RASNA

Post N° 118


Avez vous le mòt?Origini e sviluppo della lingua etruscaSottotitolo: ma quanto erano giraccoloni!Per quanto riguarda le origini della lingua etrusca poco si sa, è certo che, a partire dal 949 a.C, data in cui lo storico Tito Livio, fa partire la colonizzazione italica da parte degli Etruschi, in men che non si dica, la loro lingua si diffuse da subito nei territori mano a mano da essi occupati. A partire dall’Italia centrale, primo avamposto, fino alla Pianura Padana e al Meridione. Sviluppo ulteriore si ebbe a partire dall’VIII secolo a.C., da quando cioè fu adottato dai nostri eroi l’alfabeto greco e cominciarono quindi a sbizzarrirsi con la scrittura, tanto che gli ultimi testi etruschi, di cui si ha memoria, risalgono al periodo Augusteo. Purtroppo però, le epurazioni latine ed i secoli li hanno distrutti e di loro, ci rimangono solo alcune epigrafi rituali e funebri. Popolo di grandi commercianti, si spinsero oltre i confini peninsulari, tanto che iscrizioni in etrusco sono state trovate in Austria; questo loro spirito di esplorazione rese possibile il contatto con i popoli del nord Europa ai quali trasmisero, forse come necessario mezzo di comunicazione, il loro alfabeto, tanto che studi recenti hanno dimostrato la somiglianza tra le iscrizioni etrusche e le Rune, considerate come elaborazione germanica proprio dell’antico alfabeto etrusco, come dimostrano ritrovamenti fatti in Svezia, Norvegia, Irlanda ma anche Romania. L’utilizzo stesso dei due punti per la separazione delle parole rimanda ancora all’ambito etrusco. Non a caso le tracce degli etruschi sulla antica rotta dell’ambra si riscontrano nel nome della mitica isola di Tule (forse l’Islanda), che deriva chiaramente dall’etrusco tul- (plur. tular) e che significa “confine/i”. La stessa origine di Roma, sorta appunto ai confini dell’Etruria meridionale, è rintracciabile nell’arcaico vocabolo Latino di origine Etrusca ‘Ruma‘ (mammella), riferibile probabilmente alla grande ansa formata dal Tevere di fronte all’isola Tiberina.La presenza di iscrizioni funerarie  scritte con l’alfabeto e nella lingua degli Etruschi ma in realtà appartenenti ad individui di etnia latina, osca, umbra o venetica, è da individuare nel fatto che l’opera di alfabetizzazione di Romani, Latini, Osci, Falisci, Umbri e Venetici venne effettuata dagli Etruschi, la cui lingua aveva nell’Italia di quei secoli l’autorità di unica lingua
scritta e di lingua di cultura; il fatto è confermato dall’abitudine romana di educare i giovani aristocratici in Etruria come ci racconta Tito Livio o sull’usanza di avere a Roma da parte di famiglie patrizie, precettori Etruschi o Greci per i loro figli.Anche alcuni toponimi dell’Italia antica, ben oltre le aree del predominio politico degli Etruschi, appaiono come la traduzione in lingua etrusca di quelli originari; ad es. il nome della città di Aesernia, nel Sannio, attuale Isernia, sembra connesso all’etrusco aiser «dèi» ed è interpretabile quindi come “consacrata agli dèi”.  Anche l’esempio di Bergamo (Bergomum, Bergamum, Pergamum), costruita sulla cima di una ripida collina in Lombardia, è da confrontare col latino. pergamum «altura, edificio elevato, roccaforte, cittadella», e col greco pûrgamon «raccoforte, cittadella» (toponimo presente a Troia, Creta, Macedonia, Misia e Lidia); E’ molto probabile che questo vocabolo sia stato importato dall’Asia Minore in Italia dagli Etruschi, come lascia intendere l’antroponimo etrusco Percumsna-Pergomsna, interpretabile come «nativo di Bergamo, Bergamasco.»Quando poi la lingua latina prese il sopravvento, un buon numero di vocaboli etruschi ormai, erano entrati nel lessico comune; di questi alcuni erano destinati ad un illustre e fortunato avvenire: atrium, favissa, fullo, histrio, lanista, mantissa, miles, mundus, persona, populus, radius, satelles, subulo, virginis, ecc.Ma del dialetto etrusco non rimane proprio niente ai giorni nostri?Ma certo che si:  per alcuni studiosi, che hanno confrontato scritti latini in cui si prendeva in giro la pronuncia etrusca e le stesse modalità di costruzione della frase,(per esempio la mancanza nel gergo etrusco della "c" dolce e della stessa consonante con suono "k" in mezzo alle parole) con la gorgia toscana, considerata un relitto fonetico risalente ad una tendenza di origine etrusca; più in particolare rimane maggiormente presente l’area fonetica nella quale viene aspirata la –c- (tipo: fiho “fico”, la hasa “la casa”), un po’ meno presente quella in cui viene aspirata la –t- (tipo: ditho “dito”, statho “stato”)- e qui i Fiorentini ne sanno qualcosa in più rispetto ai Grossetani- mentre più ridotta è l’area dell’aspirazione di –p- (tipo: cuphola “cupola”, lupho “lupo”), e se sentite parlare un Senese, di quest’ultimo caso ve ne rendete subito conto.D’altro canto quel buontempone di Catullo, che ne aveva una per tutti, non la fece passare liscia a tale Arrio, nato e cresciuto a Roma, ma colpevole di avere origini etrusche e di essere vissuto in una famiglia in cui si parlava ancora l’etrusco, e così immortalò la sua pronuncia nel “Carme n.84”:“Arrio, quando voleva dire commoda e insidiae,pronunciava hommoda e hinsidiae,e si illudeva di aver fatto colpoquanto più aveva aspirato la i di hinsidiae.Credo che così parlasse sua madre, così lo zio materno, che era stato schiavo,così il nonno e la nonna materni.Quando Arrio fu inviato nella Siria, le orecchie di tutti, più non furono infastidite:ascoltavano quelle stesse parole pronunciate senza aspirazione e senza sforzo,e non le temevano più per l'avvenire,quand'ecco giunge un'orripilante notizia:i flutti del mar Ionio, dopo che Arrio li aveva attraversati,non erano più lenii, ma Hionii.” (il primo alfabeto- in blu- è etrusco, l'altro è alfabeto runico)