e un pastor solo. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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