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Solo per RAF il gigante non egoista

 

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Romea è tornata, Romea se ne va. »

Lo sapevooooooooooo che diventava una fiaba.S'è scritta da sola, non ho meriti.

Post n°2 pubblicato il 28 Settembre 2005 da frammentidistorie

IL   GIGANTE   ALTRUISTA

(Come rispondere ad Oscar Wilde degnamente per il personaggio, indegnamente per il paragone tra scrittori)

 

 

Viveva, e vive ancora, in una città del nord un gigante, molto particolare per il suo altruismo.

Ma, si sa, gli esseri umani spesso non vedono proprio ciò che è davanti ai loro occhi e il gigante spesso passava inosservato.

Non a tutti, certo.

Lo notavano subito i bambini nei passeggini, di cui era ghiotto. Ma cosa avete capito?

Non li mangiava, era però costretto per contratto (come da articolo pubblicato sulla G. U. no. 2.675) a guardarli tutti, anche se doveva affacciarsi ai passeggini con le cappottine abbassate.

Loro si accorgevano del gigante e, se svegli, ridevano. Se addormentati, dormivano. E se stavano piangendo smettevano perché il gigante se ne aveva subito a male e i bambini non lo volevano dispiacere.

Anche qualche vecchietta, le signore di una certa sensibilità e i transessuali lo notavano, ma quelli hanno sempre anima e questa è un’altra storia.

Ma per il più della gente il gigante passava inosservato. Eppure tutti i giorni usciva per andare in ufficio e pranzava fuori. Girava per la città la sera e di notte, ma pochi erano quelli che si rendevano veramente conto che era un gigante.

A volte davvero non vediamo oltre il nostro naso.

Quest’ultima frase me l’ha suggerita il Cirano di Bergerac (grazie).

Comunque il gigante stava benissimo, anche se qualche volta aveva problemi con il passaporto (non lo lasciavano partire), con il satellitare che si ostinava a volere svoltare nei sensi unici e con il cellulare che, per via delle grosse dita di gigante, aveva i tasti troppo consumati.

Per il resto, tutto, era felicissimo.

Lavorava, si divertiva, a volte andava alle feste degli zombie (che non ho ancora visto). Altre volte finiva in un bar meraviglioso o in un ristorante dove si mangiava benissimo.

La sua auto zigzagava per la città facendo da sola inversioni a U e salendo sui marciapiedi.

Fumava sigarette sempre diverse e, a volte, le condiva con aglio fresco per tenere alla larga gli zombie famelici.

Aveva diversi poteri magici, ma li usava rara mente per il suo piacere. Trasformava la sua auto in appartamento (provate voi), oppure una panchina in un salotto. Non parliamo di quello che faceva alle vie e a corsi della città. Una volta ne cambiò completamente uno, per vedere sorridere una bambina, con un altro simile, ma di una città lontanissima.

Insomma, a farla breve, aveva tutto e gli avanzava sempre qualcosa che, appena trovava adeguato destinatario, provvedeva a regalare.

Aveva un odio sviscerato per le lune gonfiabili, rosa, piene di cuoricini. Ma ne teneva una chiusa in una scatola perché era un regalo. E quelli si tengono anche se ti rompono i maroni!

Un giorno però, inaspettatamente, conobbe una persona in un mondo solo virtuale. Praticamente il gigante non sapeva con chi aveva a che fare. Ma gli era simpatica, scriveva anche piuttosto discretamente (senza esagerare) e aveva un blog.

Per il gigante fu un colpo al cuore.

Lui non aveva blog e chiese alla sconosciuta se lo poteva avere anche lui.

Lei disse che certo si poteva fare, ma non lo aiutò, anzi, lo ostacolò anche, velatamente.

Non per invidia, certo, ma perché temeva il principio dei vasi comunicanti. E un filo di ragione ce l’aveva, diremmo noi.

La comunicazione infatti ci fu. Durò mesi e, intensamente, divenne anche sempre più intensa. Nonostante litigassero anche, talvolta per colpa delle foche che passavano da mail in mail.

Il fatto è che anche le foche fotografate al gigante non piacevan troppo.

A lei, invece, quei due occhi che promettevano paradisi di dolcezza scioglievano lentamente l’anima, tutta, e si sentiva svenire ogni volta che la guardava.

Comunque sia, dopo il litigio della foca, passarono un periodo di mesto silenzio. Anche se nessuno dei due aveva nulla contro l’altro.

Un giorno però, lei, gli scrisse una mail breve in cui gli chiedeva se poteva vedere la città lontana del gigante.

E, come accade in tutte le fiabe, lui non se lo fece dire due volte, ma tre (perché mica era tanto convinto che lei sarebbe andata davvero, non era convinta lei, figuriamoci lui).

Alla fine, come fu, come non fu, si incontrarono.

Nelle fiabe mica ci si incontra come nella vita. Lei era su un auto, lui a piedi (l’aveva parcheggiata, stolti, mica volevate che andasse a piedi!), si guardarono.

Proprio in quel momento il grande orologiaio intergalattico decise di fare una pausa per merenda. Solo che lasciò fermi gli orologi di tutti i sistemi solari.

E siccome, spesso, anche il diavolo ci mette le orecchie anche il meccanico dei motori celesti fece un break per uno spuntino.

Così, a tempo e spazio fermi, si incontrarono il gigante e la piccina. Ma noi dobbiamo dare un nome ai due protagonisti e useremo proprio i loro veri nomi. Lui si chiamava Giulio e lei Romea.

Che protestate?

Nelle fiabe nessuno ha nomi semplici, rassegnatevi.

Solo che Romea era piccolissima davvero e Giulio grande grande come solo i giganti.

Romea lo vedeva benissimo che era un gigante, ma non disse nulla per non esser inopportuna. E poi, si sa, a volte si vede male. Questo vale assolutamente di più se porti gli occhiali, e Romea li portava. Anche se eran leggerissimi e viola. Con gli occhiali viola si vede, notoriamente, meglio.

A farla brevissima, Giulio sorrise e lei anche.

La fece salire sulla sua auto (che in quel momento era davvero un auto e non un superattico a Beverly Hills) e la portò in giro per la città.

Non vi posso elencare quello che lei vide.

Perché nessuno, ancor meno io, so narrare ore e ore di meraviglie e tesori.

Solo lei si rifiutò di andare a vedere gli zombie ( e mo’ si rode). Lui la fece cenare a base di pesce in un posto molto intimo, candela di rito compresa.

Lei mangiava e, mentalmente, ringraziava la proprietaria del ristorante, pareva quasi una preghiera. Per il pesce alla griglia, per la luce della candela, per la tovaglia color albicocche infinite, per il silenzio serenissimo, per la discreta gentilezza di lei, per il risotto non parliamo. Ne declamò le bellezze per un giorno intero e ancora le pareva poco.

Non mi sfuggisse il nome di quel luogo, ve lo direi, ma mi sa che è riservato ai giganti accompagnati dalle bambine.

Comunque chiederò e vi farò sapere meglio fiabe facendo.

E ora andiamo al sodo (non furono servite uova).

Girovagando per la città il gigante Giulio decise di portare Romea in una panchina con vista (era illuminatissima da un lampione) in un parco.

Lo so che state imprecando, ma i nomi proprio non li ricordo.

Se pazientate sette o otto fiabe, forse, qualche via me la ricordo.

Solo che lì, già che c’era (era presente nonostante il vagheggiare pallido e assorto) trasformò la panchina in un salotto di pelle blu oltremare con tavolino di marmo e mobile bar.

Non mancava niente, osservò Romea, anche il soffitto di foglie si intonava benissimo. Per non parlare del quadro raffigurante altalene e scivoli per bambini.

Insomma come passar dall’aperto al chiuso e senza cielo, scusandosi con gli autori della canzone che vede bene il meccanismo inverso.

C’eran anche le canne di bambù, mi pare, che ondeggiavano in un angolo della stanza.

Un po’ di fumo (lo usano i giganti per ricreare orientali atmosfere), un po’ di parole di persone non presenti (senza occhiali la protagonista non vedeva un cappero neanche se lo mettevi dentro l’occhio destro) e l’aria da salotto tra le foglie.

Era tutto talmente bello che Romea pensava, assorta: le canne no, ma il resto fa effetto.

Non era molto amante delle canne di bambù, preferiva le lampade psichedeliche da giardino.

Per magia e per incanto (siamo in una fiaba, ricordate?) il gigante si rimpicciolì e la bambina crebbe fino alla sua stessa altezza.

Poi però, per gli strani scherzi del destino fiabesco, Romea tornò piccina e si perse nei baffi del gigante.

Le pareva di essere in una foresta, camminava e camminava ma non riusciva a capire dov’era. Poi, improvvisamente, gli cadde dentro la bocca e lì, per forza, si fermò.

Pensate se il gigante in quel preciso momento avesse chiuso forte i denti oppure avesse serrato le labbra.

Sarebbe stata la fine per la povera Romea, ma il gigante sentì un piccolo essere nelle sue labbra e nella bocca. Pensò d’esser dal dentista, ma era impossibile in quel posto.

Capì che era la minuscola bambina che era finita lì, non per sbaglio, questo no.

Mai.

La face dondolare sulla lingua come se fosse in barca, la sollevò in alto come se fosse una gru e la fece scendere dentro l’ascensore.

Romea rideva e rideva. Sobbalzava qua e là e rideva, poi sorrideva.

Non era mai finita nella bocca di un gigante, e poi così gentile dal lasciarla giocare quanto voleva.

In cambio gli regalò i suoi jeans, affatto firmati, per almeno due ore.

A lui i jeans piacevano perché i suoi erano sempre troppo stretti. Quando li prendeva andavano benissimo, poi però lui cresceva e i jeans sembravano una prigione.

Quelli di lei invece erano così comodi e larghi che lui li ammirò tutti. Ne soppesò la stoffa, li rigirò tra le dita, ansiose, li osservò.

Siccome Romea era reduce da un viaggio su un lingua gigante, erano un po’ umidi, ma a Giulio questo non importava.

Sperò che lei glieli lasciasse, ma sapeva che doveva restituirli.  Romea però pensava che presto lo avrebbe portato nella fiaba dei jeans, e lì, lui li avrebbe potuti provare tutti fino allo sfinimento.

Ma era tardi e le bambine delle fiabe devono rincasare. Lui la portò in un viale che davvero cambia posto ogni dieci minuti (lo spostano piccoli operai invisibili e lo trascinano qua e là per la città, così non vi dico il nome perché mai lo trovereste), c’era il silenzio delle favole cinesi.

Notoriamente le favole cinesi sono molto silenziose.

Lì, nella notte orientaleggiante, cineseggiante, filosofeggiante, il gigante tenne la bambina tra le sue grandi braccia. Lei diventò piccolissima, tanto che lui temeva di perderla sul cambio.

La ritrovò dentro il portaoggetti della portiera, intatta o quasi.

Allora il gigante altruista cadde sul sedile con un tonfo e Romea si chiese se era ancora vivo.

Si spaventò, ma poco. Poi lo sfiorò con un dito e, come per magia, il gigante aprì gli occhi.

Romea sorrise.

Il grande orologiaio e il meccanico, finita la pausa, ripresero il lavoro e Giulio e Romea si salutarono, sognando.

Ma Romea partendo dalla città pensò che era strano.

In un posto dove tanti vanno c’è un gigante e nessuno se n’è mai accorto sul serio.

Vale la pena d’esser piccini, se così si vedono le grandi cose e le grandi persone.

Ma dove ora si trovi il gigante altruista non ve lo possiamo dire. Perché è finito nel lillipuziano regno di Romea, chiuso tra lettere e libri piccini.

Lì soltanto lei può tenerlo e non vuole esser rinchiuso in altro modo.

Ma lei, buona, lo libera spesso per lasciarlo compier magie per gli umani che non sempre lo sanno.

E, ad ogni magia, diventa più grande.

Se guardate bene dalle finestre dei passeggini, bimbi, lo potete vedere.

Immenso vi guarda e sorride.

di Patrizia P.

Commenti al Post:
Johnny_Speed
Johnny_Speed il 28/09/05 alle 22:30 via WEB
Ero sicuro di averti già vista in un passegino!(buoni i ravioli).Giulio Andreotti
 
 
frammentidistorie
frammentidistorie il 29/09/05 alle 00:33 via WEB
Non te lo volevo dire, ma non eri interista te lo davo io il gigante (balle, ma non parliamo di calcio che cinque su dieci gli uomini non ci capiscon 'na maglietta). SI, ERO IO QUELLA SUL PASSEGGINO GIALLO che, mentre tu fumavi imperterrito, piangeva come la fontana del Bernini. Però, anche te, potevi farmi fare due tiri!!
 
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Un blog di: frammentidistorie
Data di creazione: 27/09/2005
 

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