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Messaggi di Luglio 2017

Angelo Di Costanzo

Angelo Di Costanzo

Morto verso l'anno MDXC.

Quella cetra gentil che in su la riva
Cantò di Mincio Dafni e Melibeo,
Sì che non so se in Menalo o in Liceo,
In quella o in altra età, simil s'udiva;

Poi che con voce più canora e viva
Celebrato ebbe Pale ed Aristeo,
E le grand'opre che in esilio feo
Il gran figliuol d'Anchise e della Diva;

Dal suo pastore in una quercia ombrosa
Sacrata pende; e se la move il vento,
Par che dica superba e disdegnosa:

Non sia chi di toccarmi abbia ardimento;
Che se non spero aver man sì famosa,
Del gran Titiro mio sol mi contento.

Angelo Di Costanzo



COSTANZO. Napoletano: per esso l'arte de' sillogismi in sonetti giunse alla perfezione: sciaguratissima perfezione! Pur questo componimento è il solo, per avventura, nel quale il Costanzo, tenendo altra via, sia riescito poeta. Pare uno de' belli epigrammi greci. È in lode di Virgilio, che nell'egloghe assunse il nome di Titiro. Vedi i quattordici versi concatenati spontaneamente in un solo periodo, così che tu, leggendo, stai pur sempre attento sino alla fine a quella cetra appesa alla quercia. - Il Mincio è fiume del paese mantovano patria di Virgilio. - Dafni e Melibeo sono pastori nelle egloghe di quel poeta. - Menalo e Liceo paesi greci, celebri per la poesia pastorale. - Pale e Aristeo; la prima è Dea de' pastori, l'altro è Semideo che insegnò la cultura delle api: alludesi alle Georgiche virgiliane. - Enea fu figliuolo d'Anchise e di Venere; però nel settimo e ottavo verso s'allude all'Eneide.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

La partita

Post n°4024 pubblicato il 26 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

La partita

Te ricordi, Marietta, quela sera
che se faceva a scopa unicamente
pe' potesse bacià libberamente
senza fa' insospettì la cammeriera?

E tu, ch'eri più furba e più prudente,
pe' fa' la parte come fosse vera,
spesso dicevi: - Faccio la primiera,
l'ori, le carte (1) e tutto er rimanente. -

Ma appena scappò fòra er sette bello
la cammeriera, mezza insonnolita,
se squajò (2) co' la scusa der fornello...

Fu allora che te presi pe' la vita
e, doppo un certo bacio scrocchiarello (3),
te dissi piano: - Ho vinto la partita!

Note:
1 Termini del gioco.
2 Sparì.
3 Sonoro.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 391

 
 
 

In vista der giubbileo

In vista der giubbileo

'Na valanga de ggerte sta a le porte
pe' l'anno giubilare dei duemila,
che se li metti tutti quarti in fila
ce fai er giro der monno pe' tre vorte.

Tutta ggente se sa de malaffare
in cerca de perdono e d'indurgenza,
percui je serve, pe' pote' lucrare,
d'arimediasse quarche connivenza.

Li romani ce stanno tutti quanti
pe' via de quella dote naturale
che j'ha dato 'na forza sempre uguale
pe' vive co' li barbari e li santi.

Ce sara' un abbraccio universale
come a li matrimoni o ar funerale.

Tedeschi e ingresi co' l'americani,
francesi e li spagnoli coi cinesi,
mongoli e indu' insieme a l'africani
e poi, durcisinfunno, l'arbanesi.

Ce sara' 'na gran festa de bandiere
pe' le piazze, le strade e li menadri,
'na caciara de canti e de preghiere
peggio che pe' la festa de noantri.

Pe' organizza' l'ingresso ne le chiese,
o ne le catacombe, a li piu' boni
je sara' dato er visto portoghese.
Sara' ‘ra giostra piena d' emozzioni,

perche' le chiese, e' vero, sono sette,
ma l'hosterie settanta vorte sette.

Zambo (Giulio Zannoni)
Da: Zambo 'na storia - Poesie in romanesco di Padre Giulio Zannoni S.J.

 
 
 

Er parlà ciovìle de più

Er parlà ciovìle de più

Quando el Signiore volse in nel deselto
albelgare l'Abbrei senza locanda,
per darglie un cibbo a gòdere più scelto,
mandò come una gomba: era la Manda. (1)

Questa glie vende giù, come la janda
scende su li magliali a campo apelto.
E ‘l giudio vendembiava, (1a) e a dogni canda
c'impiegava sei gombiti di celto.

Nun mi pare mondezza (1a) sto guadambio, (2)
ché puro a sembolella era faccenda
di lassà un pranzo pagaticcio in cambio.

Se ci mettemo poi cena e marenda,
facevano un sei giuli di sparambio,
a conti fatti a caldamaro e penda.

ANALOGIE
SE NON SI DICE            NON SI PUÒ DIRE

scerto, ma: scelto        deserto, ma: deselto
sverto, ma: svelto        aperto, ma: apelto
                certo, ma: celto
scergo, ma: scelgo        albergo, ma: albelgo
locanna, ma: locanda        canna, ma: canda
manna, ma: manda            manna, ma: manda
rodére, ma: ròdere        godére, ma: gòdere
tomma, ma: tomba            gomma, ma: gomba
rajo, ma: raglio            majale, ma: magliale
majja, ma: maglia
cammio, ma: cambio        guadammio, ma: guadambio
cemmalo, ma: cembalo        semmola, ma: sembola
merenna, ma: merenda        penna, ma: penda
faccenna, ma: faccenda

Note:
1 Dal verbo mandare.
1a Vendembia per Vendemmia, Mondezza per Immondezza sono pel volgo vocaboli assai civili, particolarmente Mondezza che si distingue da Monnezza, parola dell'uso comune.
2 Il popolo dice guadagna e guadammio, sparagno e sparammio, risparagno e risparammio.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 21 ottobre 1831 - De Pepp'er tosto
(Sonetto 216)

 
 
 

A se stesso

Post n°4021 pubblicato il 25 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

A se stesso

Che stai? già il secol l'orma ultima lascia
Dove del tempo son le leggi rotte
Precipita, portando entro la notte
Quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

Che se vita è l'orror, l'ira, e l'ambascia,
Troppo hai del viver tuo l'ore prodotte;
Or meglio vivi, e con fatiche dotte
A chi diratti antico esempi lascia.

Figlio infelice, e disperato amante,
E senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
Giovine d'anni e rugoso in sembiante,

Che stai? breve è la vita, e lunga è l'arte;
A chi altamente oprar non è concesso
Fama tentino almen libere carte.

Ugo Foscolo

 
 
 

Ritratto di bimba

Post n°4020 pubblicato il 24 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Ritratto di bimba

E' la sua bocca un paradiso chiuso
Ove le perle rare sono ascose;
Sono i bei labbri suoi foglie di rose,
Gli occhi due fonti vive di plendor.

Ha la persona flessuosa e snella.
Sul volto suo perenne sta il soirriso,
Ha tutte le bellezze de l'Eliso
E' l'opra più superba dell'amor.

Chi vede questa fata ammaliatrice
Si sente il cuore e l'anima gioconda,
Ed ora a me, con la sua chioma bionda,
Mi ha attorcigliato e imprigionato il cuor!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 122

 
 
 

Bruno Lauzi

Post n°4019 pubblicato il 24 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Bruno Lauzi - Se tu Sapessi (1965)



Bruno Lauzi (Asmara, 8 agosto 1937 - Peschiera Borromeo, 24 ottobre 2006) è stato, a parer mio, uno dei più grandi cantautori italiani. Piccolo di statura era dotato di una fine ironia che gli permise, fino alla fine, di esorcizzare il Parkinson che contribuì a portarlo alla tomba. Sono famose due sue battute: non posso più suonare la chitarra, ma in compenso sono diventato un ottimo suonatore di maracas; il parkinson ha il vantaggio di avermi fatto smettere di bere vino (perché lo versava tutto sulla tavola).

Concludo con uno scherzo di Lauzi, che scrisse questa canzone in genovese su un ritmo di musica latina.

Bruno Lauzi - O frigideiro

 

 
 
 

Tango e furlana

Tango e furlana (1)

Er Papa nun vô er Tango perché, spesso,
er cavajere spigne e se strufina
sopra la panza de la ballerina
che, su per giù, se regola lo stesso.

Invece la Furlana è più carina:
la donna balla, l'omo je va appresso,
e l'unico contatto ch'è permesso
se basa sur de dietro de la schina (2).



Ma un ballo ch'è der secolo passato
co' le veste attillate se fa male:
e er Papa, a questo, mica cià pensato;

come vôi che se mòvino? Nun resta
che la Curia permetta, in via speciale,
che le signore s'arzino la vesta.

Note:
1 La danza tango nata in America era entrata in Europa dal 1911. Corse poi la voce che Pio X avesse suggerito di sostituirle come più castigata la furlana, antico ballo del Friuli, facendola provare in sua presenza
2 Schiena.

Trilussa
1° febbraio 1914. Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 390

 
 
 

Pietro Bembo

Pietro Bembo

Sonetto scritto nel MDXXI.

Già donna, or Dea; nel cui virginal chiostro,
Scendendo in terra a sentir caldo e gelo,
S'armò per liberarne il Re del cielo
Da l'empie man de l'avversario nostro.

I pensier tutti e l'uno e l'altro inchiostro,
Cangiata veste, e con la mente il pelo,
A te rivolgo: e, quel che agli altri celo,
Le interne piaghe mie ti scopro e mostro:

Sanale; chè puoi farlo: e dammi aita
A salvar l'alma da l'eterno danno;
La qual, se dal cammin dritto impedità,

Le Sirene gran tempo schernita hanno,
Non tardar tu; ché omai della mia vita
Si volge il terzo e cinquantesim'anno.



BEMBO. Veneziano; fu rinomato in letteratura fra' maggiori uomini del secolo di Leone X. Ad ogni modo è scrittore tepido; e ne' suoi versi italiani non move passo se non con piede tremante dietro le orme del Petrarca. Infatti questo sonetto, che ha il pregio d'una semplice, grave e religiosa compunzione, è pur imitato dalla divina canzone a Maria Vergine, l'ultima delle petrarchesche. Il Bembo supplica anch'egli la Vergine che lo sciolga dalla passione d'amore; e principia un po' cangiando, un po' guastando le belle idee e parole del Petrarca: non però se ne scosta; stanz. 6, in fine:

Prese Dio, per scamparne,
Umana carne al tuo virginal chiostro

disse il Petrarca. - Non mi piace il chiamar Dea la madre di Gesù; e sa di gentilesimo; - Per l'uno e l'altro inchiostro intende i suoi scritti italiani e latini. Eppure il Bembo pianse d'amore anche dopo avere mandato al cielo questa preghiera! Amò vecchio una Morosina gentil donna veneta, che morì giovanetta verso il 1535. Esso le sopravisse sino al 1547.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

Er servitor-de-piazza ciovile

Er servitor-de-piazza ciovile (1)

Lei sappi, si vvò véderle, che cquelle
indove el vostro Cane-colso (2) abbaglia, (3)
tutte cuperte di stole de paglia,
suono (4) le stufe delle Capandelle. (5)

Eh! sti Abbagni da noi vanno a le stelle!
Gente o di garbo, o nnobbile, o bbirbaglia,
bardassaria, (6) omminità, o vecchiaglia,
vonno tutti mettérce la sua pelle.

Chi ha ccallo..., dico caldo, di staggione,
o un caldo a un piede, o acqualche occhiopullino,
capa o la capandella o el Capandone.

La meno folla spendano un carlino
per quelle chiuse: ma le ppiú pperzone
a lo sbaraglio impiegheno un lustrino. (7)

ANALOGIE:
SE NON SI DICE            NON SI PUÒ DIRE
prendérle, ma: prènderle    vedérle, ma: véderle
porzo, ma: polso        còrso, ma: còlso
raja, ma: raglia        abbaja, ma: abbaglia
véderci, ma: vedérci        métterci, ma: mettérci

Note:
1 Civile.
2 Còrso.
3 Abbaia.
4 Sono.
5 Capannelle: bagni nel Tevere.
6 Ragazzaglia.
7 Moneta d’argento da cinque baiocchi: un grosso.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 20 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto
(Sonetto 215)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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