Creato da giramondo595 il 14/11/2008

CHIACCHERE FRA AMICI

DI TUTTO UN PO'

 

Messaggi di Marzo 2014

2° giorno di apertura della pinacoteca virtuale

Post n°769 pubblicato il 29 Marzo 2014 da giramondo595

Abbiamo ammirato lo splendido quadro di Raffaello Sanzio, ora osserveremo la Punizione di Marsia di Tiziano Vecellio

 

Apollo e Marsia è un dipinto di Tiziano Vecellio compiuto tra il 1570 ed il 1576 e oggi conservato nel Museo Nazionale di Kroměříž, nella Repubblica Ceca.
Il dipinto fa parte della serie di opere a sfondo mitologico, concepite dal pittore nell'ultimo periodo della sua vita. Ritenuta unanimemente tra i capolavori dell'autore, rappresenta sulla tela il mito del supplizio di Marsia, il sileno che osò sfidare Apollo. Si tratta di un'opera cruda e impattante, nella quale il dolore di Marsia, scorticato vivo, viene trasposto direttamente nello stile scelto per rappresentare la scena: il pennello stesso strappa e scortica ogni superficie rappresentata, che sia pelle umana, erba o facciate di edifici.
L'iconografia rappresentata è dissonante, alla scena di dolore e strazio vengono aggiunti strumenti musicali e numerosi personaggi assistono alla punizione senza avvedersi realmente che essi stessi sono scuoiati dalla mano dell'artista.[
Mida, il personaggio posto sulla destra del dipinto con fare pensieroso, è probabilmente un autoritratto di Tiziano, il che si può intuire dal raffronto con il più celebre autoritratto custodito al Prado, il pittore appare così giudice dell'opera nell'opera stessa, paragonando il potere dell'artista a quello di Apollo.
La scelta di Tiziano di dipingere un tale episodio della mitologia greca è forse ispirata dalla violenta morte di Marcantonio Bragadin, militare della Repubblica di Venezia
si tratta di una delle ultime e più discusse tele di Tiziano; alla morte del pittore nel 1576 fu ritrovata nella sua bottega. Il dipinto intorno al 1620 viene acquistato dalla famiglia inglese degli Howards di Arundel, per poi passare a Franz Imsteraed di Colonia, nipote del collezionista e banchiere Eberhard Jabach. Nel 1673 viene messo all'asta e acquistato dal vescovo Karl von Lichtenstein, che lo trasportò nella sede episcopale di Olomüch in Cecoslovacchia, e quindi al palazzo arcivescovile di Kremsier, ora Kromeritz. Poiché non si conosce il nome di un committente e in virtù della particolare scelta iconografica, la critica ritiene che si possa trattare di un'opera personale, quasi un testamento figurato dell'artista stesso. Al centro del dipinto il satiro Marsia, inerme e appeso a testa in giù, viene seviziato da Apollo, chinato verso di lui con un coltello in mano, e dallo Scita, in piedi in secondo piano; alle spalle di Apollo un giovane vestito di rosso suona la lira. A destra troviamo re Mida, riconoscibile dalla corona e dalle orecchie asinine, che assiste pensoso al tragico evento, mentre un satiro accorre con un secchio d'acqua, forse per alleviare le pene del suo compagno. In primo piano un piccolo putto trattiene un cane da caccia e guarda verso l'esterno del dipinto; un cane più piccolo lecca il sangue che fuoriesce dalle ferite di Marsia. Ormai da tempo è stato individuato il modello utilizzato da Tiziano nel disegno di Giulio Romano, oggi conservato al Louvre, che servì da cartone per l'affresco della Sala di Ovidio di Palazzo Te a Mantova. Sebbene non più recentissima, la lettura del dipinto data da Augusto Gentili nel 1980 è quella che tuttora convince di più. Proprio in virtù di questo modello certo, egli mette in luce le varie differenze apportate da Tiziano nel suo dipinto nella convinzione che "ogni minima variante rispetto alla fonte avesse valore contenutistico" . I due particolari che risaltano maggiormente da un confronto sono il suonatore a sinistra, che nel disegno di Giulio era un semplice aiutante di Apollo che reggeva la lira, e il puttino in primo piano con il cane: con il supporto delle indagini radiografiche e in base a dei giudizi di tipo stilistico e iconografico, Gentili attribuisce l'esecuzione del bambinetto con il cane a un allievo non particolarmente dotato, mentre per quanto riguarda il giovane suonatore avanza il nome di Palma il Giovane, alla luce della "sua indiscussa abilità nell'imitare l'ultima maniera del maestro" . Sempre grazie alle indagini effettuate durante gli ultimi restauri, è emerso che in un primo momento al posto del suonatore che vediamo oggi era presente il portatore della lira ripreso da Giulio Romano; l'ipotesi plausibile avanzata da Gentili è che alla morte di Tiziano il dipinto fosse incompleto proprio in questo punto, e che gli allievi decidessero di finirlo commettendo un errore di lettura e interpretando il giovane con la lira non come un semplice aiutante, ma come Apollo stesso. Continuando con il confronto, a parte l'evidente diversità del formato usato, che fa risultare la composizione tizianesca molto più serrata e drammatica, abbiamo la posizione di Marsia - posto, al centro del dipinto, non più di profilo ma frontale, con le gambe incrociate a coprire i genitali - l'azione di Apollo, che, non più connotato dall'attributo solare della faretra, non si limita a tirar via la pelle incisa dallo Scita come nel disegno di Giulio ma la recide lui stesso con un coltello, e la posa di Mida, che non si copre più il volto per l'orrore, ma osserva mestamente la scena in una posa malinconica; inoltre, rispetto alla figura del mitico sovrano, è fondamentale l'intuizione del Neumann, ripresa e sviluppata da Gentili, che vi si celi un autoritratto del vecchio Tiziano. Riepilogando, Tiziano elimina i riferimenti sessuali presenti nel disegno di Giulio Romano e con questi una connotazione negativa della figura di Marsia, che per la posa e per lo sguardo intenso che induce a una riflessione profonda ricorda quasi un martire cristiano, così come tutto ciò che poteva identificare Apollo come dio solare e armonico, da contrapporre alla sregolatezza dell'altro. Il messaggio che Tiziano vuol farci arrivare non è tanto legato all'opposizione Apollo-Marsia, armonia-disarmonia: l'autore fa una riflessione profonda sul senso della vita, in cui gioca un ruolo fondamentale la figura di Mida-Tiziano, che viene ricordato non tanto per il suo errore di giudizio nella contesa (e infatti le orecchie asinine sono poco visibili nel dipinto), quanto per l'episodio precedente, "per aver creduto all'illusione del tocco d'oro", episodio rievocato dalla corona ben in vista. "La sua malinconia saturnina - la malinconia di una creazione artistica imperfetta e imperfettibile - proviene da quell'illusione: la lunga illusione del "tocco d'oro" del grande pittore, l'antica fiducia di trasmutare la materia in immagine preziosa, spenta dalla coscienza finale dell'assoluta irrilevanza dell'operazione artistica di fronte alla disgrazia della storia" . Lo studioso dell' arte David Freedberg ipotizza che la tela fu ideata dall'artista a seguito di un tragico evento contemporaneo, l'assedio turco sull'isola veneziana di Famagosta il 1 agosto 1571 che finì in massacro per i veneziani; in particolare, ritiene che l'opera fu generata dalla notizia dell'atroce tortura subita da Marcantonio Bragadin, ferito e lasciato sanguinante per giorni e infine portato nella piazza delle esecuzioni e scorticato vivo. la tragedia doveva essere commemorata e quell'immagine straziante ripresa, per essere nel contempo esorcizzata ed esaltata; e poiché era impensabile che l'estetica di Tiziano lo trattasse come evento storico, doveva essere rappresentata per analogia: lo scorticamento di Marsia era lì pronto. In questo quadro, c'è la pittura che il maestro Tiziano il vecchio, faceva con le mani, eseguita con la tecnica della pittura tirata via o come si dice in gergo spezzata.

 
 
 

1^ giornata di apertura della mia pinacoteca virtuale.

Post n°768 pubblicato il 26 Marzo 2014 da giramondo595

per celebrare uno straordinario evento... Il rapporto che lega la musica e la pittura. lo spunto è stato una lezione su questo tema interessante, tenuta in televisione dal critico d' arte Flavio Caroli , qualche domenica fa, dopo la chiusura del festival di S.Remo
Il primo quadro, è L'Estasi di santa Cecilia

un dipinto a olio su tavola trasportata su tela (236 × 149 cm) di Raffaello e aiuti, conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna e databile al 1514 circa, ma forse posteriore di uno o due anni, stando alla datazione al 1515-1516 del disegno preparatorio a sanguigna con la figura di san Paolo conservato al Teylers Museum di Haarlem e della datazione al 1514 del modello di Giovan Francesco Penni, ripreso nell'incisione dello stesso anno di Marcantonio Raimondi, che attestano entrambi dello stadio iniziale della composizione da cui il dipinto finale si discosta in maniera anche notevole.
L'opera venne commissionata dalla Elena Duglioli dall'Olio, nobildonna bolognese poi beata, per la cappella consacrata alla santa in San Giovanni in Monte. Un documento del 1514, pubblicato da Filippini nel 1925, cita il nome della nobildonna, moglie di Benedetto dell'Oglio, la cui vita spirituale si ispirava a quella della santa, per via del voto di castità nel matrimonio che faceva di lei una sposa-vergine come santa Cecilia, di cui aveva ricevuto anche una reliquia dal cardinale Alidosi, legato pontificio a Bologna. La commissione della pala d'altare al Raffaello fu patrocinata dal canonico fiorentino e futuro vescovo di Pistoia Antonio Pucci, con il probabile interessamento del cardinale datario Lorenzo Pucci, titolare dei Santi Quattro Coronati, a partire dal 1513.
L'opera venne trafugata durante le spoliazioni napoleoniche, venendo inviata a Parigi nel 1798, dove fu trasportata su tela, nel 1801. Tornò in Italia nel 1815. Le condizioni conservative sono buone, con tracce di ridipinture e alterazioni dei colori qua e là.
La celebrità del dipinto è testimoniata da numerose copie. Fu tra le opere predilette dai Carracci e Guido Reni, ed ebbe un fondamentale impulso per lo sviluppo del classicismo seicentesco. Dopo secoli di esaltazione accademica, la pala godette di una fase di criticismo durante l'epoca romantica, quando la sobrietà dei moti venne letta come appiattimento; oggi invece la critica moderna ne ha ribadito l'importanza fondamentale nel percorso artistico dell'artista e della storia dell'arte in generale.
Santa Cecilia si trova al centro di una sacra conversazione molto serrata, rappresentata a piena figura mentre, abbandonati gli strumenti musicali dei quali è protettrice, volge uno sguardo rapito al cielo, coi grandi occhi scuri, dove è apparso un coro angelico che intona una melodia celestiale. Di mano le sta sfuggendo un organetto portatile, dal quale si stanno sfilando due canne, mentre ai suoi piedi giace una straordinaria natura morta di strumenti musicali vecchi o rotti: una viola da gamba senza corde, un triangolo, due flauti sbocconcellati, dei sonagli, due tamburelli con la pelle lacera. Si tratta di un rimando alla caducità della musica "terrena", simbolo delle passioni umane (i flauti, i tamburelli ed i cembali, sono connessi al culto di Bacco) rispetto a quella "celeste". C'è anche chi vi legge un'opposizione tra la musica vocale del coro angelico e la musica strumentale, la prima essendo reputata dai Padri della Chiesa superiore alla seconda.
Attorno alla figura di santa Cecilia, l'unica in grado di ascoltare la musica celeste, si trovano quattro santi disposti a semicerchio, che rievocano la forma della "cantoria" celeste. Da sinistra: san Paolo, vestito di camice verde con il tipico manto rosso, regge con il palmo della mano sinistra la spada, tenendo fra le dita un cartiglio con l'iscrizione, ora illeggibile, Ad Corinth (allusione a 2Cor., 12:2-4) ha un atteggiamento meditativo e dà le spalle allo spettatore, ruotando la testa fino a offrire un profilo; san Giovanni evangelista in secondo piano, riconoscibile dal libro ai suoi piedi su cui si trova l'aquila; il suo sguardo si incrocia con quello di sant'Agostino, sull'altro lato, vestito da un pesante piviale ricamato e reggente il bastone pastorale; Maria Maddalena infine che tiene in mano l'ampolla degli unguenti e fissa lo spettatore. La scelta dei quattro santi è legata al tema dell'ascesa celeste e dell'estasi: Giovanni e Maddalena secondo la tradizione ascesero infatti al cielo, mentre Paolo e Agostino ebbero visioni dirette di Dio, il primo sulla via di Damasco, il secondo su un litorale, dove gli apparve il Bambin Gesù che gli dimostrò con un esempio l'incomprensibilità umana della natura di Dio.
Sullo sfondo si scorge un paesaggio collinare con, all'altezza del pastorale di sant'Agostino e della spalla sinistra di santa Cecilia, il profilo di una chiesa all'orizzonte, probabilmente quello del santuario di Santa Maria del Monte a Bologna. Il paesaggio è dominato da un ampio cielo blu, nel cui mezzo si apre, in uno sfavillante bagliore solare, la teoria dei sei angeli in coro, distinti, da sinistra verso destra, in due gruppi di quattro più due, ciascuno intento a leggere uno spartito
Uno dei problemi della pala è quello dell'autografia. Come noto in quel periodo Raffaello usava massicciamente aiuti e lo stesso Vasari assegnò la raffigurazione degli strumenti musicali ai piedi della santa a Giovanni da Udine. Il disegno della testa felina della voluta della viola da gamba richiama quello delle teste leonine della sedia del Ritratto di Dona Isabel de Requesens ad indicare un possibile intervento di Giulio Romano. Per il resto, la critica, sulla scorta anche di recenti restauri, riconosce un preponderante intervento di Raffaello ad avvalorare l'autografia raffaellesca del dipinto.
Evidenti a occhio nudo sono le discrepanze nello stile pittorico, ad esempio tra la massa imponente e opaca del san Paolo, alla veste illuminata incidentemente della Maddalena, con riflessi setosi e alabastrini che a Roberto Longhi fecero pensare alla scuola emiliana degli anni immediatamente successivi (come Parmigianino). In questo quadro c' è santa cecilia che abbandona gli strumenti musicali ed alza gli occhi al cielo in estasi. Gli strumenti musicali, sono stati realizzati da un allievo di Raffaello, Giovanni da Udine specializzato in questo genere di disegni, sotto la naturale supervisione del maestro.

 
 
 

apertura straordinaria della mia pinacoteca virtuale

Post n°767 pubblicato il 22 Marzo 2014 da giramondo595

Amici carissimi sono lieto di ospitare il nostro amico Julian con il suo capolavoro. THE LADY OF EILEAN DONAN CASTLE.

LA SIGNORA DI Eilean Donan Castle

Il nostro amico Julian ci descrive il suo capolavoro

Dipingere questo quadro, per me è stato un ritorno alle origini. Infatti fin dall'inizio della mia attività artistica, mi sono sempre ispirato alle atmosfere dei dipinti Preraffaelliti. In questo poi, volevo che gli influssi anglosassoni fossero ancor più marcati, visto che di recente sono stato scelto da una importante galleria di Manchester, che si occuperà di vendere le mie nuove opere. Tanti sono i castelli del Regno Unito che amo molto, ma certo quello di Eilean Donan è il mio preferito, per storia, ambientazioni e scenografia. Era certamente lo sfondo perfetto per questa Lady trecentesca e i suoi lunghi, interminabili capelli. L'arte, deve essere un piacere prima di ogni altra cosa, per chi la crea...e dipingere questo è stato veramente un piacere per me perchè mi ha fatto ricominciare a sognare e a volare con la fantasia.


Il castello di Eilean Donan è una delle immagini più simboliche della Scozia, famosa in tutto il mondo. Situato su un'isola alla confluenza di tre grandi laghi marini, e circondato da un paesaggio suggestivo, non c'è da meravigliarsi che il castello sia una delle attrazioni più visitate e importanti delle Highlands scozzesi. Pur essendo stato abitato fin da circa il sesto secolo, il primo castello fortificato risale alla metà del tredicesimo secolo, edificato per proteggere le terre di Kintail. Da allora, sono state costruite e ricostruite almeno quattro diverse versioni del castello nel corso delle pluricentenaria storia feudale scozzese.Parzialmente distrutto nel corso di una rivolta giacobita nel 1719, il castello in rovina rimane abbandonato per quasi 200 anni fino a quando il sottotenente colonnello John MacRae-Gilstrap acquista l'isola nel 1911 e riporta il castello al suo passato splendore. Dopo 20 anni di estenuanti lavori di ristrutturazione, il castello riapre i battenti nel 1932.

 
 
 

Non ho parole..

Post n°766 pubblicato il 19 Marzo 2014 da giramondo595

Per queste persone ci vorrebbe, l' arresto per il reato di attentato al patrimonio artistico, e l' interdizione da tutti i luoghi d' arte.

Brindisi in Provincia, l'assessore buca una tela del Settecento

Ripagherà il danno da lui provocato l'assessore della Provincia di Milano che ha danneggiato un quadro del '700 durante un brindisi di Natale a Palazzo Isimbardi, sede dell'ente milanese. Come si legge in una nota della Provincia, Roberto Cassago, assessore responsabile di numerose deleghe, involontariamente ha causato il danno a una tela di Palazzo Isimbardi e si è reso disponibile a rifondere la cifra necessaria al ripristino. Durante un brindisi natalizio con il personale dell'ente, l'assessore ha colpito in pieno con il tappo di uno spumante il quadro settecentesco dipinto da un ignoto per Capellino Isimbardi, nobile appartenente alla famiglia che acquistò il palazzo ora sede della Provincia. «L'Ente - si legge - ha provveduto nei giorni immediatamente successivi all'evento ad avviare tutte le pratiche necessarie per il ripristino del quadro che, compatibilmente con i tempi tecnici, sarà presto restituito alla cittadinanza».

Questa nota della Provincia, mi indigna maggiormente. Come si fa a scrivere simili parole

«La tela settecentesca - conclude la nota della Provincia -, di autore ignoto e del valore di poche migliaia di euro, ha subito un danno lieve, un taglio di pochi centimetri che è stato prontamente messo in sicurezza, in attesa del ripristino completo e definitivo».

Mi chiedo, cosa sarebbe successo, se a bucare questa tela, fosse stato casualmente un comune visitatore. La Casta dei politici  si deve semplicemente  vergognare.

Come, ha scherzosamente detto la Littizzetto, assessore mi raccomando non si avvicini aLLa stanza del Tiepolo. Mi raccomando


Palazzo Isimbardi
Il marchese Gian Pietro Camillo Isimbardi, che ricopre incarichi politici nella Milano napoleonica, trasforma Palazzo Isimbardi, già nella seconda metà del ‘700, in un centro di studi e di raccolte scientifiche. A quel tempo, accanto alla biblioteca sono allestiti sia un gabinetto di mineralogia, sia una raccolta di strumenti nautici e carte per la navigazione.
Nel 1817, i fratelli Alessandro e Luigi Isimbardi intraprendono opere di consolidamento dell'edificio, che coinvolgono il balconcino barocco, la soglia e le strutture del casino. In seguito, sia è rifatta la facciata verso il giardino, sia si riorganizza il parco con il modello all'inglese. Ci sono, secondo il gusto romantico, luoghi nascosti, una collinetta artificiale e grotte. Anche il cortile cinquecentesco è oggetto di modifiche: sono inserite colonne e la copertura del selciato con pavimentazione "a rizzarda", mentre scompare il pozzo centrale.
La ristrutturazione coinvolge pure gli ambienti interni: sale, salotti e gallerie sono decorati con stucchi e dorature.
L'aspetto attuale lo si raggiunge a fine ‘800, quando si sopraelevano le due ali laterali di un piano, modificando l'aspetto settecentesco, e sono introdotti due balconcini laterali per equilibrare quello barocco centrale.
Nel 1935, lo acquista la Provincia di Milano che, grazie ai lavori di restauro dell'architetto Ferdinando Reggiori, recupera il cortile cinquecentesco originario e i lacerti delle pitture delle pareti del sottoportico, con motivi ornamentali vegetali e architettonici.
L'ampliamento moderno all'angolo di Via Vivaio è progettato da Giovanni Muzio nel 1940. Egli aggiunge all'antica costruzione un nuovo edificio di stile funzionalista con la torre, i portali colonnati, i pannelli scultorei realizzati da Ivo Soli. Il nuovo palazzo è inaugurato il 24 ottobre 1942; circa mezz'ora dopo l'inaugurazione, su Milano si scatena il primo bombardamento che frantuma i vetri di tutte le finestre.
A seguito di questi bombardamenti e di quelli del 1943, i necessari lavori di ricostruzione e restauro sono diretti ancora dall'architetto Reggiori dal 1950 al 1953.

Aneddoti e Curiosità
Dal ballatoio dello scalone d'onore si accede all'atrio dei mappamondi. Montati su eleganti treppiedi baroccheggianti, due grandi mappamondi lignei, l'uno raffigurante la volta celeste e l'altro il globo terracqueo.

Nella sala della Giunta è presente una scrivania in radica di olmo della prima metà dell'Ottocento, forse usata dal maresciallo austriaco Radetsky quando ricopriva la carica di governatore militare del Lombardo-Veneto.

Da non perdere
La sala della Giunta, visitabile su richiesta, ospita un dipinto di Tiepolo che raffigura "Apoteosi di Angelo della Vecchia nel segno delle virtù".

Palazzo Isimbardi possiede anche un'importante collezione aperta al pubblico di opere ottocentesche. Ne fanno parte artisti quali, tra gli altri, i lombardi Leonardo Bazzaro e Luigi Conconi, il piemontese Lorenzo Delleani e il napoletano Edoardo Dalbono.

Il 9 maggio 2008, nella piazzetta antistante al palazzo è stata posta la statua "L'uomo della Luce", un dono della Provincia alla cittadinanza, in occasione della Giornata della memoria di tutte le vittime del terrorismo e delle stragi, istituita nell'anniversario dell'uccisione di Aldo Moro.

 

 
 
 

Una valanga di risate è in arrivo

Post n°765 pubblicato il 16 Marzo 2014 da giramondo595

Un uomo torna a casa la sera, e
trova un disordine spaventoso:
i piatti ancora da lavare,
i pavimenti sporchi, i letti sfatti
e la cena non ancora preparata.
Infuriato corre dalla moglie
e la trova davanti alla televisione.
- Si può sapere che cosa è successo?
- sbraita. - Semplice. Ogni sera mi
domandi che cosa ho fatto
durante il giorno. Ecco, oggi, non l'ho fatto.

 

Mi serve un frigorifero -
dice un uomo al venditore
di elettrodomestici.
- E mi serve subito, oggi stesso.
Come mai tutta questa fretta?
Beh, finora mi ero sempre accontentato
di una ghiacciaia,
ma oggi sono rientrato all'improvviso
e così, per scherzo,
ho dato una pacca sul sedere a mia moglie.
E lei senza voltarsi, ha risposto:
- Ah sì, oggi un solo blocco di ghiaccio.
Domani, invece due.


Quando Luigi esce dall'osteria stenta
a mantenersi in equilibrio.
Accidenti! - esclama - Possibile che
il vino sia andato tutto da una parte?

Gli animali che parlano.
Mamma tarlo dice al figliolo:
O mangi questa finestra o
ti butto nella minestra!

Uno scozzese si reca da un dentista.
Poiché l'operazione si prevede alquanto dolorosa,
il medico suggerisce di effettuare una piccola anestesia.
A questo punto il paziente estrae il portafoglio e comincia a contare il denaro.
Non c'è bisogno di pagare prima... -
lo avverte bonariamente il dentista.
Non ho nessuna intenzione di pagare prima!
- rimbecca l'altro
- Ma dal momento che qui si vuole addormentarmi,
ho tutto il diritto di fare un piccolo inventario!

 

Una pattuglia di carabinieri
ferma una vettura che procede a zig-zag.
Il conducente viene fermato
e gli vengono chiesti i documenti.
Occorre fare la prova dell'etilometro.
Uno dei due carabinieri guarda
la patente, e resta interdetto.
Si rivolge al collega e gli dice:
"Porca miseria, a questo
non possiamo fargli il test!"
E l'altro: "E perché mai ?"
Gli mostra la patente
e dice: "Guarda come
si chiama.....Bevilacqua!"

 

Il carabiniere Gargiulo
sta facendo le parole crociate:
per il 10 orizzontale la definizione è
'bagna Budapest'.
Quante lettere?", si chiede.
"Sette!"
Poi, tutto felice:
"Ma certo! PI-O-G-GI-A!"

 Molti anni fa in una stazione dei carabinieri situata in un paese in montagna dove si usava ancora la bicicletta, ogni giorno il povero appuntato Esposito doveva scendere in paese per prendere il giornale al suo maresciallo. Un bel giorno all'appuntato venne in mente un idea e aspetta che arrivi il lunedi' per attuarla. Cosi' arrivato il lunedi' il maresciallo lo chiama:
- Esposito!
- Si, maresciallo.
- Scendi in paese per il giornale.
- Agli ordini comandante.
Esposito prende la sua bici e scende all'edicola e mette in atto la sua idea: compra 7 giornali, uno per ogni giorno, cosi' da non dover scendere e risalire ogni giorno. Cosi' ogni mattina come il maresciallo lo chiamava per il giornale, lui rispondeva agli ordini e prendeva la bici, ma si nascondeva dietro la caserma. Arriva cosi' la domenica e il maresciallo lo chiama:
- Esposito!
- Agli ordini maresciallo. Il giornale anche oggi?
- No! Ma scendi immediatamente in paese e cerca di rintracciare questo imbecille che per sette giorni con la sua auto ha colpito lo stesso palo dello luce.

Pierino ha avuto un lavoro come guardia in un museo. Dopo un paio di giorni lo chiama il capo e gli dice:
- Non siamo contenti del tuo lavoro.
- Ma cosa volete da me? Lavoro qui da tre giorni e ho già venduto 2 quadri di Picasso.

Pierino parla con suo nonno. Un po' imbarazzato, gli chiede:
- Ma nonno, quando avevi 20 anni, quanto spesso facevi sesso?
Eh nipotino mio, quando mi ricordo quellii belli tempi, ero così giovane e me la spassavo da dio. Scusa cosa mi chiedevi? Ah, su sesso. Allora facevo MMS.
- Scusa nonno, ma MMS, cosa vuol dire? A quel epoca non esistevano i cellulari, specialmente non quelli che potevano fare le foto e i filmatini.
- Sta per Mattina, Mezzogiorno e Sera.
- Complimenti nonno, eri davvero un grande. Ma a 40 anni quanto spesso lo facevi?
- MMS!
- A 40 anni, ma nonno sei un fenomeno.
- Ma cosa hai capito. Era Martedì, Mercoledì e Sabato.
- Va be', ma direi comunque che non era male nemmeno quello. E a 60 anni?
- MMS!
- Eh, proprio niente male direi.
- Hai capito male Pierino. Sta per Marzo, Maggio e Settembre. Sai, durante il periodo estivo faceva troppo caldo, e quello invernale troppo freddo.
- Ma comunque te la cavavi in qualche modo. E adesso nonno, con i tuoi 80 anni, come fai.
- MMS!
A questo punto Pierino ha già capito come funziona il giochino e chiede al nonno:
- Allora, cosa vuol dire questa volta?
- Magari Mi Succede.

 

 
 
 

L' usignolo

Post n°764 pubblicato il 11 Marzo 2014 da giramondo595

L'usignolo

Una fiaba di Hans Christian Andersen
Andersen

In  Cina, lo sai bene, l'imperatore è un cinese e anche tutti quelli che lo circondano sono cinesi. La storia è di molti anni fa, ma proprio per questo vale la pena di sentirla, prima che venga dimenticata. Il castello dell'imperatore era il più bello del mondo, tutto fatto di finissima porcellana, costosissima ma così fragile e delicata, che, toccandola, bisognava fare molta attenzione. Nel giardino si trovavano i fiori più meravigliosi, e a quelli più belli erano state attaccate campanelline d'argento che suonavano cosicché nessuno passasse di lì senza notare quei fiori. Sì, tutto era molto ben progettato nel giardino dell'imperatore che si estendeva talmente che neppure il giardiniere sapeva dove finisse. Se si continuava a camminare, si arrivava in uno splendido bosco con alberi altissimi e laghetti profondi. Il bosco terminava vicino al mare, azzurro e profondo; grandi navi potevano navigare fin sotto i rami del bosco e tra questi viveva un usignolo, e cantava in modo così meraviglioso che persino il povero pescatore, che aveva tanto da fare, sentendolo cantare si fermava a ascoltarlo, quando di notte era fuori a tendere le reti da pesca. "Oh, Signore, che bello!" diceva, poi doveva stare attento al suo lavoro e dimenticava l'uccello. Ma la notte successiva, quando questo ancora cantava, il pescatore che usciva con la barca, esclamava: "Oh, Signore, che bello!."
Alla città dell'imperatore giungevano stranieri da ogni parte del mondo, per ammirare la città stessa, il castello e il giardino; quando però sentivano l'usignolo, dicevano tutti: "Questa è la meraviglia più grande!."
I viaggiatori poi, una volta tornati a casa, raccontavano tutto, e le persone istruite scrissero molti libri sulla città, sul castello e sul giardino, ma non dimenticarono mai l'usignolo, anzi l'usignolo veniva prima di tutto il resto, e quelli che sapevano scrivere poesie scrissero i versi più belli sull'usignolo del bosco, vicino al mare profondo.
Quei libri girarono per il mondo e alcuni giunsero fino all'imperatore. Seduto sul trono d'oro, leggeva continuamente, facendo ogni momento cenni di assenso con la testa, perché gli piaceva ascoltare le splendide descrizioni della città, del castello e del giardino. "Ma l'usignolo è la cosa più bella" c'era scritto.
"Che cosa?" esclamò l'imperatore. "L'usignolo? Non lo conosco affatto! Esiste un tale uccello nel mio regno, e per di più nel mio giardino! Non l'ho mai saputo! E bisogna leggerlo per saperlo!"
Così chiamò il suo luogotenente che era così distinto che, se qualcuno inferiore a lui osava rivolgergli la parola o chiedergli qualcosa, non diceva altro che: "P...!," il che non significa nulla.
"Qui dovrebbe esserci un uccello meraviglioso chiamato usignolo" spiegò l'imperatore. "Si dice che sia la massima meraviglia del mio grande regno. Perché nessuno me ne ha mai parlato?"
"Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora" rispose il luogotenente "non è mai stato introdotto a corte."
"Voglio che venga qui stasera a cantare per me" concluse l'imperatore. "Tutto il mondo sa che cosa possiedo e io non lo so!"
"Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora!" ripetè il luogotenente "farò in modo di trovarlo."
Ma dove? Il luogotenente corse su e giù per le scale e attraversò saloni e corridoi; nessuno di quelli che incontrava aveva mai sentito parlare dell'usignolo, così il luogotenente tornò di corsa dall'imperatore e gli disse che doveva essere un'invenzione di chi aveva scritto i libri.
"Sua Maestà Imperiale non deve credere a quello che si scrive! È certamente un'invenzione fatta con quella che si chiama magia nera."
"Ma quel libro in cui l'ho letto" disse l'imperatore "mi è stato inviato dal potente imperatore del Giappone, quindi non può essere falso. Voglio sentire quell'usignolo! Dev'essere qui stasera! Sarà ammesso nelle mie grazie! Se invece non viene, tutta la corte sarà picchiata sulla pancia dopo cena!"
"Tsing-pe!" rispose il luogotenente e ricominciò a correre su e giù per le scale, e attraverso saloni e corridoi, e metà della corte correva con lui, dato che non volevano essere picchiati sulla pancia. Si sentiva chiedere soltanto dello straordinario usignolo che tutto il mondo conosceva eccetto quelli della corte.
Alla fine trovarono una povera fanciulla in cucina che disse: "O Dio! L'usignolo: lo conosco, e come canta bene. Ogni sera ho il permesso di portare un po' degli avanzi a casa, alla mia povera mamma malata che vive giù vicino alla spiaggia, e quando al ritorno, stanca, mi fermo a riposare nel bosco, sento cantare l'usignolo. Mi vengono le lacrime agli occhi, è come se la mia mamma mi baciasse!."
"Povera sguattera" esclamò il luogotenente "ti darò un posto fisso in cucina e ti permetterò di assistere al pranzo dell'imperatore se ci porterai dall'usignolo, dato che è stato convocato per questa sera."
Così tutti si diressero nel bosco, dove di solito cantava l'usignolo; c'era mezza corte. Sul più bello una mucca cominciò a muggire.
"Oh!" dissero i gentiluomini di corte "eccolo! C'è una forza straordinaria in un animale così piccolo; certo l'ho sentito prima!"
"No! Sono le mucche che muggiscono" spiegò la piccola sguattera "siamo ancora lontani."
Allora le rane gracidarono nello stagno.
"Bello!" disse il cappellano di corte cinese "ora lo sento, sembrano tante piccole campane!"
"No! Sono le rane" esclamò la fanciulla. "Sentite, sentite! Eccolo lì" e indicò un piccolo uccello grigio trai rami.
"È possibile?" disse il luogotenente "non me lo sarei mai immaginato così. Come è modesto! Ha certamente perso i suoi colori nel vedersi intorno tanta gente distinta."
"Piccolo usignolo!" gridò la fanciulla a voce alta "il nostro clemente imperatore desidera che tu canti per lui!"
"Volentieri!" rispose l'usignolo, e cantò che era un piacere sentirlo .
"È come se fossero campane di vetro!" commentò il luogotenente. "E guardate quella piccola gola, come si sforza! È stranissimo che non l'abbiamo mai sentito prima! Avrà sicuramente successo a corte."
"Devo cantare ancora una volta per l'imperatore?" chiese l'usignolo, convinto che l'imperatore fosse presente.
"Mio eccellente usignolo!" disse il luogotenente "ho il grande piacere di invitarla a una festa a corte, questa sera, dove lei incanterà la Nostra Altezza Imperiale con il suo affascinante canto!"
"È meglio tra il verde!" rispose l'usignolo, ma li seguì ugualmente volentieri quando seppe che l'imperatore lo desiderava.
Al castello avevano fatto grandi preparativi. Le pareti e i pavimenti, che erano di porcellana, brillavano, illuminati da migliaia di lampade d'oro; i fiori più belli, quelli che tintinnavano, erano stati messi lungo i corridoi; c'era un correre continuo e una forte corrente d'aria, e così tutte le campanelline si misero a suonare e non fu più possibile capire niente.
In mezzo al grande salone dove stava l'imperatore era stato collocato un trespolo d'oro, su cui l'usignolo doveva posarsi c'era tutta la corte, e la piccola sguattera aveva avuto il permesso di stare dietro alla porta, dato che era stata insignita del titolo di "sguattera imperiale."
Tutti indossavano i loro abiti migliori e tutti guardarono quel piccolo uccello grigio che l'imperatore salutò con un cenno.
L'usignolo cantò così deliziosamente che l'imperatore si commosse, le lacrime gli corsero lungo le guance, allora l'usignolo cantò ancora meglio e gli andò dritto al cuore. L'imperatore era così soddisfatto che diede ordine che l'usignolo portasse intorno al collo la sua pantofola d'oro. L'usignolo ringraziò ma disse che aveva già avuto la sua ricompensa.
"Ho visto le lacrime negli occhi dell'imperatore, questo è il tesoro più prezioso per me. Le lacrime di un imperatore hanno una potenza straordinaria. Dio sa che sono già stato ricompensato!" E cantò di nuovo con la sua dolcissima voce.
"È la più amabile civetteria che io conosca!" dissero le dame di corte e si misero dell'acqua in bocca per fare glug, quando qualcuno avesse rivolto loro la parola, così credevano di essere anche loro degli usignoli. Anche i lacchè e le cameriere cominciarono a essere soddisfatti, e questa non è cosa da poco perché sono le persone più diffìcili da soddisfare. Sì, l'usignolo portò davvero la gioia!
Ora sarebbe rimasto a corte, in una gabbia tutta d'oro e con la possibilità di passeggiare due volte di giorno e una volta di notte. Ebbe a disposizione dodici servitori e tutti avevano un nastro di seta con cui lo tenevano stretto, dato che i nastri erano legati alla sua zampina. Non era certo un divertimento fare quelle passeggiate!
Tutta la città parlava di quel meraviglioso uccello, e quando due persone si incontravano uno non diceva altro che: "Usi" e l'altro rispondeva: "Gnolo!" e poi sospiravano comprendendosi reciprocamente; undici figli di droghieri ricevettero il nome di quell'uccello, ma non uno di essi ebbe il dono di cantare bene.
Un giorno arrivò un grande pacco per l'imperatore, con scritto sopra: "Usignolo."
"È sicuramente un nuovo libro sul famoso uccello!" esclamò l'imperatore; ma non era un libro, era invece un piccolo oggetto chiuso in una scatola: un usignolo meccanico, che doveva somigliare a quello vivo ma era ricoperto completamente di diamanti, rubini e zaffiri. Non appena lo si caricava, cominciava a cantare uno dei brani che anche quello vero cantava, e intanto muoveva la coda e brillava d'oro e d'argento. Intorno al collo aveva un piccolo nastro su cui era scritto: "L'usignolo dell'imperatore del Giappone è misero in confronto a quello dell'imperatore della Cina."
"Che bello!" dissero tutti, e colui che aveva portato quell'usignolo meccanico ebbe il titolo di Portatore imperiale di usignoli.
"Ora devono cantare insieme! Chissà che duetto!"
Cantarono insieme, ma non andò molto bene, perché il vero usignolo cantava a modo suo, quello meccanico invece funzionava per mezzo di cilindri. "Non è colpa sua!" spiegò il maestro di musica "tiene bene il tempo e segue in tutto la mia scuola!" Così l'usignolo meccanico dovette cantare da solo. Ebbe lo stesso successo di quello vero, ma era molto più bello da guardare: brillava come i braccialetti e le spille.
Cantò per trentatré volte sempre lo stesso pezzo e non era affatto stanco; la gente lo avrebbe ascoltato volentieri di nuovo, ma l'imperatore pensò che ora avrebbe dovuto cantare un po' l'usignolo vero... ma dov'era finito? Nessuno aveva notato che era volato dalla finestra aperta, verso il suo verde bosco.
"Guarda un po'!" esclamò l'imperatore; e tutta la corte si lamentò e dichiarò che l'usignolo era un animale molto ingrato. "Ma abbiamo l'uccello migliore!" dissero, e così l'uccello meccanico dovette cantare ancora e per la trentaquattresima volta sentirono la stessa melodia, ma non la conoscevano ancora completamente, perché era molto difficile, il maestro di musica lodò immensamente l'uccello e assicurò che era migliore di quello vero, non solo per il suo abbigliamento e i bellissimi diamanti, ma anche internamente.
"Perché, vedete, Signore e Signori, e prima di tutti Vostra Maestà Imperiale, con l'usignolo vero non si può mai prevedere quale sarà il suo canto; in questo uccello meccanico invece tutto è stabilito. Così è e non cambia! Ci si può rendere conto di come è fatto, lo si può aprire e si può capire come sono collocati i cilindri, come funzionano e come si muovono, uno dopo l'altro."
"È proprio quello che penso anch'io!" esclamarono tutti, e il maestro di musica ottenne il permesso, la domenica successiva, di mostrare l'uccello al popolo. "Anche loro devono sentirlo cantare" disse l'imperatore, e così lo sentirono e si divertirono tantissimo, come si fossero ubriacati di tè, il che è una cosa prettamente cinese. Tutti esclamarono: "Oh!" e alzarono in aria il dito indice, che chiamano "leccapentole," e assentirono col capo. Ma i poveri pescatori che avevano sentito l'usignolo vero, dissero: "Canta bene, e assomiglia all'altro, ma manca qualcosa, anche se non so che cosa!."
Il vero usignolo venne bandito da tutto l'impero.
L'uccello meccanico fu posto su un cuscino di seta vicino al letto dell'imperatore; tutti i regali che aveva ricevuto, oro e pietre preziose, gli furono messi intorno, e gli fu dato il titolo di "Cantore imperiale da comodino"; nel protocollo fu messo al primo posto a sinistra, perché l'imperatore considerava quel lato più nobile, essendo il lato del cuore: e anche il cuore di un imperatore infatti sta a sinistra. Il maestro di musica scrisse venticinque volumi sull'uccello meccanico, molto eruditi e lunghi e espressi con le parole cinesi più diffìcili, che tutti dissero di aver letto e capito, perché altrimenti sarebbero parsi sciocchi e sarebbero stati picchiati sulla pancia.
Passò così un anno intero; l'imperatore, la corte e tutti gli altri cinesi conoscevano ogni minimo suono della canzone dell'uccello meccanico, e proprio per questo pensavano che fosse così bella: infatti potevano cantarla anche loro, insieme all'uccello, e così facevano. I ragazzi di strada cantavano: "Zi zi zi! giù giù giù!" e lo stesso cantava l'imperatore. Era proprio bello!
Ma una sera, mentre l'uccello meccanico cantava meglio che poteva, e l'imperatore era a letto a ascoltarlo, si sentì svup!; nell'uccello era saltato qualcosa: trrrr! tutte le ruote girarono, e poi la musica si fermò.
L'imperatore balzò fuori dal letto e chiamò il suo medico, ma a che cosa poteva servire? Allora chiamò l'orologiaio che, dopo molti discorsi e visite, rimise in sesto in qualche modo l'uccello, ma disse che bisognava risparmiarlo il più possibile, perché aveva i congegni consumati e non era possibile metterne di nuovi senza rischiare di rovinare la musica. Fu un grande dolore! Si poteva far suonare l'uccello meccanico solo una volta l'anno, e con fatica, ma il maestro di musica tenne un discorso con parole difficili e disse che tutto era uguale a prima, e difatti tutto fu uguale a prima.
Passarono cinque anni e tutto il paese ebbe un grande dolore perché in fondo tutti amavano il loro imperatore; e lui era malato e non sarebbe vissuto a lungo, si diceva; un nuovo imperatore era già stato scelto e il popolo si riuniva per la strada e chiedeva al luogotenente come stava il loro imperatore.
"P!" diceva lui scuotendo il capo.
L'imperatore stava pallido e gelido nel suo grande e meraviglioso letto. Tutta la corte lo credeva morto e tutti corsero a salutare il nuovo imperatore; i servitori uscirono per parlare dell'avvenimento e le cameriere s'erano trovate in compagnia per il caffè. In tutti i saloni e i corridoi erano stati messi a terra dei drappeggi, affinché non si sentisse camminare nessuno, e per questo motivo c'era silenzio, molto silenzio. Ma l'imperatore non era ancora morto; rigido e pallido stava nel suo bel letto con le lunghe tende di velluto e i pesanti fiocchi dorati. In alto c'era la finestra aperta e la luna illuminava l'imperatore e l'uccello meccanico.
Il povero imperatore non riusciva quasi a respirare, era come se avesse qualcosa sul petto; spalancò gli occhi e vide che la morte sedeva sul suo petto e s'era messa in testa la sua corona d'oro. In una mano teneva la spada d'oro e nell'altra una splendida insegna; tutt'intorno, dalle pieghe delle grandi tende di velluto del letto, comparivano strane teste, alcune orribili, altre molto dolci: erano tutte le azioni buone e cattive dell'imperatore, che lo guardavano, ora che la morte poggiava sul suo cuore.
"Ti ricordi?" sussurrarono una dopo l'altra. "Ti ricordi?" e gli raccontarono tante e tante cose che il sudore gli colava dalla fronte.
"Non l'ho mai saputo!" diceva l'imperatore. "Musica musica, il grande tamburo cinese!" gridava "per non sentire quello che dicono!"
Ma loro continuarono e la morte faceva di sì con la testa a tutto quello che veniva detto.
"Musica! Musica!" gridò l'imperatore. "Tu, piccolo uccello d'oro canta, forza, canta! Ti ho dato oro e oggetti preziosi, ti ho appeso personalmente la mia pantofola d'oro al collo, canta dunque, canta!"
Ma l'uccello stava zitto, non c'era nessuno che lo caricasse e quindi non poteva cantare. La morte invece continuò a guardare l'imperatore con le sue enormi orbite cave, e stava in silenzio, in un silenzio spaventoso.
In quel momento si sentì vicino alla finestra un canto mirabile; era il piccolo usignolo vivo che stava seduto sul ramo lì fuori; aveva sentito delle sofferenze dell'imperatore e era accorso per infondergli col canto consolazione e speranza Mentre lui cantava, quelle immagini diventavano sempre più tenui, il sangue si mise a scorrere con più forza nel debole corpo dell'imperatore, e la morte stessa si mise a ascoltare e disse: "Continua, piccolo usignolo, continua!."
"Solo se mi darai la bella spada d'oro, se mi darai quella ricca insegna, se mi darai la corona dell'imperatore!"
E la morte gli diede ogni cimelio in cambio di una canzone, e l'usignolo continuò a cantare, e cantò del tranquillo cimitero dove crescevano le rose bianche, dove l'albero di sambuco profumava e dove la fresca erbetta veniva innaffiata dalle lacrime dei sopravvissuti; allora la morte sentì nostalgia del suo giardino e volò via, come una fredda nebbia bianca, fuori dalla finestra.
"Grazie, grazie!" disse l'imperatore. "Piccolo uccello celeste, ti riconosco! Ti avevo bandito dal mio regno e ciò nonostante col tuo canto hai allontanato le cattive visioni dal mio letto, e hai scacciato la morte dal mio cuore. Come potrò ricompensarti?"
"Mi hai già ricompensato!" rispose l'usignolo. "Ho avuto le tue lacrime la prima volta che ho cantato per te, non lo dimenticherò mai! Questi sono i gioielli che fanno bene al cuore di chi canta! Ma adesso dormi e torna a essere forte e sano: io canterò per te."
Cantò di nuovo, e l'imperatore cadde in un dolce sonno, in un sonno tranquillo e ristoratore.
Il sole entrava dalla finestra quando lui si svegliò, guarito e pieno di forza; nessuno dei suoi servitori era ancora tornato perché credevano che fosse morto, ma l'usignolo era ancora lì a cantare.
"Dovrai restare con me per sempre!" disse l'imperatore. "Canterai solo quando ne avrai voglia, e io farò in mille pezzi l'uccello meccanico."
"Non farlo!" gridò l'usignolo. "Ha fatto tutto il bene che poteva. Conservalo come prima. Io non posso vivere al castello, ma permettimi di venire quando ne ho voglia, allora ogni sera mi poserò su quel ramo vicino alla finestra e canterò per te, perché tu possa essere felice e riflettere un po'. Ti canterò delle persone felici e di quelle che soffrono. Ti canterò del bene e del male intorno a te che ti viene tenuto nascosto. L'uccellino che canta vola ovunque, dal povero pescatore alla casa del contadino, da tutti quelli che sono lontani da te e dalla tua corte. Io amo il tuo cuore più della tua corona, anche se la corona ha qualcosa di sacro intorno a sé. Verrò a cantare per te! Ma mi devi promettere una cosa."
"Qualunque cosa!" rispose l'imperatore, ritto negli abiti imperiali che aveva indossato da solo, la pesante spada d'oro sul cuore.
"Ti chiedo una sola cosa! Non raccontare a nessuno che hai un uccellino che ti riferisce tutto, così le cose andranno molto meglio!"
E l'usignolo volò via.
I servitori entrarono per vedere il loro imperatore morto; restarono impalati quando l'imperatore disse: "Buongiorno!."

 

 
 
 

Attenzioneee!...è in arrivo una raffica di risate

Post n°763 pubblicato il 10 Marzo 2014 da giramondo595

La direttrice di un'agenzia matrimoniale alla cliente:
- Allora, è contenta del marito che le ho procurato?
Lei me lo aveva richiesto appassionatissimo...
Si, ma non della sua collezione di francobolli rari!

Un giornalista domanda a un umorista:
Perché sceglie le sue amanti tra varie hostess?
Ma, amico mio, è chiaro. Perché odio l'amore terra a terra.


Momenti di tensione a Cape Canaveral:
sta partendo un razzo
con un astronauta a bordo.
Meno 5... 4... 3... 2... 1...
E il razzo, dopo aver emesso un
ridicolo filo di fumo, resta a terra.
Il progettista, disperato,
corre alla sua scrivania, prende la pistola,
se la punta alla tempia: - 5... 4....2... 1...
ma quando preme il grilletto l'arma fa cilecca.
Disgustato si prende la testa tra le mani:
Oggi è proprio una giornata no...
In quel momento squilla il telefono.
L'astronauta è partito! - annuncia una voce concitata.
Con il mio razzo?
.- No. Con sua moglie!

Un auto esce di strada e va a
schiantarsi contro un albero.
L'autista viene sbalzato fuori dal suo abitacolo.
Dappertutto si vedono sangue e ferraglia.
Un contadino che ha assistito alla scena si avvicina
all'automobilista e gli chiede:
Soffre molto?
Sì.
Ma pensa di sopravvivere?
mi auguro di sì. assicurato contro i rischi?
Sì.
In tal caso, le spiace se mi sdraio qui accanto a lei
in attesa che arrivino i soccorsi?

Un uomo torna a casa la sera, e
trova un disordine spaventoso:
i piatti ancora da lavare,
i pavimenti sporchi, i letti sfatti
e la cena non ancora preparata.
Infuriato corre dalla moglie
e la trova davanti alla te¬levisione.
- Si può sapere che cosa è successo?
- sbraita. - Semplice. Ogni sera mi
domandi che cosa ho fatto
durante il giorno. Ecco, oggi, non l'ho fatto.

 

Mi serve un frigorifero -
dice un uomo al venditore
di elettrodomestici.
- E mi serve subito, oggi stesso.
Come mai tutta questa fretta?
Beh, finora mi ero sempre accontentato
di una ghiacciaia,
ma oggi sono rientrato all'improvviso
e così, per scherzo,
ho dato una pacca sul sedere a mia moglie.
E lei senza voltarsi, ha risposto:
- Ah sì, oggi un solo blocco di ghiaccio.
Domani, invece due.


Quando Luigi esce dall'osteria stenta
a mantenersi in equilibrio.
Accidenti! - esclama - Possibile che
il vino sia andato tutto da una parte?

Gli animali che parlano.
Mamma tarlo dice al figliolo:
O mangi questa finestra o
ti butto nella minestra!

Uno scozzese si reca da un dentista.
Poiché l'operazione si prevede alquanto dolorosa,
il medico suggerisce di effettuare una piccola anestesia.
A questo punto il paziente estrae il portafoglio e comincia a contare il denaro.
Non c'è bisogno di pagare prima... -
lo avverte bonariamente il dentista.
Non ho nessuna intenzione di pagare prima!
- rimbecca l'altro
- Ma dal momento che qui si vuole addormentarmi,
ho tutto il diritto di fare un piccolo inventario!

 

Una pattuglia di carabinieri
ferma una vettura che procede a zig-zag.
Il conducente viene fermato
e gli vengono chiesti i documenti.
Occorre fare la prova dell'etilometro.
Uno dei due carabinieri guarda
la patente, e resta interdetto.
Si rivolge al collega e gli dice:
"Porca miseria, a questo
non possiamo fargli il test!"
E l'altro: "E perché mai ?"
Gli mostra la patente
e dice: "Guarda come
si chiama.....Bevilacqua!"

 

Il carabiniere Gargiulo
sta facendo le parole crociate:
per il 10 orizzontale la definizione è
'bagna Budapest'.
Quante lettere?", si chiede.
"Sette!"
Poi, tutto felice:
"Ma certo! PI-O-G-GI-A!"

 

Un maresciallo vede l'appuntato
con le scarpe di colore diverso,
una nera e una marrone.
Sorpreso e indignato dice all'appuntato:
"Vada subito in camera sua a cambiarsi le scarpe!"
E l'appuntato risponde:
"Ma in camera ne ho due uguali a queste!"

 
 
 

LACRIME DI UNA DONNA

Post n°762 pubblicato il 08 Marzo 2014 da giramondo595

I versi che leggerete sono un' omaggio a tutte le donne per la loro festa. Le parole di questa poesia sono state scritte da una ragazza. La mitica Eleonora Fidelia Chiefari. Una studentessa. La donna non si festeggia solo ed esclusivamente l' 8 marzo,ma tutto l' anno.

Lacrime di una donna

Le lacrime scorrono, donna, amare e lente spegnendo ogni lume, ruggendo dal cielo sgorgando da nuvole e palpebre spente ti chiudono dentro alla morsa del gelo.
Le lacrime bruciano, più del dolore distruggono, pesano, portano a odiare strappano all'animo ogni colore e ben più del sangue ti fanno penare.
Le lacrime creano dipinti irreali su una tela bianca, striata di rosso. Tracciano e scrivono, senza ideali, mentre continuano a pioverti addosso.
Le lacrime spingono, ti fanno pensare brandelli di falso spacciato per vero. Ti chiedono come hai potuto sbagliare, scagliandoti al centro di un vortice nero.
Le lacrime guardano una luce illuminare nella tua mente, stracolma di parole, il senso di giustizia, che scegli di ascoltare. Infine si arrendono, al sorgere del sole
.

( Eleonora Fidelia Chiefari )

 

 
 
 

barzellette ..una tira l' altra

Post n°761 pubblicato il 03 Marzo 2014 da giramondo595


In tribunale, il giudice chiede all'imputato:
E' stato lei a uccidere la vittima?
No, Vostro Onore.
Lo sa che lo spergiuro è severamente punito?
Sì, ma molto meno severamente dell'omicidio!

Un uomo politico chiede al suo assistente di scrivergli un discorso e si raccomanda:
- Però veda di farlo breve, non più di venti minuti, altrimenti il pubblico si distrae e
poi smette di ascoltarmi! Di ritorno dalla cerimonia, il politico sbotta arrabbiato:
Le avevo detto venti minuti e mi ha fatto un discorso da un'ora! Risultato: la gente si è addormentata!
Le assicuro che il discorso era da venti minuti, l'avevo cronometrato... Ma mi permetto di ricordarle che me l'aveva chiesto in triplice copia!

Un anziano signore entra in farmacia e domanda:
Avete stampelle?
Certo: semplici, doppie...
Bene. E sedie a rotelle?
Ne abbiamo vari modelli, con o senza motore.
Apparecchi per l'udito?
Una vasta gamma
E ovviamente avete pannoloni per l'incontinenza...
Senz'altro!
Ottimo, allora farò qui la mia lista nozze!


Entra un genovese in un autobus e chiede al conducente:
- Scusi, si deve pagare il biglietto per un fiore?
- Certamente no.
- Dai Rosa, entra.


Un figlio genovese dice al padre:
- Papà, sulla porta c'è un signore che chiede un'offerta per la piscina comunale.
- Dagli un bicchiere d'acqua.


Una coppia genovese innamorata passeggia tenendosi per mano. Passano davanti ad una pasticceria e lei dice:
- Hum, che bel profumo.
- Vuoi che passiamo davanti un'altra volta?

  Padre e figlio genovesi vanno in America.
- Papà, quando arriviamo?
- Stai zitto e nuota!

"Mamma, e' vero che sono le api a fare il miele?"
"Certo"
"E come fanno a chiudere i barattoli?"


Preoccupato un uomo si presenta all'ufficio dei carabinieri:
- Vorrei denunciare la scomparsa di mia moglie...
- Da quando non la vede?
- Sette giorni!
- E lei aspetta sette giorni per denunciarne la scomparsa?
- Sa, pensavo si fosse fermata a chiacchierare con qualche vicina di casa...


Il generale entra in una caserma in borghese. Ad un tratto vede che la sentinella se ne sta appoggiata al muro non curante di nulla. Il generale gli si avvicina e gli dice:
- Ma lo sai chi sono io?
La guardia si gira verso un gruppo di commilitoni e esclama:
- Oh ragazzi venite qui! C'e' un vecchio rimbambito che non sa più chi e'!


...gli schiavi stanno remando. Arriva il centurione:
- Schiavi! Ho due notizie per voi: una buona e una cattiva. Quella buona è che è arrivato Giulio Cesare.
Quella cattiva, è che vuole fare sci d'acqua...


Al bancone di un bar due amici, già sbronzi si confidano.
"Sono in un mare di guai "
"Che ti succede?"
"Mia moglie mi ha detto di tornare a casa tardi, ma come faccio se non vedo l'orologio?"
"Fidati di me" gli dice l'amico "io ne vedo due!".

alle due di mattino squilla il telefono della reception.
- Pronto! - fa una voce impastata, all'altro capo del filo - A che ora apre il bar?
- Alle otto, signore
Un'ora dopo, un'altra chiamata:
- Pronto? A che ora apre il bar?
- Alle otto, signore.
Un'altra ora dopo lo stesso cliente, sempre più ubriaco, chiama e chiede di nuovo:
- Pronto! Pronto! A che ora apre il bar?
- Alle otto, signore, gliel'ho già detto; però, nello stato in cui si trova, non penso che la lascino entrare
- Ma io non voglio entrare! Voglio uscire!

 -Io e mio marito abbiamo aperto insieme un Conto Corrente in Banca..
- e come funziona..?
- Benissimo..! Lui versa e io prelevo..!

Il papà a Pierino
- Asino, sei stato bocciato!
- Ma, papa', cosa c'entro io se per tutto l'anno il maestro non ha fatto che interrogarmi su cose successe prima che io nascessi?

In classe la maestra fa fare un disegno a piacere. Passato il tempo i bambini consegnano i disegni, durante la correzione arriva il turno di Pierino.
- Pierino ma il foglio è bianco!
- Ma no maestra c'è disegnata dell'erba e una mucca!
- Pierino, dov'e' lerba?
- Se l'e' mangiata la mucca!
- e la mucca?
- Se n'e' andata, l'erba era finita!

 

 
 
 

Buon carnevale a tutti...in poesia

Post n°760 pubblicato il 02 Marzo 2014 da giramondo595

con il nostro amico Gianni Rodari

Il vestito di Arlecchino

Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un'altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
"Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l'altro bolletta!".


L'invenzione di Pulcinella
Signore e signori, fatevi avanti
più gente entra, più siete in tanti!
Correte a vedere la grande attrazione,
la formidabile invenzione.
Non sono venuto su questo mercato
per vendere il fumo affumicato.
Non sono venuto a questa fiera
per vendere i buchi del gruviera.
Il mio nome è Pulcinella
ed ho inventato la moz - za - rel - la!
Da questa parte, signori e signore
son Pulcinella il grande inventore!
Per consolare i poveretti
ho inventato gli spaghetti.
Per rallegrare a tutti la vita
creai la pizza Margherita!
Olio, farina, pomodoro
nulla vale questo tesoro.
Ad ascoltarlo corre la gente,
si diverte... e non compra niente!!


Carnevale in filastrocca,
con la maschera sulla bocca,
con la maschera sugli occhi,
con le toppe sui ginocchi:
sono le toppe d'Arlecchino,
vestito di carta, poverino.
Pulcinella è grosso e bianco,
e Pierrot fa il saltimbanco.
Pantalon dei Bisognosi
"Colombina," dice, "mi sposi?"
Gianduia lecca un cioccolatino
e non ne da niente a Meneghino,
mentre Gioppino col suo randello
mena botte a Stenterello.
Per fortuna il dottor Balanzone
gli fa una bella medicazione,
poi lo consola: "E' Carnevale,
e ogni scherzo per oggi vale."


Viva i coriandoli di Carnevale

bombe di carta che non fan male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell'allegria:
si sparano in faccia risate
scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
Non servono infermieri
perchè i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l'assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia, tutti a nanna.
Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carneval
e

 

 a fare gli onori di..blog, saranno Giangurgolo e Pulcinella..

 

Giangurgolo L'origine di questa maschera è incerta, ma le fonti letterarie sulle rappresentazioni di Giangurgolo dicono che essa sarebbe nata a Napoli. Risale al 1618 la notizia di un attore, Natale Consalvo, che , a Napoli, lavorava nelle vesti di Capitan Giangurgolo. Successivamente la maschera di Giangurgolo fu importata a Reggio ed in Calabria per mettere in ridicolo le persone che imitavano i cavalieri siciliani "spagnoleggianti", infatti intorno alla metà del XVII secolo quando la Sicilia fu data ai Savoia vi fu una massiccia migrazione di nobili spagnoli siciliani verso la città di Reggio dall'altra parte dello Stretto, e la maschera sarebbe stata dunque adattata a questi nobili siciliani decaduti, diventando la maschera tradizionale della regione. Godette subito di grande considerazione nell'ambito della commedia dell'Arte tanto da essere rappresentata nei più grandi teatri italiani al pari delle maschere oggi considerate maggiori: Pulcinella, Arlecchino ecc. Ha un naso enorme e una spada altrettanto smisurata che pende su un fianco, indossa un alto cappello a cono, un corpetto stretto e soprattutto i pantaloni a sbuffo a strisce gialle e rosse, particolare significativo che riproduce i colori d'Aragona. La maschera dunque rappresenta uno scherzo della città verso i dominatori aragonesi e spagnoli.
Il nome Giangurgolo deriverebbe dalle parole:
Gian = Zanni, un tipico personaggio della commedia dell'Arte che presenta diverse varianti in Italia, una tra tutte Giangurgolo appunto. Della parola Zanni rimane infatti ancora oggi traccia nel dialetto calabrese, nell'uso di espressioni come "fari u Zannu" o "fari i Zanni", che vuol dire "fare uno scherzo", "fare degli scherzi", o ancora l'espressione "Zanniare" che vuol dire "scherzare" appunto. Troviamo un altro riferimento reggino allo Zanni nella tipica espressione "Facc'i'Maccu" (Faccia di Macco) ancora in uso in città, che deriva dal personaggio Maccus, il servo sciocco della commedia Plautina, molto simile al servo sciocco interpretato da molti Zanni della Commedia dell'Arte.
Gurgolo, che vuol dire "bocca larga" o "grande bocca", un personaggio ingordo dotato di appetito insaziabile, ma soprattutto inteso in senso di spacconeria, un personaggio di molte parole e di pochi fatti.
Giangurgolo nacque, secondo la maggior parte degli studiosi, per soddisfare l'esigenza di mettere in ridicolo, caricaturando, i dominatori, considerati "inutili eroi" bravi soltanto con le chiacchiere, quei boriosi dediti alla gola, arroganti, millantatori e codardi che imitavano gli atteggiamenti di superiorità e tracotanti degli ufficiali spagnoli, irriverenti ed insolenti, presenti a quel tempo nel nostro Meridione. Giangurgolo era protagonista sui palcoscenici dei teatri sei e settecenteschi tanto quanto lo era in strada. Infatti in una incisione dell'abate Jean-Claude Richard de Saint-Non che descrive "i dintorni di Reggio" è chiaramente visibile una scena di commedia, un pezzo di teatro fatto per strada dove è protagonista Giangurgolo, uno Zanni con il lungo cappello e la spada.
Secondo un'altra ipotesi la maschera sarebbe nata da una persona realmente esistita a Catanzaro Secondo tale opinione, dal punto di vista etimologico Giangùrgolo significherebbe "Gianni l'ingordo", per la sua caratteristica distintiva: l'ingordigia. La sua storia inizia nel convento delle Suore di Santa Maria della Stella, dove nacque il 24 giugno 1596. Il nome deriverebbe da Giovanni, in onore del Santo del giorno del suo ritrovamento. La leggenda narra che nei boschi egli cerca di salvare uno spagnolo aggredito da briganti, che nonostante tutto muore. In segno di riconoscenza però in punto di morte nomina Giovanni suo erede, consegnandogli, oltre alle sue ricchezze, una lettera che contiene il modo per salvare la città. Allora Giovanni tramuta il suo nome in Alonso Pedro Juan Gurgolos, in onore dello spagnolo, ed inizia la sua personale lotta contro l'occupazione spagnola. Giovanni si organizza con un carrozzone da teatro col quale, insieme ad alcuni suoi amici, propone spettacoli satirici incitando il popolo alla rivolta. Una condanna a morte lo costringerà a trasferirsi in Spagna, ma successivamente, tornato a Catanzaro, ritrova l'amico di teatro Marco, malato di peste, e per un abbraccio tra i due la malattia viene trasmessa anche a Giangurgolo che muore.
Dai suoi atteggiamenti, dal suo modo di parlare, Giangurgolo appare come il tipico signorotto ricco, gradasso, spaccone, spavaldo, come colui che esige rispetto senza darne in cambio dalle persone più umili e assumendo, di contro, davanti a chi può rappresentare un pericolo o una minaccia, atteggiamenti di riverenza e umiltà rasenti alla sottomissione e sempre ruffiani ed adulatorii. Nell'approccio con le donne riesce a mettere da parte i suoi lati grotteschi facendo sfoggio di una erudizione barocca, artificiosa, finendo però sempre deriso e sbeffeggiato soprattutto a causa del suo aspetto fisico. Giangurgolo, convenzionalmente, porta sul volto una maschera rossa arricchita da una naso di cartone, sul capo un cappello a forma di cono. Indossa un colletto alla spagnola arricciato, un corpetto a righe rosse e gialle, calzoni sempre rossi e gialli fin sotto il ginocchio, calze bianche o, ancora, rosse e gialle ed un cinturone al quale è appesa una lunga spada che usa reiteratamente con chi è più debole ma che resta puntualmente penzoloni di fronte a chi potrebbe suonargliele.

 

 

 

La maschera di Pulcinella come la conosciamo oggi, è stata inventata ufficialmente a Napoli dall'attore Silvio Fiorillo nella seconda metà del Cinquecento, ma il suo costume moderno fu inventato nell'Ottocento da Antonio Petito. Infatti, in origine, la maschera di Fiorillo indossava un cappello bicorno (diverso da quello attuale "a pan di zucchero") e portava barba e baffi. Le origini di Pulcinella sono però molto più antiche. Le ipotesi sono varie: c'è chi lo fa discendere da "Pulcinello" un piccolo pulcino perché ha il naso adunco; c'è chi sostiene che un contadino di Acerra, Puccio d'Aniello, nel '600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel suo paese. Altri ancora, come Margarete Bieber vanno ancora più indietro nel tempo fino al IV secolo a.C. e sostengono che Pulcinella discende da Maccus, personaggio delle Atellane romane. Maccus rappresentava una tipologia di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance grosse, con ventre prominente, che indossava una camicia larga e bianca.Altri fanno risalire la maschera ad un altro personaggio delle Fabulae Atellanae: Kikirrus, una maschera teriomorfa (dall'aspetto animale) il cui stesso nome, infatti, richiama il verso del gallo. Quest'ultima maschera ricorda più da vicino la maschera di Pulcinella.Le Atellane furono una tipologia di spettacolo molto popolare nell'antica Roma, potremmo paragonarle all'odierno teatro vernacolare o dialettale apprezzate soprattutto da un pubblico di basso ceto. Maccus rappresentava ora il sileno ora il satiro, in qualche caso la tipologia del servo con un lungo naso e la faccia bitorzoluta, camicia larga e bianca, Maccus portava una mezza maschera, come quelle dei comici dell'arte, aveva il ventre prominente e recitava con voce chioccia.Fiorillo si ispirò a Puccio d'Aniello, il nome di un contadino di Acerra reso famoso da un presunto ritratto di Annibale Carracci, dalla faccia scurita dal sole di campagna ed il naso lungo, che diede vita al personaggio teatrale di Pulcinella. Pulcinella ha incarnato e continua ad incarnare il tipo napoletano, ancora oggi all'estero, il personaggio che, cosciente dei problemi in cui si trova, riesce sempre ad uscirne con un sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelando tutti i retroscena. Altri autori attribuiscono l'origine del nome all'ermafroditismo intrinseco del personaggio, ovvero un diminutivo femminilizzato di pollo-pulcino, animale tipicamente non riproduttivo, del quale in un certo senso imita la voce. In tale accezione Pulcinella si riconferma come figura di tramite uomo-donna, stupido-furbo, città-campagna, demone-santo salvatore, saggio-sciocco, un dualismo che sotto molti aspetti configura la definizione pagano-cristiana della cultura popolare napoletana.


 


 

 
 
 
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CITAZIONI DI

Beata Madre Teresa di Calcutta


Quello che noi facciamo
è solo una goccia nell'
oceano,
ma se non lo facessimo
l'oceano avrebbe una
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in meno

Non importa quanto
si dà
ma quanto amore si
mette nel dare.


Trova un minuto
per pensare,
trova un minuto
per pregare,
trova un minuto
per ridere.

La peggiore malattia
dell'uomo?
La solitudine.


Le parole gentili
possono essere brevi
e facili da pronunciare
ma la loro eco è infinita.

 

 

GRAZIE AMICI QUESTI REGALI SONO PER VOI

 

          Grazie Solic

 

Grazie diana.fini

 

 Grazie Trappolinax ( Wanda )

Grazie aumania_12 ( Alisia )

Grazie Trappolinax ( Wanda )

grazie STREGAPORFIDIA (Sonia)

questi splendidi regali,
li voglio
dedicare a
tutti voi amici

Aforismi 

Edward Morgan Forster è stato uno scrittore
britannico,autore di racconti brevi,
di romanzi e saggi letterari.
Da alcuni suoi romanzi sono stati
tratti film di grande successo come:
Passaggio in India (1984, regia di David Lean)
Camera con vista (1986, regia di James Ivory),
Maurice(1987, regia di James Ivory)
e Casa Howard (1992, regia di James Ivory).


Se è facile raccontare la vita,
ben più difficile è viverla,
e siamo tutti dispostissimi a
chiamare in causa "i nervi",o qualsiasi
altra parola d'ordine che serva a
occultare i nostri desideri.
( Edward Morgan Forster )

 Albert Einstein è stato un fisico
a soli 26 anni, ha mutato
il modello istituzionale di
interpretazione
del mondo fisico


E' più facile spezzare
un'atomo, che
un pregiudizio
( Albert Einstein )

 

GRAZIE PER I VOSTRI DONI

       Carissimi amici,
       grazie a tutti
       per i vostri doni.
       Questi sono solo
       una piccolissima
       rappresentanza
       della vostra amicizia
       ed affetto.
       sono felicissimo di
       ciò...bacioni
        a tutti

      vivi la vita    

      Grazie agli amci Trappolinax e luce 1001 per
      i bellissimi regali per il compleanno del mio blog

                    

               

 

SAGGEZZA POPOLARE ANDREOLESE

Cu ava focu campau,cu ava pana moriu.
Chi ha del fuoco è vissuto,
chi ha pane è morto a causa del freddo

'A casa mbidìàta,o pòvara o malàta.
La casa ch'è oggetto d'invidia va
incontro a povertà o malattia.

A bbona lavandàra on manca petra.
Ad una brava lavandaia non manca
pietra (su cui lavare).

E cu' t'affìdi, ti nganni.
Sulla persona a cui presti
fiducia ti sbagli (facilmente).

Canta lu gaddru e si scòtula li pinni.
Il gallo canta e si scuote le piume.
(Si dice di persona che di un fatto
non vuole assumersi alcuna responsabilità
e "se ne lava le mani", come Pilato.

Per altri curiosi proverbi andreolesi:

http://www.andreolesi.com/dialetto/proverbi.htm

 

FRASI CELEBRI

Golda Meir, fu una donna politica
israeliana, quarto premier d'Israele
e prima donna a guidare il governo
del suo Paese.

La vecchiaia è come un aereo
che punta in una tempesta.
Una volta che sei a bordo non puoi
più fare niente
(Golda Meir)

Anton Pavlovič Čechov è stato uno
scrittore, drammaturgo e
medico russo.
Laureatosi in medicina,
scriveva novelle di notte.

L' intelligente
ama istruirsi,
lo stupido istruire.
( Anton Cecov )

Non sappiamo cosa può accaderci
in quello strano guazzabuglio che è la vita.
Possiamo però decidere quello che avviene
in noi, come affrontarlo, che uso farne...
ed è questo, in conclusione,
ciò che conta.
( Joseph Fortton )

 

Henry Ford è stato un imprenditore statunitense.
Fu uno dei fondatori della Ford Motor Company,
società produttrice di automobili, ancora oggi
una delle maggiori società del settore negli
USA e nel mondo.

Chiunque smetta di imparare è vecchio,
che abbia venti o ottant'anni.
Chiunque continua a imparare resta
giovane. La più grande cosa
nella vita è mantenere la
propria mente giovane.
( H. Ford )

Riflessioni sul Tempo ... Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato. (Proverbio Africano); Il tempo è un grande maestro, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi studenti. (Hector Berlioz);        Una briciola d’oro non può comprare una briciola di tempo. (Proverbio Cinese);                                            Quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità, il tempo non ci  sarà più. (Fëdor Dostoevskij)Il tempo che ti piace buttare, non è buttato. (J Lennon )Un giorno senza un sorriso è un giorno perso.(Charlie Chaplin) L'unica cura per l'acne giovanile è la vecchiaia.( Totò )Ogni minuto muore un imbecille e ne nascono due. ( Eduardo De Filippo )Chi vive troppo tempo in un luogo perfetto finisce per annoiarsi. (Paulo Coelho)

 
 

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