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Creato da: BOTTONCINO70 il 12/02/2007
Giovani & Ribelli

 

 
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CHI UCCIDE E' SEMPRE COLPEVOLE

Post n°1 pubblicato il 12 Febbraio 2007 da BOTTONCINO70

Saddam Hussein: giovane ribelle, tiranno, assassino, morto. Condannato il 5 novembre 2006, ucciso il 30 dicembre 2006. In poche parole il riassunto della vita di una delle personalità che hanno caratterizzato il secondo millennio. La guerra del golfo, l’invasione del Kuwait, la persecuzione degli sciiti; insomma sono tanti i teatri di morte e distruzione di cui quest’uomo è stato protagonista. Fatto cadere dagli americani, processato dagli islamici e condannato a morte secondo le leggi della sua stessa religione. Inevitabilmente i fatti degli ultimi giorni ci costringono a fare una riflessione molto ampia e di cui l’esecuzione di questo dittatore può essere solo il pretesto per l’apertura. Chiederci se sia stato più o meno giusto ucciderlo senza domandarci se le stesse leggi che hanno impiccato lui, ovvero quelle che consento la lapidazione, l’infibulazione o la condanna a morte per pene molto minori, abbiano un senso nel terzo millennio sarebbe ipocrisia. Le cronache mondiali hanno trattato Saddam Hussein come un caso particolare, tentando di accreditare la teoria per cui vivo e carcerato sarebbe stato più pericoloso che sepolto e martire per una minoranza infine innocua. Molti pensano che sia stato un gesto importante per far capire al mondo chi è il più forte senza attaccare direttamente il terrorismo internazionale di Al Queda. Ma, forse, la domanda più opportuna è: esiste davvero un qualunque uomo al mondo così pulito e potente da poter togliere ad un altro, per quanto colpevole, la vita? E’ certamente una domanda retorica come è retorico chi, oggi, prova a sostenere l’erroneità di questo gesto e, ieri, non ha condannato l’assassinio senza processo e la umiliazione pubblica di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Dittatori entrambe, con le dovute differenze, comunque rei di gesti che hanno segnato la storia del mondo, ma il compito dell’uomo del terzo millennio non è la crociata del bene contro il male, non è la caccia alle streghe, non è la superstizione discriminatrice, non è lo scontro tra civiltà, non è il pregiudizio ideologico. Il terzo millennio. Con il rischio costante di una vittoria definitiva delle verità empiriche sullo spirito romantico e trascendente che fa di ogni essere umano un bene inestimabile. Ecco qual è la sfida del presente, non l’eliminazione dell’uno a discapito dell’altro ma il giusto equilibrio tra spirito e materia, tra scienza e teologia, tra relativismo ed etica. All’uomo la giustizia terrena a Dio quella dei cieli. Ah già, Dio. Saddam Hussei però è stato ucciso secondo una delle interpretazioni delle leggi islamiche. Eppure, a conoscerlo anche solo in maniera superficiale, sembra pressoché impossibile che sul Corano ci sia scritto che se un uomo sbaglia un altro uomo deve ucciderlo. Non c’è scritto infatti, e lo dimostra il fatto che diverse filosofie teologiche islamiche condanno il gesto e sono contrarie alla pena di morte. La speranza del mondo risiede in questo. Di fronte ad un impossibilità storica di modificare con guerre o azioni di intelligence le dottrine teologiche e alla totale inopportunità di chiudere al dialogo con la civiltà islamica, resta solo la possibilità di aiutare la parte “buona” dell’islam a definire un equilibrio mondiale fondato sul confronto, sullo scambio e sul rispetto delle diverse identità nazionali. Un percorso di durata indefinibile e sul quale è necessario essere di esempio. Per questo non ci si può limitare a ribadire la più totale contrarietà alla pena di morte ma è necessario rivolgere agli stati “occidentali” in cui ancora esiste, come gli USA, un appello per chiedere l’eliminazione di questo grado di condanna al fine di imprimere una sterzata importante al rispetto dei diritti umani, e con lo scopo di proporre un modello migliore di stato per l’intera umanità.

 
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