RASNA

LA MUSICA PERDUTA DEGLI ETRUSCHI: APPUNTI SPARSI


Gli autori greci e latini dissero che la musica accompagnava ogni gesto quotidiano degli Etruschi: suonavano i pastori pascolando il gregge, suonavano nelle gare sportive, ai banchetti, durante le battute di caccia, mentre si cucinava, durante i riti funebri e secondo qualcuno, (greco, ma và?) anche mentre si “frustavano i servi” trovando nella cosa anche una certa connotazione sadica. Di fatto, che la musica avesse assunto un ruolo importante nella vita anche quotidiana degli Etruschi, è certo: sono molte infatti le rappresentazioni di musicisti (specie flautisti e suonatori di lira) nelle bellissime pitture delle tombe tarquiniesi, chiusine e orvietane e nei vasi di ispirazione greca a figure rosse. Purtroppo a parte queste testimonianze, della musica etrusca praticamente non si sa nulla. Possiamo dedurre che si ispirasse a quella greca di cui sappiamo un po’ di più ma, se analizziamo attentamente le testimonianze grafiche, ci accorgiamo anche che gli Etruschi forse avevano saputo cambiarla o personalizzarla. Per esempio i Greci avevano il doppio flauto, anche i nostri Rasna lo avevano ma  era diverso e probabilmente emetteva un suono differente, non chiedetemi i dettagli tecnici sul perché (il musicista Stefano “Cocco” Cantini, durante l’incontro museale su “La musica perduta degli Etruschi” lo ha saputo spiegare benissimo ma io purtroppo non so fare altrettanto) credo che si trattasse di un discorso di “ancia”. Come doveva essere quel suono? Con precisione non lo sapremo mai tuttavia avrebbe potuto assomigliare a quello del doppio flauto sardo; d’altronde gli studiosi stanno approfondendo i legami tra la civiltà nuragica e quella etrusca e non si esclude che entrambe siano state correlate cosicché alcune reminiscenze del passato, perdute nell’Etruria di oggi,  siano state invece tramandate nella cultura sarda. Non è tutto, alcuni strumenti infatti sono stati inventati proprio dagli Etruschi, per esempio il grande corno che veniva portato a spalla e la tromba con l’estremità ricurva detta, per questa particolarità “lituo”. Dalle scene riportate su parecchi vasi, sembra che corni e trombe fossero privilegiati durante le attività di guerra e di caccia (ed il pensiero va alla caccia alla volpe in Inghilterra scandita dal suono dei corni), le trombe a lituo ed il grande corno a spalla (se ne trovano i resti a Villa Giulia) scandivano l’incedere dei cortei di magistrati mentre per sacrifici, banchetti e giochi si preferivano flauti e lire (di cui quella grande detta a “culla” pare essere tipicamente etrusca). I musicisti sono quasi sempre raffigurati vestiti riccamente per cui probabilmente non erano schiavi o servi ma professionisti prezzolati anche lautamente così come d’altronde avveniva in Grecia. Uno dei primi re di Roma, Numa, che organizzò i suoi cittadini in corporazioni di arti e mestieri, mise al primo posto proprio quella dei musici per cui, questi dovevano essere tenuti in grande considerazione nell’antichità. Un discorso a parte riguarda la musica nei sacrifici: sappiamo infatti che presso i Greci un sacrificio non era valido e la divinità veniva offesa se l’animale, nell’atto di essere immolato, emetteva dei gemiti; la musica serviva per coprire questi rumori indesiderati in modo che non arrivassero alla divinità che ci si voleva ingraziare.  Da tutta quest’analisi possiamo dedurre inoltre che gli Etruschi non amassero gli strumenti a percussione, conosciuti e utilizzati dai Greci ma mai raffigurati invece dai nostri progenitori che prediligevano quindi gli strumenti a fiato. Pare che questa predilezione si sia trasferita nel dna degli italici, visto che l’Italia è uno dei primi paesi al mondo a sfornare virtuosi degli strumenti a fiato.Grazie alle dottoresse Rafanelli e Celuzza e al musicista Stefano “Cocco” Cantini per la bella ed istruttiva conferenza sul tema della musica etrusca.