Messaggi del 12/03/2007

EPILOGO (ero un medico)

Post n°13 pubblicato il 12 Marzo 2007 da pajasso
 
Foto di pajasso

parte II
Ero rimasto lì inebetito in silenzio mentre se andava. Cosa
sapeva? Chi aveva parlato? Come? Dove aveva trovato informazioni così
dettagliate da permettergli quei commenti? Turbato, avevo preso il giaccone, il cappello e mi ero avviato
lungo la carrareccia che portava alla scogliera. Camminavo e riflettevo: in un istante, la fine della mia fuga,
l’anno di vita tranquillo in quel paese era svanito, cancellato da poche parole
non dette: “Io so chi sei!”
Giunto alla scogliera, mi ero seduto con le gambe sospese nel
vuoto, lo stesso vuoto che mi divorava la mente. Sentivo il cuore stretto in una morsa troppo familiare. Il
ghiaccio premeva e stritolava le emozioni tentando di arginarle. Per tutti gli
anni del mio peregrinare non vi era stato evento, sguardo, sorriso o bacio che
avesse scalfito quella morsa di ghiaccio, nemmeno la più piccola crepa aveva
mai segnato la pietra che portavo nel petto.
Ora, erano bastate poche parole per far franare tutto il
castello mentale costruito per controllare le mie emozioni. Non era stata la
morte di quel ragazzo, come non era il dolore di quella povera donna; o meglio,
erano anch’essi piccole crepe che si facevano strada nel sasso che chiamo
cuore. No, era stata l’atto di quel maledetto prete; aveva bisogno di me, ma io
non volevo essere d’aiuto a nessuno, nessuno doveva aver bisogno di me, nessuno
doveva dipendere da me. Non volevo questa responsabilità, no, no e no: non un’altra
volta.
Dio ti prego aiutami, mi sento andare in pezzi, sento le gambe
che cercano di portarmi via, via da questa terra, via da questa gente. Avevo
trovato la pace, avevo trovato l’equilibrio della solitudine. Lui e quel suo
maledetto Dio sempre buono, sempre capace di perdonare; non poteva quel
maledetto e stramaledetto prete cercare conforto da un’altra parte?
Il sole, riflettendosi sul mare, fa baluginare la vista, il mare
sembra una confusa chiazza blu, la spiaggia sotto i miei piedi pare una
pennellata data per errore da un pittore distratto; non riesco a distinguere i
particolari e pure i gabbiani che su e giù, si lanciano in volte e capriole
nell’aria, ai miei occhi, sono solo indistinte chiazze bianche.
Stringo forte i pugni convinto che così potrò arginare la
frattura della morsa di ghiaccio che mi stringe il cuore. Sento il suo gemito
diventare grido. Non vuole più stare chiuso in quel silenzioso limbo, vuole
uscire, vuole vivere, vuole palpitare di vita, di emozioni. Stringo ancora più forte i pugni, quando la sua voce giunge dai
ricordi più reconditi: “Amore, la cosa più bella di te è la tua capacità di amare, di
vivere a pelle. Mi hai reso una persona bella dentro, hai sempre saputo darmi
forza, coraggio. Sei il mio sorriso, amore caro. Tu amore mio caro, sono gli
occhi tuoi che illuminano le mie notti più buie. Tu amore caro, sono le tue
labbra che sanno farmi volare sulle ali del piacere. Tu amore caro, sono le tue
braccia che sanno stringermi facendomi sentire protetta e sicura. Tu amore
caro, tu ed il tuo meraviglioso cuore siete il mio porto e la mia casa.”
La sua voce; quelle parole pronunciate un mattino prima di uscire per portare nostra figlia a scuola ed andare a lavorare.
Le ultime che ha potuto dire. Dopo solo un lampo ed un tuono.
(segue ...)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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ciao, da Pajasso
 
Molte persone entrano nella tua vita,
ma solo i veri amici lasciano le proprie orme
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