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I Trovatori (7)

Post n°1122 pubblicato il 25 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847, pag. LI-LVI

CIII. La sconfitta ch' ebbe il nostro volgare dal barbaro francese, anzi che a maggior o minor coltura, si deve in tutto attribuire a influenze diverse, e a mutate ragioni politiche; perchè, a dir il vero, i due volgari erano rozzi e incolti del pari. Quando però dalle semplici cose domestiche e mercantili il dir romano fu innalzato a trattar le cose pubbliche, gli affari politici dello stato, e gli affari religiosi della chiesa, si cominciò a dirozzare, e polire, e prendere qualche forma di gentilezza e di civiltà.

CIV.  Allora mutaronsi le condizioni dei due paesi. La Provenza non ebbe più quelle frequenti relazioni con gli italiani, le quali si voltarono invece verso Francia, di cui più tardi doveva diventar provincia; e il dir romano dei provenzali non potè più seguire le fasi dei perfezionamenti, che ogni giorno, coll' avanzar della civiltà, subiva il dir romano in Italia. Anzi, a misura che il nostro volgare si perfezionava, si poliva, e diventava più colto e più gentile e più armonioso, i provenzali, rimasti isolati da questo gran movimento, e abbandonati a se stessi, accolsero qualche voce araba o spagnola, come quelle terminate in ada, e qualche voce francese, per Io più avverbi, onde per questi due novi elementi introdotti nel romano dai provenzali ne sorse un novo linguaggio, diversissimo dal francese, e somigliantissimo e identico per le radici, i modi, e le costruzioni all'italico antico, e dall'italico d'oggidì solo per le desinenze diverso. Ecco la vera origine della lingua provenzale.

CV. Goffredo Rudel, trovator provenzale che fioriva nel 1170, chiama ancora romana la sua lingua. I grammatici provenzali dichiarano errori di lingua le voci francesi introdotte nel provenzale. E Raimondo Vidale, altro trovator provenzale, scrive «che tutti quelli che dicono amiz per amie e moi per me, tutti fallano, che sono parole francesi, e l'uomo non le dee mescolar alle provenzali».

CVI. E la ragione si è, che la provenzale e la francese son due lingue diverse, e procedono dai due poli opposti; perchè la lingua francese trae la sua origine dalle lingue nordiche, e la provenzale dalle meridionali, e non è altro che uno dei tanti dialetti del volgare comune d'Italia. Però tutto quanto si trova di comune tra i provenzali e gl' italiani noi non converremo giammai col Bembo che sia stato rubato dai fiorentini ai francesi, ma si bene coll' esimio Perticari francamente diremo, «che fu del romano comune, ed è conservato nella lingua degli italiani: di che trovasi ancora esempio nei provenzali,» come noi diremo nel dialetto napoletano, bolognese, siciliano, corso, veneto, lombardo, o meglio ancora nei dialetti italici delle isole e delle coste del mare mediterraneo, del mare ionio, del mar nero, o nelle colonie italiane della Morea, dell' Asia Minore, di Gaffa, o della Tana, dove il commercio e le relazioni degli italiani introdussero la lingua italiana, modificata però di forma e di pronunzia, secondo le condizioni diverse di maggior o minor coltura, di maggior o minor affinità col linguaggio dei nativi di quelle contrade.

CVII. Il provenzale non è adunque altro che uno dei tanti dialetti del volgare comune d'Italia, com'era a un bel circa, nel novecento. Le voci e i modi dei provenzali, che non s' incontrano nella illustre lingua italiana, hanno certamente radice, e si possono riscontrare nelle voci e ne' modi degli antichi e moderni dialetti di tutte le provincie italiane. Addurrò un solo esempio di Guido d' Uissel.

L' autre jorn per avventura
M' anava sol cavalcan
Un sonet notan
Et trobei toza ben estan

CVIII. Dov' è da osservare che la voce autre per altro, e il cangiar sovente l' l in u è modo usitatissimo nei dialetti piemontese, genovese e lombardo; e se ne ha molti esempi anche nella Tavola Rotonda. Per avventura è maniera del volgare illustre; m' anava per me n' andava è modo vivente nel dialetto umbro e romanesco -, sonet per sonetto, cavalcan per cavalcando, notan por notando, ben estan per bene stando son modi e troncamenti dell'antichissima lingua italiana, ancor viventi in quasi tutti i dialetti dell' alta Italia. Trobare per trovare è vivente nei dialetti delle alpi marittime e cozzie e ne' monti siciliani, i due opposti estremi confini d'Italia, e si trova in Ciullo d' Alcamo: toza o tosa per fanciulla è vivente nel dialetto bolognese e milanese, si riscontra in Ciacco dell' Anguillara trovator dugentista, ed era, in antico, comune a tutti i volgari italiani.

CIX. Il chiarissimo Perticari ha dimostrato con evidenza la grande affinità del dire provenzale col nostro, e come si trovano in quello tante eleganze toscane, e tanti fiori della lingua italiana illustre, e i modi più caratteristici dell' italica favella, quali - essere a dire - dire di no - escire a capo - non aver che fare - preso d' amore - prender guardia - venir a piacere - non far motto - da valle e da monte - chiamar mercè - a pena - anzi - adunque - innanti - davanti - anzi che - come - così - siccome - entro - mentre - mentrechè - insieme - intorno - di fuori - fuorché - omai - qui - giammai - giù - in giuso - suso - giusta - malgrado - meno - almeno - per mezzo - unqua - unquemai - onde - però - perciò - perchè - peggio - poi - di poi - appresso - quando - secondo che - sì che - sempre - tutt' ora - senza - anziché - altresì - sopra - sotto - tosto - a traverso - troppo - inverso - e perfino la pietra di paragone della lingua italiana, il modo affermativo si.

CX. È da notarsi che non solo come delle voci e dei modi schiett' italiani, ma dei versi interi italiani, senz'alcuna alterazione, si posson vedere nei trovatori provenzali, come quelli di Bernardo da Ventadorno:

Ciascuna creatura
S' allegra per natura.

E così in quelli di Gioffredo:

Il gira la testa
Del buon destrier ver quella part.

E Rambaldo di Vachiera scrisse:

Gioven dev far guerra e cavaleria.

CXI. La radice delle voci, l'inflessione delle parole e la costruzione de' periodi sono assolutamente conformi nel provenzale come nell' italiano, e tutta la differenza che passa fra queste due lingue consiste nelle desinenze delle voci, e in quelle variazioni, che unicamente dipendono dalla pronunzia locale, e da maggior o minor coltura e raffinatezza di civiltà, e non da diversa natura del linguaggio stesso; le quali variazioni e diversità di pronunzia e di desinenze, tutte, come abbiam detto, s' incontrano ancora nei diversi dialetti italiani viventi.

CXII. Anche il profondo filologo, Leonardo Salviati, negli aurei avvertimenti, sospettò che la lingua provenzale fosse invece derivata dall' italiana, e non l' italiana dalla provenzale, com' era l' opinione del volgo. «Se il primo presupposto fosse da consentire, dic' egli, cioè che da sì fatta lingua, più forse per avventura che per ragione stata in pregio alcun tempo, la nostra bella e dolcissima togliesse in presto i vocaboli, e non più tosto quella, per lo contrario, gli avesse dal volgar nostro; avvegnaché forse la provenzale, prima che la toscana, gli mettesse in opera e in iscrittura; o, per me' dire, in più antichi libri rimasi sieno nel provenzale idioma, che non han fatto nella nostra favella. Di che più di una può esser la cagione».
La ragione vera, perchè si trova qualche scrittura provenzale forse più antica delle italiane, cred' io che sia questa. La civiltà de' provenzali fu iniziata, e promossa e diretta dagl' italiani, e procedeva di pari passo alla stessa civiltà italiana. Quando, per nove condizioni politiche, si trovò, tutto ad un tratto, separata e divisa da quel gran movimento che conduceva i nostri maggiori alla libertà politica e civile, questa civiltà provenzale senza guida e senza sprone, rimase ferma, e direi quasi in sospeso, sui confini della barbarie, e isolata e stazionaria sotto il reggimento dei suoi principi, senza poter mai pervenire a un più alto grado di coltura, di quello ove l' aveano condotta l' influenza degl' italiani. E così avvenne della loro lingua, la quale rimase la stessa nel trecento e nel quattrocento, qual era nel mille cento. Ma ben diversamente avvennero le cose in Italia, dove si accesero tanti fuochi di civiltà e di coltura, quant' erano corti, università, comuni e repubbliche; e a tutti questi fuochi tanto si affinava il nostro antico linguaggio, che se ne vide poi risplendere l' oro puro in Dante, Petrarca, Boccaccio, Macchiavelli, Guicciardini e Torquato, e in tanti altri esimi scrittori, i quali innalzarono la lingua italiana al più alto grado di coltura e di perfezione. Allora accadde che gl' italiani, avvezzi di buon ora all' eleganza e all' armonia di questi sommi scrittori, incominciarono a disprezzare li stessi trovatori dugentisti, i quali usarono pure una lingua italiana, già dirozzata e colta, ed ebbero a sdegno Guido da le Colonne e Iacopo da Lentino, e Federigo II, e Re Enzo, e fra Guittone, e tutti i migliori scrittori di quel secolo; sprezzando poi altamente e condannando a un eterno oblio tutto ciò che in nostra lingua volgare era stato scritto prima del mille; e durando tuttavia il costume di scriver in lingua latina tutti gli atti notarili, legali e officiali, non vi fu alcuno che delle cose in lingua italica anticamente scritte, volesse far ricordo. Il qual disprezzo per l' antica lingua italiana è ancor a' nostri giorni tanto grande, e tanto smisurato, che la irragionevol turba volgare, mentre accetta volentieri le bruttissime ed orribili voci straniere, da dieci o vent' anni introdotte nella lingua italiana, chiama spregevole o barbara, sol che v' incontri una voce disusata, un ette che non intenda, la più bella, la più dilicata e la più sublime poesia degli scrittori dugentisti.

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Data di creazione: 26/04/2008
 

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