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Rime di Celio Magno (311-320)

Post n°1111 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

311

[A Girolamo Dandolo]

Qual il sol se chiedesse ad altri il giorno,
e Febo il canto a me, che indarno il bramo,
o di lauro cercasse altronde un ramo
di mille lauri il bel Parnaso adorno,

tal voi, che 'l crin sì ricco avete intorno
di raggi e frondi, ond'io nudo mi chiamo,
il lume e 'l pregio ch'in voi scorgo ed amo
a me chiedete, al ver facendo scorno.

Ch'amor e cortesia spinse ad aitarmi
da l'empio Lete il vostro stil divino,
ond'io campar per me sperava indarno.

Ma, mentre ei tenta ov'io non giungo alzarmi,
alza voi stesso per sì bel camino,
che cede al cantar vostro il Mincio e l'Arno.

312

[A Strozzi Cicogna]

Nulla in te, Strozzi, ammiro,
se tra le due città scerner non puoi
qual più sue glorie ha sparte.
Che là 've il ciel comparte
merto infinito, il giudicar vien meno;
e riman vinta umana lingua ed arte.
Tal io non scorgo a pieno
volto a te di virtù specchio fra noi;
se più 'l tuo affetto, onde arricchir mi vuoi,
o la tua dolce musa
m'ha d'obligo e piacer l'alma confusa.

313

[A Ercole Udine]

Giovar altrui, sì come
bramo, al poter non lice;
e ha 'l mio nome in me steril radice.
Ma voi, spirto gentile,
me di picciolo e fral, col vostro stile,
magno e divin rendete,
facendomi sembrar quel che voi sete.

314

[Ad Antonio Beffa Negrini]

Di mia vita il sereno,
da ch'io nacqui, turbar contrarie stelle.
E s'io cantai talor, mie rime poi,
quasi figlie men belle,
rinchiusi; e negai lor l'aura celeste.
Né men, Beffa, per voi,
ch'in lodarle occhi ciechi amando avete,
uscir devran del chiostro;
poiché nel canto vostro
senza periglio e con sicura gloria
può serbarsi immortal la mia memoria.

315

[A Enea Baldeschi]

Or sì che udran gli Esperi, udran gli Eoi
dovunque di virtù grido risuona,
di me la fama: poiché 'l cielo intona
e divien chiara al mondo, Enea, per voi.

O magnanimo cor, ch'i propri suoi
pregi si spoglia e largo altrui gli dona;
di cortese valor doppia corona,
cui raro altra simil fiorio tra noi!

Così mi sia 'l favor del vostro nome
sostegno, ov'io per me, debile, inchino,
mentre d'onor con voi la strada prendo.

Ma poiché non arrivo a l'alte chiome
del vostro merto, il cor gli sacro e, chino,
per pegno almen d'eterne grazie il rendo.

316

[A Francesco Bembo]

Quel pregio che non pon mie roze carte
sperar da sé, tua man, Bembo, a lor porge
mentre il sol di virtù ch'in te si scorge
a le tenebre mie splendor comparte.

Così talor di bassa oscura parte
uom per fortuna ad alta gloria sorge;
e 'l tuo soverchio amor nulla s'accorge
che guida lungi al ver la penna e l'arte.

O per me dolce inganno, o vero nume
di cortesia che m'alza a tanto segno
e quel ch'è propio suo di me presume!

Io pur, qual parto del tuo chiaro ingegno,
teco eterno vivrò dentro al tuo lume,
stimando e marmi e bronzi onor men degno.

317

In morte del clarissimo signor Giorgio Gradenico

Fornito hai, Giorgio, il tuo bel corso, e 'l volo
da terra spieghi a degna palma in cielo:
ma gioia a te portò di morte il velo,
a noi, privi di te, lagrime e duolo.

Piange e Febo e 'l sacro Aonio stuolo,
piange orbata virtute in mesto volo;
tu di senno e valor, di santo zelo
specchio fosti nel mondo o raro o solo.

Nato a giovar vivesti, e del tuo lume
s'ornò la patria, e proprio ebbe in te vanto
ogni bell'opra, ogni real costume.

Ma perché del tuo ben lagnarsi tanto?
Versiam più tosto in te di lodi un fiume,
e asciughi la tua gloria il nostro pianto.

318

In morte dell'illustrissimo signor Ascanio Pignatello. Primo

Sparisti, Ascanio, ahi destin crudo e fero
ch'a noi ti tolse! e sparì teco insieme
d'Italia un chiaro lume, e in lei la speme
nata per te del suo splendor primiero.

Ch'in te, spirto gentil, degno d'impero,
fiorian di novo eroe doti supreme,
né di tua gloria fu men fertil seme
poggiar del bel Parnaso al giogo altero.

Piange or la tua natia, nobil sirena
piangon le Muse: e non versar mai tanto
per gli occhi umor da sì dogliosa vena.

Ché, come al valor tuo cede ogni vanto,
così del tuo partir l'amara pena
stimar fa scarso ogni più largo pianto.

319

Secondo

Mentre che 'l bel Sebeto a le sue sponde
risonar ode: — Il grande Ascanio è morto! —
con fronte mesta anch'ei, da l'acque sorto,
al publico dolor così risponde:

— Oh qual sol di virtute a noi s'asconde
a l'eterno oriente in ciel risorto!
Quanto l'occaso suo gran danno ha porto
de l'alto Ibero e d'Ippocrene a l'onde!

Sfrondi de' lauri suoi, sfrondi le cime
Febo, e de le sue palme il fero Marte:
cinti il crin di funesta, oscura benda.

Ed ai lor tronchi l'uno in alta parte
di lui la spada, e l'altro infra le prime
la nobil cetra lagrimoso appenda. —

320

Terzo

Sfoghi ciascun d'Ascanio al chiaro nome
sovra il sepolcro il primo acerbo lutto;
ma tosto poi, dai lumi il pianto asciutto,
sian da ragion le forze al senso dome.

Ch'a noi nol fura il ciel, ma il toglie come
tesor per sé, non già per noi, produtto;
e basta ben di sue degn'opre il frutto,
ch'insegnan d'alti fregi ornar le chiome.

Or la bell'alma in Dio beata gode
di vita a par di cui quest'altra è morte,
ch'ognor fortuna afflige e 'l tempo rode;

né vive sol ne la celeste corte,
ma la fama di lui, ch'intorno s'ode,
gli apre ancor qui d'eternità le porte.

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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