CHIACCHERE FRA AMICI

Quando finiranno questi soprusi sulle donne?!!!..


è questa la riflessione che mi sorge spontanea.. Mi auguro che finisca molto presto. E che una fiumana di donne riesca a riscattarsi, a far valere i loro diritti. Tra i quali la libertà di poter sposare chi vogliano, e non essere acquistate.. Leggete il fatto di cronaca avvenuto a Napoli. Come di consueto, vi chiedo di lasciare il vostgro pensiero, senza violare la netiquette.«Comprò» la moglie in Arabia. Il matrimonio è valido in ItaliaSi sono sposati in Arabia Saudita seguendo la legge islamica, la sharia; lui ha versato a lei un «donativo nuziale» obbligatorio di 2.000 dollari: in pratica, l'ha comprata. Il nostro ministero degli Esteri aveva ritenuto non valido il matrimonio in Italia. Un giudice del Tribunale di Napoli, invece, ha stabilito il contrario: il matrimonio è valido e Yusuf, che vive a Napoli, ha il diritto di ricongiungersi con la sua Osman. Una decisione che costituisce un importante precedente e che di certo farà discutere.Yusuf M., geometra oggi trentunenne, il 21 febbraio 2013 sposa a Jedda, in Arabia Saudita, Osman F., di sei anni più giovane; si tratta di un rito le cui forme ripropongono quelle proprie di una transazione commerciale. C'è un prezzo: nel caso di specie 2.000 dollari, che vengono versati nelle mani della moglie. Vi è la necessità di un rappresentante della volontà della sposa ed è applicabile il diritto al ripudio, atto di risoluzione unilaterale maschile. Poco dopo il matrimonio, Yusuf si trasferisce a Napoli e in novembre chiede al consolato generale italiano di Jedda il ricongiungimento con Osman, come previsto dall'articolo 4 del Testo unico sull'immigrazione. Il consolato, però, nega alla donna il visto di ingresso: manca, a giudizio dei funzionari, «documentazione idonea attendibile atta a dimostrare la propria condizione di coniuge». Il marito però non si arrende. Si rivolge all'avvocato Ciro Renino, che assieme alle colleghe Chiaralisa Uttieri ed Alessia D'Antonio prepara un'istanza al giudice civile. I legali sottolineano che, al di là delle forme, c'è una sostanza costituita dalla volontà dei due coniugi di costituire un nucleo familiare. Il Ministero degli Esteri si difende in maniera singolare. Non contesta la validità del matrimonio secondo la sharia, ma piuttosto cerca di dimostrare che quel matrimonio non è rispettoso delle regole sharia. In particolare sostiene di aver interrogato la donna con dei propri funzionari: Osman avrebbe confessato che il matrimonio neanche mai si sarebbe realizzato e che in pratica il marito non sarebbe stato neanche presente a Jedda. Il ministero sostiene poi che il religioso che ha celebrato il matrimonio, Mohamed Shaikd Alì, non ha alcuna qualifica, risultando per il governo dell'Arabia Saudita un semplice worker, cioè un operaio. «Io credo - ipotizza l'avvocato Renino - che si sia in tutti i modi cercato di evitare di creare un precedente, facendo perno su elementi estranei alla questione centrale». In ogni caso il giudice monocratico Marina Tafuri, della I sezione bis del Tribunale, accoglie il ricorso di Yusuf: «In assenza di elementi probatori che con certezza dimostrino la non autenticità del documento in parola, deve reputarsi che il rapporto di coniugio nel caso trovi fondamento». Questa la valutazione fatta nell'ordinanza: «La ricorrente avrebbe dichiarato all'ufficio Visti del consolato che Yusuf M. non era presente il giorno del matrimonio e che non avrebbe rilasciato alcuna delega in proposito. Tale circostanza, tuttavia, è contestata dalla ricorrente nel presente giudizio, né l'amministrazione, alla quale era stato richiesto, ha inviato copia della documentazione atta a confermare tale circostanza, né le istruzioni del ministero degli Affari esteri in merito alle condizioni e requisiti necessari per ottenere il visto di ingresso per ricongiungimento familiare con riguardo alla Somalia (la documentazione inviata concerne la normativa di cui TU ed il DM 85011 relativo al rilascio dei visti in generale, ma non quella relativa alla Somalia). Pertanto, tenuto conto della certificazione in atti, deve ritenersi che non siano emersi riscontri probatori sufficienti che consentano di ritenere il matrimonio in questione inesistente perché mancante di un elemento essenziale (il consenso di entrambi gli sposi), richiesto anche dal nostro ordinamento giuridico. Gli ulteriori rilievi prospettati, con riguardo alla predetta certificazione non sembrano rilevanti nel caso di specie, considerato che lo Stato Somalo ha certificato la validità del matrimonio, ivi compreso il ruolo del soggetto che lo ha officiato. In altri termini, in assenza di elementi probatori che con certezza dimostrino la non autenticità del documento in parola, deve reputarsi che il rapporto di coniugio nel caso trovi fondamento nella documentazione allegata». Il giudice nega tuttavia il risarcimento del danno, che pure era stato chiesto: «Non sembra nella fattispecie ricorrente alcuna ipotesi di dolo o colpa grave» nei confronti del ministero, «che ha esaminato e preso in considerazione la documentazione prodotta ma ha offerto della stessa una diversa interpretazione sulla base dell'istruttoria intrapresa». L'avvocato Renino tuttavia ha già deciso di appellare la sentenza richiedendo un risarcimento di circa 20.000 euro, «per i danni non patrimoniali subiti dalla coppia e corrispondenti alla lesione di diritti costituzionalmente garantiti e consolidatisi in due anni di separazione forzata».