Sento parole

Annotazioni (in fieri)


Ho imparato a nominare cara tutta l'umanitá, a lasciarla non prima d'un abbraccio, sto imparando il senso dello scarto, a valutare il bene e semmai da l'altro allontanarmi. Ho lasciato il buio, la luce della piazza, per vivere in corridoi di vuoto dove é il gesto e la parola a farsi, a legare molecole che aspirano a svanire. Ho giá imparato che ci sono nomi, sostantivi disgraziati, sacralizzazioni insopportabili ai fedeli : la poesia é per prima, per la vanitá del verso, la traccia che mortifica il segno. Ho imparato una mappatura coraggiosa oltre gli oggetti, quelli non li butto mai, che mi ricordi dei valori condensati in genere, numero e persona che bisogna ripetere a memoria per non dimenticare. Ho imparato a diffidare ma con dolore perché ogni persona persa se poi scrive puó nuocere comunque alla speranza e moltiplicarsi pur rafferma come il pane. Ho imparato che ci sono desideri che non bisognerebbe realizzare che poi ti obbligano a soffrire ogni giorno, quotidianamente, perché hai amplificato troppo, troppo. Ho imparato che la nettezza ti obbliga a ferire per (il) bene e che ci perdi solo tu , fa niente . Ho imparato l'egoismo che invece é discrezione, cosí le cose che mi paiono piú belle le nascondo , non le scrivo. Ho imparato che il divenire non é miglioramento, che si puó attendere, aspettare forse il niente. Ho imparato  che  la visibilitá del bene é a suo sfavore che dovrebbe sminuirsi, non strafare. Che l'amore unico puó non bastare. Ho imparato che da fuori si sente ció che dentro é forte e che bisogna comunque incoraggiare, farsi arditi forse anche un po' sfacciati quando ne nascerá potente un'emozione. Ho imparato che l'anafora é un castigo, un'umiliazione che ti infliggi per convincerti a penare quasi fosse un sacramento d'umiltá, una confessione. Ho appreso che parto sempre con un frammento della veritá e poi lo perdo che mi distrae il ninnolo, la nenia, il gioco di parole. Ho appreso che di fronte a una scintilla si rimane folgorati quasi fosse un'esplosione e che nell'anima ci dev'essere una lastra su cui s'imprime indelebilmente, che  ti  ci sei stampato dentro a forza tu e in bianco e nero, con chiazze di colore. Sto imparando che il gioco del dolore  ha segni che valgono diverso, la delusione vince sul rimpianto, speranza perde sempre anche se vince un giro e che l'ansia pel futuro fa cappotto e stende. Capisco ora che l'amore quello vero, unico, immortale rimane tra gli interstizi delle cose, nel non detto, nel desiderio inappagato perché non deve consumarsi deve sostenendo rimanere e che puó accadere di conoscersi da sempre lontanissimi,affini per elezione. Puó accadere che la vita pieghi il verso della felicitá e che tu resista. Puó accadere che si trovi in altri ció che pare nostro e questo vale la pena di cercare, leggere, ascoltare prima dell'atto dello scrivere che deve assicurarsi di partorire creatura nuova e originale. E' accaduto  che mi sia sentita stolta in qualche modo, immeritevole d'affetto ma ho imparato presto che poi era  tutto amore sfuggito al mio  controllo, anarchico e ribelle e che  lento  mio malgrado continuava a seminare. Ho appreso che il compatimento per chi monta il suo rancore insegna a non rispondere a tacere e che viene concesso di far  notare sorridendo che l'occasione persa d'essere felice dipende soltanto da uno sforzo, da quell'applicazione al sentimento buono che col tempo diviene abilitá d'amore. Ho appreso che l'imprevedibile si attende a tavolino e ci si predispone con pazienza che questa riflessione deve pur finire e meglio se con un motto dissacrante, un po' irreale...toh non mi viene un accidente, non ho imparato a chiudere definitivamente. meno male