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Il Dittamondo (5-09)

Post n°1093 pubblicato il 20 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO QUINTO

CAPITOLO IX

Tripolitana segue, la qual fue 
nominata cosí da tre cittade, 
come Bisanzo consuona da due. 
La fama è chiara, per queste contrade, 
che la terra v’è tanto buona e pingua, 5 
che, per un, cento vi fruttan le biade. 
Questo paese par che si distingua 
di vèr levante con le maggior Sirti: 
e Barberia è detta in nostra lingua. 
Cosí andando, dissi a Solin: "Se dirti 10 
deggio il vero, tal son tra questi neri 
qual fu Enea tra gli dannati spirti". 
"Qui non si vuole tema né pensieri, 
disse ello a me; fa pur che gli occhi aguzzi 
a quel che sai che ti fa piú mestieri". 15 
Come di qua si veggon torme e gruzzi 
di buoi, di lá camelli; e come ancora 
oche fra noi, vi trovavamo struzzi. 
"A ciò che men t’incresca, disse allora 
la guida mia, l’andar, odi e figura 20 
e per asempro il prendi, quando è ora. 
Lo struzzo è pigro e però la natura 
gli ha fatto sotto l’ala uno sperone 
col qual si punge a cercar sua pastura. 
Di giugno, l’uova copre col sabbione; 25 
lo sol le cova e, nati, li nutrica 
col fiso sguardo ch’addosso lor pone. 
Tanto è caldo, che non li è piú fatica 
smaltire il ferro (e di ciò vidi prova) 
che ’l granel del formento a la formica. 30 
Né per cercar pastura o fuggir piova, 
tanto è grave, come gli altri uccelli 
per l’aire a volo non par che si mova". 
Dopo questo, mi disse de’ cammelli: 
"Cosí come li vedi scontrafatti, 35 
simile credi la natura d’elli. 
Dico, nel tempo ch’ad amor son tratti, 
che l’un con l’altro si congiunge insieme 
non come altri animali né in quelli atti. 
L’osso del dattalo è lor biada e seme 40 
ed è chi scrive che, per chieder troppo, 
li fun l’orecchie de la testa sceme". 
Cosí parlando, io gli andava doppo, 
ascoltando e notando le parole, 
facendo ad ogni sua novella il groppo. 45 
Ed el, che in ciò che può piacer mi vole, 
seguio: "Un animal, ch’è detto iena, 
li corpi umani dai sepolcri tole. 
Fra tutte le altre bestie, ha questa pena: 
che ’l collo non può torcer né piegare: 50 
d’un osso par, se l’altro corpo mena. 
De l’uom la voce sa sí contraffare, 
che alcuna volta il pastore inganna: 
a l’uscio picchia e ’l suo vicin li pare. 
Col cane ha guerra e, quando può, lo scanna; 55 
e piú che, sendo di notte cacciato, 
abbaia, latra e fugge ch’uom nol danna. 
Nel dolce tempo che a Venere è dato, 
truova la leonessa e con lei giace, 
secondo che da piú m’è giá contato. 60 
La iena pietra molto a l’occhio piace, 
però ch’a lui somiglia, e sappi bene 
che di nuovi color si cambia e face. 
Ancora è fama che questo addivene: 
che dice assai di quel che de’ avenire 65 
colui che sotto la lingua la tene. 
E quale udisse apertamente dire 
come per sua vertú tien l’animale, 
magica cosa parrebbe a udire". 
Dissemi, poi, quanto è crudo e mortale 70 
il leotofano e la sua propia forma 
e come col leon si vuol gran male. 
E, secondo che ’n Roma si conforma, 
Scevola Publio fu, per cui in prima 
si vide quivi e misesi in norma. 75 
"Un mostro ancora tra costor si stima 
corcotto è detto e vo’ che ti sovegna 
di notar lui, se gli altri metti in rima. 
Questo come uomo di parlar s’ingegna: 
non ha gengie dentro a la sua bocca 80 
e solo un dente par che ’n essa tegna". 
E cosí ragionando, ancor mi tocca 
di un altro animal, che noma onagro, 
quanto la sua natura è fredda e sciocca. 
Per quel cammin, ch’era solingo e agro, 85 
ci apparve, ragionando com’io dico, 
in abito di frate un vecchio e magro. 
"Dio vi dia pace", disse quello antico. 
E Solin li rispuose: "E te conduca 
lá, dove chiama ogni suo buon amico". 90 
Ed ello a noi: "Se tanta grazia luca 
in voi, quant’è ’l disio, fatemi saggio 
del cammin vostro e onde move e bruca". 
E la mia guida: "Il nostro viaggio 
è di cercar lo mondo a passo a passo: 95 
costui, ch’è meco, il vuole e io nel traggio. 
Ma voi chi siete, che mostrate lasso 
e che avete loquela italiana, 
e che vi mosse a far di qua trapasso?" 
"Una cittá, rispuose, è in Toscana 100 
di sopra l’Arno, Fiorenza si dice; 
se dite ‘sí’ ben so che non v’è strana. 
Giovanetto era, quando a quel felice 
e beato Domenico mi diedi; 
l’abito presi, ch’è la sua radice. 
In vèr Ierusalem poi mossi i piedi; 
apresso questo, in Arabia discesi 
dove di Caterina il corpo credi. 
L’arabico linguaggio quivi appresi; 
la legge Alcoran di Macometto 110 
di punto in punto per latin distesi.
Poi di qua venni e Ricoldo m’è detto".
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