Messaggi del 28/03/2007

LACRIME DI PACE

Post n°18 pubblicato il 28 Marzo 2007 da pajasso
 
Foto di pajasso

È ora! Sapevo che prima o poi sarebbe capitato, ma in cuor mio
speravo non succedesse mai: la prova del nove, la definirebbe qualcuno.
L’elicottero è pronto, i piloti sono concentrati sulla carta ad
esaminano nuovamente i punti di sorvolo, frequenze, nominativi; tutto come nel briefing. Michele, l’altro specialista è cupo e
silenzioso come me. Il nostro lavoro per adesso è fatto, possiamo solo
aspettare l’ordine di decollo.
Ricontrollo le armi, la pistola carica e pronta è assicurata nel
giubbetto di sopravvivenza; la mitragliatrice sul lato destro dell'elicottero è
a posto, ricontrollo le cassette di munizioni, l’imbracatura che mi permetterà
di muovermi liberamente slegato dal seggiolino ed il cavo dell’interfono
abbastanza lungo e libero da non intralciarmi.
Via! Bisogna andare, la situazione è precipitata, occorre
l’intervento degli elicotteri per evacuare i feriti.
Decolliamo e via subito sul mare per provare le armi, questa
volta non ci si può permettere d’avere inceppamenti. Un istante e siamo sulla città: l’adrenalina sta facendo il suo effetto, vedo, sento, percepisco tutto. La
città in tutta la sua miseria scorre veloce sotto i miei piedi, ma ciò non
m’impedisce di notare tutti i particolari. Ecco là ad ore 13, leggermente sulla
destra, il fumo sale verso il cielo. Là, ci sono i nostri sotto il fuoco dei
cecchini. Tutto rallenta all’improvviso, l’ulteriore scarica di adrenalina acuisce i sensi in
maniera spaventosa, il cervello registra tutto, troppo, perciò sembra che tutto
rallenti. È un’altra dimensione e mentre il pilota avvisa di
prepararsi al fuoco tu ti chiedi se morirai e ti rendi conto di non aver avuto
mai una simile paura. Tutto questo lo fai mentre togli la sicura all’arma e cerchi
un bersaglio. L’uomo e il professionista convivono e si parlano ma vince
solo il professionista e l’arma spara.
Mi accorgo che ci sparano contro, avviso il pilota senza
accorgermi che sto urlando, vedo i nostri, là in mezzo alla strada, colpiti, feriti. Non
so se sono ancora vivi, non so se qualcuno stasera riceverà la visita di un
militare in alta uniforme che gli comunicherà, in tono dispiaciuto, che c’è
stato un incidente ed il loro figliolo, marito, padre è morto
nell’adempimento del dovere.
Bisogna fare qualcosa, ma nessuno sa che cosa, fino a quando ci autorizzano ad atterrare per prenderli.
Ci allontaniamo per ricaricare le armi ed essere sicuri di non
finire i colpi nel momento sbagliato; ci avviciniamo velocemente, bassi, molto bassi sui tetti.
All’improvviso si apre la piazza davanti a noi ed il pilota mette giù
l’elicottero. Spariamo a tutto quello che si muove e non porta la mimetica.
Giù, di corsa verso quei ragazzi. Ne prendo uno per le mani, non ce la faccio a
caricarmelo sulle spalle, lo trascino verso l’elicottero; venti metri, non sono
di più, ma sembrano mille chilometri: qualcosa di irraggiungibile. Sento le
pallottole passarmi vicino, troppo vicino, perché non sibilano. Il rumore di
rametto spezzato è quello del colpo che supera la barriera del suono e se lo
senti significa che è passato vicino, troppo vicino. Vedo l’elicottero
incassare i colpi, il pilota che urla qualcosa verso di noi. Dagli altri
elicotteri sparano per coprirci, arrivo finalmente all’elicottero e scaravento
dentro il ferito, non sapendo che è morto, che forse lo era già.
Dietro di me Michele si butta dentro l’elicottero con l’altro ferito sulle
spalle. Immediatamente il pilota decolla, non c’è neanche il tempo di spostarsi
alle armi che siamo fuori della zona.
La mia corsa in mezzo ai proiettili è stata inutile. Non so se
il ragazzo è stato ucciso mentre lo trascinavo o se era già deceduto. Per un
attimo penso che ho corso un rischio pazzesco per niente. Poi penso che i miei
cari, se succedesse a me, vorrebbero almeno il corpo su cui poter piangere.
Penso a questo e a tante altre cose. Mi sento stanchissimo, svuotato. Sono
coperto dal sangue del soldato morto. Michele mi osserva con gli occhi
sbarrati, urla qualcosa poi incomincia a strapparmi la tuta di volo. Non riesco
a reagire, non riesco a dirgli di smetterla, non riesco a chiedergli cosa sta
facendo. Poi un leggero torpore incomincia ad invadermi. Vedo lacrime scorrere
sul viso di Michele, poveretto devo stare attento perché sta subendo uno shock
per quanto abbiamo vissuto. Poi girando la testa vedo il mio braccio ed
incomincio a capire perché non riuscivo a sollevare il ferito. Chissà quand’è
che mi hanno colpito, non mi sono accorto di niente, è incredibile come
l’adrenalina abbia un effetto anestetico sul corpo. Una lacrima mi scorre sulla
guancia, la lecco e sento il sapore del ferro, non del sale. Una lacrima? Come
fa a venire da sopra gli occhi. Li chiudo un attimo perché sono proprio stanco.
Chiedo solo un attimo di pace di tranquillità, sono stati momenti difficili.
Sento Michele, sordo alle mie mute richieste di riposo, urlare il mio nome: mi
chiama, mi dice di riaprire gli occhi. Bestemmia e urla, lo sento nel fragore
dell’elicottero.
Poveri genitori, povera moglie, non sono riuscito a salvare il
vostro caro, ma almeno vi riporto il suo corpo, così che lo possiate seppellire
ed andare a trovare ogni giorno, cercando conforto a quanto è successo.
D'incanto tutto si calma, il rumore dell'elicottero diventa meno assordante le palpebre si fannno pesanti e la luce si attenua. Sono stanco, tanto stanco e mentre intorno diventa buio penso che ora posso riposare...

 
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