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Messaggi del 29/01/2015

Mariotto Davanzati 10-15

Post n°1156 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

X

Sonetto del detto Mariotto in bisticci mandò a Mari de' Nobili.

Mari, s' tu miri colla mente al manto,
il qual portò per te sì puro puero,
ché, per merto di morte, el viro vero
de' chiovi ebbe le chiavi, assunto santo;

e saggi seggi dipinti di pianto
e co' ragni che regna il furo fero,
e dove deve far lo 'mpirio impero,
ch'è or da' pravi privo chente incanto,

gli astuti istati delle terre tôrre
a' giusti pe' magesti sotto setta,
da gente giunta di novo alla nave;

che vale a' vil veder che curro corre
el mondo a chi nel manda e natta netta
fare a chi tira e tara prove prave?


XI

O cari amici, el dì primo ch'i' nacqui,
correndo al fine per mi' aspre sorte,
da chi non so, ma fummi dato in sorte
colei piacermi, a chi i' sempre spiacqui.

E per voglia di gir, sempre pur giacqui
serrato sanza chiavi e sanza porte,
ch'or pian passo, e or correndo forte
gir mi pareva a gridar, quando tacqui.

Pur giunto al fin dell'ultime giornate,
riguardando el cammin dubbioso e stanco,
sursi in porto, ove i' scesi a men vantaggio;

po' ch'io perde' delle prime derrate,
vorrei saper da voi prudente e franco
s'i' pur disarmo o fo nuovo vïaggio.


XII

Grazia somma dal ciel par che t'abbonde
o del Petrarca ver figlio adottivo,
ché dal vulgo ti veggo isciolto e privo
e da lor fantasia, ch'è volta altronde.

Versi sonori e rime alte e gioconde
in te conosco e stil tanto giulivo,
che il degno ispirto tuo contemplativo
ascende al terzo cielo immenso fonde.

Onde 'l tuo legno ha' già volto a buon porto,
seguendo ove natura e 'ngegno il tira;
ne mostra frutto qual n'apparve il fiore,

il qual fa viver l'uom poi che sie morto,
e chi noll'ha veduto ne sospira;
ma radi vivi gustan tal sapore.


XIII

Chi avesse una mandria di cavalle
e bisogno gli fussi uno istallone,
per ben ch'egli abbia vista di poltrone,
opra darebbe a tutte le sue stalle.

Egli è tutto doglioso e pien di galle,
e poco teme iscurïata o sprone;
per riverenza ispesso in ginocchione
si mette col gran capo e colle spalle.

Egli è di trista razza padovana,
come si vede in ogni sua fattezza
giuntato, l'uno grida pur: «Ferrana!»

Ed è ben sette braccia per lunghezza,
poco budello e la testa balzana,
e ritto non può star per debolezza.

Dorme in sulla cavezza,
restio, bolso, sanz'unghia e spaventato
se getta gli occhi a' punto ha raguagliato.


XIV

O indiscreto, perfido tiranno,
nimico a chi mantien tuo signoria,
o donator di morte e vita ria,
d'ogni pericol padre e d'ogni affanno,

sie maladetto l'ora, el punto e l'anno
ch'i' volsi e passi alla tuo torta via,
per seguir la crudel nemica mia,
allegra sempre d'ogni nostro danno!

Né prender mi potevi in altra forma
che negli occhi di quella, dove iscorto
lessi: «Qui si riposa ogni tuo pace».

O amorosa legge falsa e 'nnorma,
che vuol ch'i' sia da quella cosa morto,
che più amo nel mondo e più mi piace!


XV

Del detto fecelo a Pier di Cosimo per la Giovanna.

Giunse a natura in ciel l'alto concetto
in ascendente più conforme a Giove,
onde in costei mostrar tutte lor prove
vollon, d'ogni biltà per sagro oggetto,

aggiunto a quel virtute e intelletto
non visto unquanco, né sentito altrove;
né più far puossi el manco. Indarno move
a formar corpo uman degno e perfetto.

Diamante in fino or non vincerebbe
più vetro in piombo quale el suo bel viso
evanì Vener, Diana in ciascun senso,

e diva crederriesi; anzi sarebbe
ratta per coronare el paradiso,
ornando più piatà suo core immenso.

 
 
 

Il Dittamondo (5-26)

Post n°1155 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO QUINTO

CAPITOLO XXVI

Per la gran neve e per la nebbia strana, 
chiuso e nascoso il suo corpo nutrica 
l’orso, l’unghia succiando, ne la tana. 
E cosí, nel gran verno, la formica 
si ciba di quel grano, ne la grotta, 5 
c’ha trito e acquistato con fatica. 
Similemente dico la marmotta, 
cui il maschio suo per avarizia caccia, 
poi c’ha la schiena ben pelata e rotta, 
fa nuova tana e tanto si procaccia, 10 
che ritruova il suo cibo, e quivi posa 
in fin che sopra terra sta la ghiaccia. 
E la serpe, che fu sí velenosa 
nel sol del Cancro, sotto terra vive, 
mutando spoglia, e fuori uscir non osa. 15 
E i pesci, che pasciano per le rive 
nel dolce tempo, ne’ pelaghi vanno 
per le gran cave e per le conche prive. 
E quasi tutte quelle piante, c’hanno 
atto di vita, son per lor natura 20 
chiuse e rastrette e come morte stanno. 
E i marinari, che con gran rancura 
cercâr la state i luoghi marini, 
ciascun guarda ora il tempo e ha paura. 
Per questo modo ancora i pellegrini, 25 
che ne la primavera giano a torno, 
in tutto hanno lasciato i lor cammini. 
E io sol sono, che la notte e ’l giorno 
dietro a Solin pellegrinando vado, 
essendo il sole al fin di Capricorno. 30 
O tu che leggi, al quale utili bado 
che siano i versi miei, asempro prendi 
se puoi; non perder tempo in alcun grado, 
ch’io voglio ben che noti e che m’intendi, 
ché l’uom ch’è pigro non fará mai bene, 35 
ché ’l vizio è tristo e tristizia n’attendi. 
E imagina che quanto il mondo tene, 
non è paese piú scuro né reo 
che quello, onde andar or ne convene. 
Un’isola è, che la noman Moreo, 40 
presso al Nilo, in verso l’oriente, 
lungo lo qual Solino il cammin feo. 
Di sopra questa confina una gente, 
la quale udio che son detti Macrobi, 
grande del corpo, bella e intendente. 45 
Ignudi vanno tutti e senza robi; 
legano i membri, adornan di metalli, 
d’oro e di pietre riccamente adobi. 
Qui mi disse Solin: "Non vo’ che falli, 
ma ’l ver ne porti di costor, da poi 50 
che se’ giunto a veder li loro stalli. 
La vita han lunga il doppio piú di noi; 
amano equitá, aman ragione 
quanto altra gente che tu sappia ancoi". 
Un lago vidi in quella regione, 55 
del quale ancor la natura m’aperse, 
come nel libro suo la scrive e pone. 
Apresso ancor mi disse e mi scoperse 
come lá presso li Popiti sono, 
genti bestiali, crudeli e diverse. 60 
Gustan la carne, quando aver ne pono, 
dico de l’uom, per denari o per forza: 
che qui non è pietade né perdono. 
E io a lui: "S’alcuno non mi sforza, 
non passo lá; d’altro fa che m’avise, 
ch’io non darei, per vederle, una scorza". 
Un poco me guardando, in fra sé rise; 
poi disse: "Ben hai detto, fuggiam queste". 
E per altro cammino allor si mise. 
Noi trovammo deserti e gran foreste 
e luoghi solitari e pien di rabbia 
dico di mostri e di altre tempeste. 
Come l’uccel, che cerca per la gabbia 
d’uscirne fuori, cercavamo ognora, 
sempre appressando in verso il sen d’Arabbia. 75 
Per quelli stremi di levante, allora, 
trovammo genti con sí strani volti, 
che a imaginarli me ne segno ancora. 
Io ne vidi in una parte molti 
senza naso, la faccia tutta piana, 80 
che, noi mirando, ridean come stolti. 
E vidivi, passato quelle tana, 
un’altra gente, la quale, a guardarla, 
piú mi parea salvatica e strana. 
Questi han per bocca un foro e mai non parla; 85 
vivon di quel che la terra produce, 
ché fatica non hanno a seminarla. 
E pria che Tolomeo fosse lor duce, 
la maggior parte, per quello ch’i’ udio, 
non conosceano fuoco né sua luce, 90
e come bestie seguiano il disio.
 
 
 

Solo ccosì

Post n°1154 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Solo ccosì

Da Capodanno è già passato 'n mese.
Er tempo córe e 'n só ccapacitamme
de come faccio 'n fretta ad invecchiamme
e l'anni me riempieno d'offese.

E tocca stasse zitti e bbuggiaroni,
perché nun serve a ggnente ribbellasse,
serve sortanto a 'n po' de ppiù 'ncazzasse
e fasse rode sempre li cojoni.

Chissà se l'artri mesi li vedremo
de 'st'anno ch'è inizziato 'n ber po' mmale
e a ffine anno ancora ce saremo.

E allora, butta ar cesso le tue pene,
penza a l'amore, de la vita er sale,
perché solo così sse vive bene.

Valerio Sampieri
29 gennaio 2015

 
 
 

Il Dittamondo (5-25)

Post n°1153 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO QUINTO

CAPITOLO XXV

"Come s’allegra e canta l’uom salvatico,
quando il mal tempo e tempestoso vede,
isperando nel buono, ond’ello è pratico, 

similemente a l’uom far si richiede 
di rallegrarsi e prendere conforto 5 
contro ogni avversitá che ’l punge e fiede. 
E però tu, che per questo bistorto 
paese vai con fatica e con pene, 
conforta e spera alfin trovar buon porto. 
Colui per savio e discreto si tene, 10 
lo qual sa trarre, de l’oscuro, lume, 
quando bisogna; e ancora, del mal, bene". 
Cosí dal monte, ch’arde per costume, 
dove sta l’aire ognor pallida e smorta 
per la cener che gitta e per lo fume, 15 
confortando m’andava la mia scorta, 
dubitando di me, come fa il fisico 
ch’a maggior rischi lo ’nfermo conforta. 
Quivi passammo un bosco con gran risico, 
però che tanti v’ha mostri e serpenti, 20 
ch’a vederli un ben san verrebbe tisico. 
Li nostri passi erano levi e attenti 
quai son d’un ladro, quando al furto appressa, 
con gli occhi accorti e pieni di argomenti. 
Usciti fuor de la foresta spessa, 25 
trovammo una campagna, che da’ lepri 
non so ch’altrove piú bella sia messa: 
però ch’avea a modo di ginepri 
li suoi cespugli, ma un poco piú bassi, 
presso a un fiume nominato Astepri. 30 
E sí come Solin lá volse i passi, 
senza ch’io domandassi, disse adesso: 
"Non per cacciar questo bel luogo fassi: 
cinnamo è tutto ciò che qui è messo: 
guarda il terreno e guarda la sua forma 35 
con breve ramo, umile e depresso". 
E io, che gia pur dietro a la sua orma 
ascoltando, dal gran disio sospinto, 
quanto dicea notava e ponea in norma. 
E poi che fummo fuor di quel procinto, 40 
arrivammo in un altro paese, 
dove si truova la pietra giacinto. 
"O luce mia, diss’io, fammi palese 
la natura di questa pietra cara". 
Per ch’ello, udito ciò, a dir mi prese: 45 
"Questa secondo il tempo è torba e chiara; 
caccia da l’uomo tristizia e sospetto; 
contro a tempesta e folgore ripara. 
Rallegra il cuor, conforta e dá diletto; 
malanconia da l’animo tole; 50 
utile è a’ membri: e questo è il suo effetto. 
Riceve e prende sua vertú dal sole; 
lo granato, in fra gli altri, chi lo trova, 
sempre per lo piú fin prender si vole. 
Lo crisopasso, un’altra pietra nova, 55 
dove truovi il giacinto si riduce, 
secondo che per quei di qua si prova. 
Questa, ch’io dico, nasconde la luce 
per sua natura propiamente e cela; 
oscuritá e tenebre produce. 60 
Odi contrarietá: che ’l dí si vela 
d’un color pallido e la notte scopre, 
che fuoco pare, a mirar, la sua tela". 
E io a lui: "Questa par che s’aopre 
com lucciola, che la sera risprende: 65 
lo giorno è smorta e la sua luce copre. 
Ancor come carbon, che ’n fuoco accende, 
ho veduto la notte un guasto legno 
lucer da sé e ’l dí tenebre rende". 
Come colui che ha l’animo e lo ’ngegno 70 
fitto a un pensier, non mi rispose, 
ma seguio il suo parlar pur dritto al segno: 
"Ancor piú altre pietre il ciel dispose, 
forse a ristor del mal, per l’Etiopia, 
che molto son gentili e preziose". 75 
E qui mi disse la natura propia 
de l’ematite, il colore e la forma; 
poi del topazio cosí mi fe’ copia: 
"Dal sol prende vertute e si conforma; 
a chi ha calde le reni utile è molto 80 
e propio a infermo, che supino dorma. 
Mirandol, mostra con ritroso volto; 
piú d’altra pietra dentro a sé risprende; 
lo sangue stringe e tienlo in sé raccolto. 
L’acqua raffredda, ch’al bollor s’accende; 85 
da fantasia e lunatico morbo, 
da ira e da tristizia l’uom difende. 
L’occhio rallegra e ’l cuore, quando è torbo; 
conserva castitade, acquista onore: 
e però qual n’è degno non è orbo,
se sua natura segue e ponvi amore".
 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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