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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Post n°1093 pubblicato il 20 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo LIBRO QUINTO CAPITOLO IX Tripolitana segue, la qual fue nominata cosí da tre cittade, come Bisanzo consuona da due. La fama è chiara, per queste contrade, che la terra v’è tanto buona e pingua, 5 che, per un, cento vi fruttan le biade. Questo paese par che si distingua di vèr levante con le maggior Sirti: e Barberia è detta in nostra lingua. Cosí andando, dissi a Solin: "Se dirti 10 deggio il vero, tal son tra questi neri qual fu Enea tra gli dannati spirti". "Qui non si vuole tema né pensieri, disse ello a me; fa pur che gli occhi aguzzi a quel che sai che ti fa piú mestieri". 15 Come di qua si veggon torme e gruzzi di buoi, di lá camelli; e come ancora oche fra noi, vi trovavamo struzzi. "A ciò che men t’incresca, disse allora la guida mia, l’andar, odi e figura 20 e per asempro il prendi, quando è ora. Lo struzzo è pigro e però la natura gli ha fatto sotto l’ala uno sperone col qual si punge a cercar sua pastura. Di giugno, l’uova copre col sabbione; 25 lo sol le cova e, nati, li nutrica col fiso sguardo ch’addosso lor pone. Tanto è caldo, che non li è piú fatica smaltire il ferro (e di ciò vidi prova) che ’l granel del formento a la formica. 30 Né per cercar pastura o fuggir piova, tanto è grave, come gli altri uccelli per l’aire a volo non par che si mova". Dopo questo, mi disse de’ cammelli: "Cosí come li vedi scontrafatti, 35 simile credi la natura d’elli. Dico, nel tempo ch’ad amor son tratti, che l’un con l’altro si congiunge insieme non come altri animali né in quelli atti. L’osso del dattalo è lor biada e seme 40 ed è chi scrive che, per chieder troppo, li fun l’orecchie de la testa sceme". Cosí parlando, io gli andava doppo, ascoltando e notando le parole, facendo ad ogni sua novella il groppo. 45 Ed el, che in ciò che può piacer mi vole, seguio: "Un animal, ch’è detto iena, li corpi umani dai sepolcri tole. Fra tutte le altre bestie, ha questa pena: che ’l collo non può torcer né piegare: 50 d’un osso par, se l’altro corpo mena. De l’uom la voce sa sí contraffare, che alcuna volta il pastore inganna: a l’uscio picchia e ’l suo vicin li pare. Col cane ha guerra e, quando può, lo scanna; 55 e piú che, sendo di notte cacciato, abbaia, latra e fugge ch’uom nol danna. Nel dolce tempo che a Venere è dato, truova la leonessa e con lei giace, secondo che da piú m’è giá contato. 60 La iena pietra molto a l’occhio piace, però ch’a lui somiglia, e sappi bene che di nuovi color si cambia e face. Ancora è fama che questo addivene: che dice assai di quel che de’ avenire 65 colui che sotto la lingua la tene. E quale udisse apertamente dire come per sua vertú tien l’animale, magica cosa parrebbe a udire". Dissemi, poi, quanto è crudo e mortale 70 il leotofano e la sua propia forma e come col leon si vuol gran male. E, secondo che ’n Roma si conforma, Scevola Publio fu, per cui in prima si vide quivi e misesi in norma. 75 "Un mostro ancora tra costor si stima corcotto è detto e vo’ che ti sovegna di notar lui, se gli altri metti in rima. Questo come uomo di parlar s’ingegna: non ha gengie dentro a la sua bocca 80 e solo un dente par che ’n essa tegna". E cosí ragionando, ancor mi tocca di un altro animal, che noma onagro, quanto la sua natura è fredda e sciocca. Per quel cammin, ch’era solingo e agro, 85 ci apparve, ragionando com’io dico, in abito di frate un vecchio e magro. "Dio vi dia pace", disse quello antico. E Solin li rispuose: "E te conduca lá, dove chiama ogni suo buon amico". 90 Ed ello a noi: "Se tanta grazia luca in voi, quant’è ’l disio, fatemi saggio del cammin vostro e onde move e bruca". E la mia guida: "Il nostro viaggio è di cercar lo mondo a passo a passo: 95 costui, ch’è meco, il vuole e io nel traggio. Ma voi chi siete, che mostrate lasso e che avete loquela italiana, e che vi mosse a far di qua trapasso?" "Una cittá, rispuose, è in Toscana 100 di sopra l’Arno, Fiorenza si dice; se dite ‘sí’ ben so che non v’è strana. Giovanetto era, quando a quel felice e beato Domenico mi diedi; l’abito presi, ch’è la sua radice. In vèr Ierusalem poi mossi i piedi; apresso questo, in Arabia discesi dove di Caterina il corpo credi. L’arabico linguaggio quivi appresi; la legge Alcoran di Macometto 110 di punto in punto per latin distesi. Poi di qua venni e Ricoldo m’è detto". |
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