ROY1978

SULL'ARCHITETTURA


E’ da circa due anni che mi interesso di architettura.Non ho mai letto libri sull’argomento,anche perché costano troppo,ma nulla mi vieta né m’impedisce di fare le mie brave osservazioni,basate in parte su ricordi di posti visitati di persona e in parte su foto e immagini di posti che spero di vedere da vicino,un giorno.Le mie riflessioni però mi hanno portato ad una conclusione da scoperta dell’acqua calda:l’architettura è una scienza e un arte che dovrebbe adattarsi all’ambiente come un anello al dito,ma più spesso è come un orecchino,per cui è l’uomo che adatta la natura -un pezzo di terra come un lobo d’orecchio- alle proprie esigenze. O meglio ai propri disegni…Un monile come l’anello che funzione ha?Di sottolineare la bellezza naturale di una mano,e questa è arte.Ma che bisogno c’è di forare i lobi delle orecchie per abbellirle?Perché l’intervento così inva-sivo della tecnica,della scienza,solo per fini estetici?Allo stesso modo in architettura,o meglio in in-gegneria,ammetto l’utilità di canali come quelli di Panama e Suez,perché senza dubbio hanno ri-solto grossi problemi di viabilità,ma perché decapitare una collina,per dirne una,solo per ricavarne qualche ettaro edificabile in più?Al solito,le mie domande centrano il problema ma allo stesso tem-po sono di un’ ingenuità che se provenisse da un altro mi farebbe addirittura tenerezza,mentre nel mio caso finisce solo con l’ irritarmi di più…E’pacifico che l’architettura si esprima al meglio attraverso l’edificazione di chiese, cattedrali, mo-schee,castelli ecc.ecc. ma c’è anche una forma di architettura più modesta:quella delle case dove a-bita la gente comune.Nel”Baudolino”di Umberto Eco ho letto che la pianta di ogni città è voluta-mente contorta e piena di stradine che s’intrecciano,spesso storte o senza sbocco,per prevenire,nei tempi andati,un’invasione straniera.In pratica,l’ordine caotico e asimmetrico della pianta della città permetteva ai cittadini assaliti di difendersi,appostandosi in agguato dietro ogni angolo senza che il nemico ne avesse sentore.Mah.Sarà anche vero ma io ho sempre pensato che sia l’ordine caotico delle città,il fatto che nulla si ripeta(o quasi)alla vista del cittadino,che crei dei punti di riferimento,permettendo così l’orienta-mento.Viceversa dai labirinti,di cui Eco si intende,visto quello che ha progettato per”Il Nome della Rosa”,è tanto più difficile  uscire perché sono composti da due metà quasi speculari. Dico”Quasi” perché sono proprio quelle minime differenze tra le due metà della mela a far impazzire chi vi si vuole orientare dall’interno.Il mito di Icaro che tentò di uscirne in volo non è casuale:solo con una veduta panoramica il dedalo diventa di facile soluzione.A me piacciono gli stabili a pianta triangolare,perché creano per forza di cose due strade che si uni-scono,e nel contempo segnano un bivio venendo dalla parte opposta.Di solito dietro a questo trian-golo c’è sempre un altro edificio a pianta trapezoidale che prosegue le due strade lungo i cateti del primo triangolo e le unisce con la nuova via che idealmente taglia il triangolo più grande che si viene a formare.Ora,è chiaro che una torta triangolare o trapezoidale sia più complicata da tagliare a fette uguali, quindi questo esclude la possibilità che il popolo possa godere del principio di uguaglianza,per quanto riguarda lo spazio privato in cui abitare. Nell’”Utopia”di Moro viene descritta una città con case tutte uguali,dove la quadratura di ogni appartamento è la stessa per ogni famiglia e dove è vie-tato apportare alcuna modifica volta a personalizzare il proprio ambiente.L’idea,francamente,mi fa rabbrividire,e detto da me che sono di sinistra…Ma mettiamo pure che una disposizione di questo tipo della città sia attuata:ciò comporterebbe l’abbandono di case e palazzi antichi per andare a vivere in casermoni ad alveare costruiti apposta per equiparare il popolo.Ma in tal caso quanto spazio ci occorrerebbe in più?E come ricavarlo? Abbattendo gli alberi e riducendo ulteriormente gli spazi verdi del territorio nazionale,o piuttosto abbattendo tutti i palazzi storici del Paese?  Mi è sempre piaciuta l’idea che le città un tempo avessero le mura di cinta e una porta che alla sera venisse chiusa per essere riaperta al mattino all’alba,per mercanti e viaggiatori in arrivo e in parten-za.E’sempre confortante l’idea che qualcuno vegli su di te.Il problema semmai sussiste quando quelle stesse persone la porta la tengono sbarrata quando vuoi uscire o magari quando vi bussi in cerca di riparo e ristoro,ma questo è un altro discorso.Gli stessi portoni in legno dei vecchi palazzi sono,in piccolo,quello che una volta era la città.L’idea è che l’appartamento racchiuda il primo nucleo famigliare,quello più stretto,il cerchio più piccolo del bersaglio.Il palazzo un nucleo famigliare più ampio,con un legame più tenue,e la cinta muraria della città un nucleo ancora più esteso,prima dei confini naturali e nazionali del Paese.Ripeto è un’idea piacevole ma ingannevole, perché presuppone che il nemico sia l’Altro,il Forestiero,quello che viene da Fuori,e la cronaca e l’esperienza invece  ci insegnano che il nemico spesso ci dorme accanto.Oggi questo senso di fami-glia lo ritrovo solo in certi paesi del meridione d’Italia,dove le diverse famiglie sono unite in un clan ideale semplicemente passandosi l’un l’altro un pezzo di lievito madre per fare il pane.I mattoni non uniscono,piuttosto isolano.Occorrono invece più ponti,magari ideali,tra diverse culture.  Cavallo di Troia a parte,penso che l’idea di concepire le città con questo abbraccio circolare in pietra sia stata scartata nel momento in cui l’aumento demografico abbia fatto tracimare la gente fuori dalle mura,rendendo poco conveniente allargare la cinta muraria.Nella mia Napoli ogni via del centro è messa insieme come una coperta patchwork:ci sono i palazzi contrassegnati da una tabella marrone,che li identifica come punti di riferimento storici prima che topografici,poi quelli costruiti in epoca fascista,quelli in stile liberty del primo 900’,quelli semi-distrutti durante l’ultima guerra,quelli ricostruiti nel dopoguerra,quelli tirati su a partire dagli anni 50’,e poi l’orrore periferico delle vele di Scampia,che fa il paio con quella Manhattan dei poveri che è il Centro Direzionale.In centro l’abusivismo edilizio si è”limitato”a cambiare i connotati alla fac-ciata dei palazzi,così ogni inquilino ha cambiato lo stile delle finestre e dei balconi originari con altri più moderni, come l’anodizzato,o aggiungendo tapparelle e persiane,o ricavando due balconi più piccoli da uno grande o uno grande da due piccoli.Senza nemmeno mettersi d’accordo con gli altri inquilini per dare meno nell’occhio.Le case e i palazzotti abusivi, spuntati da un giorno all’ altro,naturalmente sono più frequenti in periferia e nella provincia.Ma in centro la cosa più incredibile è che c’è gente che ha occupato abusivamente case e palazzi di interesse storico e culturale e nessuno la manda via.Se hanno diritto ad una casa,che chi di dovere gliene dia una e preservi quell’edificio o quella casa,che magari ci frutterà anche un po’di soldi col turismo,dico io.Mi riferisco in particolare ad una torre a lato di un’antica porta della città,dove una famiglia vive da anni indisturbata,avendo apportato anche delle modifiche alla struttura originaria interna ed esterna.