RASNA

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IL FANUM VOLTUMNAE A TARQUINIA ? di Alberto Palmucci Il Fanum Voltumnae era a Tarquinia per le ragioni che esporrò in questo lavoro. Il geografo greco Strabone scrisse: “Si racconta che Tarconte [...] fondò dodici città; e da lui prese il nome la città di Tarquinia. A quel tempo, dunque, gli Etruschi, governati dal un sol capo, furono molto potenti”. Aulo Cecina di Volterra (Scholia Ver. Eneid. 200), poi, storico etrusco, negli Scolia Veronensia raccontò che “Tarconte, passato l’Appenninio con l’esercito, fondò la città che chiamò Mantova […]. Lì ordinò il calendario, e parimenti consacrò il luogo dove fondare dodici città”. E’ l’area di Tarquinia il vero epicentro dell’espansione dapprima verso l’Etruria propria, e poi verso la Padana. Le vicende di questa fase formativa della nazione sono riflesse, infatti, in quelle della figura di Tarconte, fondatore di Tarquinia, e delle altre città dell’Etruria propria e della Padana. Infatti, durante l’età del Bronzo finale e del Ferro, Tarquinia e il suo territorio hanno restituito le più antiche testimonianze archeologiche. Ceramiche di tipo Tarquiniese si ritrovano anche in altre regioni dell’Etruria e della valle Padana, ma sono posteriori. *** Si diceva che mentre Tarconte, secondo altri Tarquinio, arava la terra attorno a Tarquinia, da un solco tracciato in maggiore profondità emerse un bambino che aveva la sapienza di un vecchio. Questi fu chiamato Tagete perché figlio della terra e del Genio di Giove, uno degli dèi Penati etruschi. “Poiché l'aratore”, raccontava Cicerone nel De Divinazione, “stupito da questa apparizione, mandò alte grida di meraviglia, ci fu un accorrere di gente in massa; e, in breve tempo, tutta l'Etruria convenne in quel luogo” (II, 5). Tagete, allora, prendendo Tarquinia come centro, divise il cielo in sedici parti, assegnò ad ognuna di esse una divinità, e dettò a Tarconte (o a Tarquinio) e agli altri lucumoni delle città etrusche lì convenuti l’arte di interpretare i fulmini a seconda della parte di cielo dalla quale fossero venuti. Prese poi un fegato di pecora, e, come aveva fatto con il cielo, stabilì il centro, divise il bordo in sedici parti, e dettò le norme per leggervi il volere degli dèi. Tarconte, infine, ne compose un poema in forma di dialogo poetico in lingua etrusca. Nel linguaggio mitico, il raggio d'azione del grido dell'aratore ( Tarquinio o Tarconte) che da Tarquinia si stende per tutta l'Etruria, esprime il prestigio che la città aveva sulla nazione. Il concorso, poi, di tutti gli Etruschi sul luogo donde era partito il richiamo esprime la capacità aggregante e l'autorità che Tarquinia aveva sulla Confederazione. L’essere infine il luogo della rivelazione di Tagete, e del dettato di norme religiose a tutti i capi degli Stati etruschi, nonché il trovarsi al centro dell’universo celeste, fanno di Tarquinia il centro religioso e politico della nazione. Nella città, si formerà una scuola di aruspicina che poi i Romani istituzionalizzeranno nel Collegio dei Sessanta Aruspici al quale ognuna delle dodici città federate doveva inviare cinque allievi (Cicerone, Divinazione, I, 90). Sui graffiti di uno specchio etrusco, trovato a Tuscania, presso Tarquinia, si vede il dio Veltune (lat. Veltumna, Vertumnus) che assiste alla scena in cui Tagete insegna a Tarconte e agli altri le norme dell’aruspicina. E’ già significativo il fatto che questa è l’unica rappresentazione del dio che si sia mai trovata. Veltune era la divinità venerata sul luogo delle riunioni federali. Evidentemente, aveva pertinenza col luogo della rivelazione di Tagete, e quindi con Tarquinia. Egli era il “dio principe dell’Etruria”, e presso il suo tempio (il fanum Voltumnae) si radunavano in congresso i capi degli Stati federali. Il luogo della rivelazione di Tagete, e con ciò Tarquinia, doveva esser dunque il centro della federazione Etrusca. Nel IV secolo a.C., a Tarquinia, il grande tempio della città, detto significativamente Ara della Regina, raggiunge la sua massima espansione fino a diventare il maggiore d’Etruria. Si ritiene che il nome di Veltune (lat, Voltumna, Vertumnus) appartenga ad una particolare connotazione del supremo dio etrusco Tinia (il Giove romano); e non a caso è stato recentemente trovato un cippo appartenente all’interno del grande tempio tarquiniese, dal quale si apprende che in epoca romana esso era dedicato proprio a Giove “etr. Tinia” (M. Torelli, in Archeologia in Etruria Meridionale, p. 262). Peraltro, le più antiche iscrizioni votive a Tinia provengono da Tarquinia (Cristofani, Diz. Civiltà etr., s.v. Tinia). Sulla destra, poi, della fronte del tempio di Giove/Tinia c’è una sontuosa vasca romana con la scritta “pro ludis (per il ludi)”. Come Torelli ha evidenziato, è il contenitore dell’olio usato nei ludi che si svolgevano nella vasta area antistante il tempio (Torelli, loc. cit.). Pubbliche gare atletiche sono numerosamente documentate nelle pitture tombali di Tarquinia. Ricordiamo quelle delle Olimpiadi e delle Bighe. In quest’ultima sono addirittura raffigurate le strutture lignee dello “stadio” che racchiudeva i giochi, ed il pubblico che vi assisteva vivacemente. Dinanzi al tempio s’è trovato anche un cippo di marmo (II-III sec. d.C.) che in origine recava una scritta di cinque righe. Di queste, le prime quattro sono scalpellate (per damnatio memoriae?), ma la quinta reca ancora Tarquinienses Foeder[ati] (M. Torelli, Elogia Tarquiniensia, p. 162). E’ possibile che il testo integrale contenesse l’elenco dei popoli etruschi federati, o federati a Roma, compresi i Tarquiniesi. Il tempio dinanzi al quale era il cippo dovrebbe esser comunque quello della Federazione Etrusca. Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, sono rappresentati i dodici popoli della Federazione; e Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) che ha in mano i Libri Tagetici, occupa il primo posto della rassegna. *** Strabone scrisse: “Dopo la fondazione di Roma, venne Demarato portando popolo da Corinto. I Tarquiniesi lo accolsero amichevolmente, e da una donna del paese gli nacque Lucumone. Questi, fattosi amico di Anco Marcio re dei Romani, gli successe nel regno, e cambiò il suo nome in quello di Lucio Tarquinio Prisco (V, 2,2) […]. Demarato aveva portato con sé dalla sua patria una ricchezza tanto grande in Etruria, che egli stesso non solo regnò sulla città che lo aveva accolto (Tarquinia), ma il suo figlio fu fatto re anche dei Romani (VIII, 6,20) […]. Da Tarquinio, e prima dal padre, fu molto abbellita l'Etruria. Il padre, grazie alla quantità di artisti che lo avevano seguito da Corinto; il figlio con le risorse di Roma. Si dice pure che da Tarquinia furono trasportati a Roma gli ornamenti dei trionfi, dei consoli e, in generale, di tutte le magistrature, così pure i fasci, le scuri, le trombe, i sacrifici, la divinazione e la musica di cui fanno uso pubblico i Romani (V, 2,2)”. I particolari del trasporto da Tarquinia a Roma delle insegne federali furono raccontati da Dionigi d’Alicarnasso. Egli scrisse che i capi delle singole città etrusche, dopo una guerra perduta contro Tarquinio Prisco re di Roma, si riunirono più volte in concilio, e lo riconobbero anche come capo della loro Federazione. Essi poi inviarono ambasciatori che trasferirono in Roma, e consegnarono a Tarquinio “le insegne della supremazia, con le quali essi adornano i propri re: una corona d'oro, un trono d'avorio, uno scettro con l'aquila alla sommità, una tunica di porpora con fregi in oro, e un mantello di porpora ricamato, proprio come lo indossavano i re della Lidia e della Persia [...]. Gli recarono anche, come dicono, dodici scuri, portandone una da ogni città. Era, infatti, usanza degli Etruschi che il re d’ogni città camminasse preceduto da un littore recante un fascio di verghe e una scure. Quando poi si effettuava una spedizione comune delle dodici città, le dodici scuri venivano consegnate a colui che in quel momento aveva il potere supremo [...]. Per tutto il tempo della sua esistenza, Tarquinio portò dunque una corona d'oro, indossò una veste di porpora ricamata, tenne uno scettro d’avorio, sedé su un trono eburneo; e dodici littori, recanti le scuri con le verghe, gli stavano intorno se amministrava la giustizia” (III, 73). Tarquinia era dunque il centro della Federazione Etrusca. A Tarquinia, littori con fasci si vedono su fregi di sarcofagi e di pitture parietali di tombe; in una fossa votiva degli inizi del VII sec. a.C., poi, sono state trovate le insegne etrusche del potere: una tromba-lituo, uno scudo ed una scure ripiegati insieme. *** La tradizione romana che un Tarquinio fosse stato insieme capo della federazione etrusca e re di Roma trova riscontro in Etruria nelle pitture della tomba François di Vulci. Qui si vedono alcuni personaggi vulcenti che sorprendono nel sonno e uccidono i capi disarmati d’una coalizione di città etrusche: le vittime sono un anonimo soanese, un anonimo volsiniano, un anonimo blerano e un Tarquinio Romano (Tarchunie Rumach). In linea con la tradizione sopra esposta, dobbiamo considerare il Tarquinio Romano a capo di una coalizione di città subordinate fra cui Volsini. Il fatto che le vittime vengano sorprese nel sonno in un’unica località fa pensare che l’eccidio avvenga durante un concilio federale tenuto a Roma a o Tarquinia. Forse vi partecipavano gli stessi assalitori vulcenti. *** Tarquinio, come abbiamo visto nelle tradizioni sopra riferite (Strabone, Dionigi), è un re di Tarquinia che diviene anche re di Roma, e come tale utilizza le risorse di Roma per abbellire Tarquinia; e mentre è re di Roma egli diventa pure capo della Federazione Etrusca: questa investitura gli viene proprio da Tarquinia. Il tutto trova un perfetto parallelo nella tradizione virgiliana secondo la quale, in epoca mitica, Tarconte, re di Tarquinia e della Federazione Etrusca, da Corito (Tarquinia), inviò ad Evandro, re del Palatino di Roma, le insegne del potere per cedergli spontaneamente la “corona del regno etrusco”. Il troiano Enea, poi, delegato da Evandro, si recherà a Corito “Tarquinia” (Eneide IX 1), nel campo federale che Tarconte aveva posto lungo il fiume Mignone (Eneide VIII 597ss ; Servio, all’Eneide, VIII 597ss). Questo sfociava e sfocia a nord di Centumcellae, cioè fra la odierna Civitavecchia e Tarquinia (Servio X, 183). Lì, Tarconte gli cederà il comando supremo della Federazione Etrusca (Eneide X 147). Questo avviene proprio il 13 agosto, giorno in cui a Roma si celebrava la festa di Vertumnus, dio della federazione etrusca.Verosimilmente, durante la monarchia dei Tarquini, insieme alle insegne federali del potere era stato introdotto a Roma anche il culto del dio federale Vertumnus. *** A Tarquinia, peraltro, ci sono attestazioni epigrafiche, sia pure d’epoca repubblicana, della presenza del capo della Lega: lo Zilath mechl Rasnal o lo Zilch Cechaneri “(Per lo Zilath: CIE Tarquinia 5360; 5472; 5811; ThLE, s.v. Zilath; per lo Zilch: CIE Tarquinia, 5385; 5423”. Pallottino ha affermato che la grande preminenza che ha Tarquinia nelle leggende primitive d'Etruria fa pensare ad un periodo di egemonia tarquiniese, e che più tardi questa antica unità potrebbe aver assunto il carattere di confederazione religiosa con adunanze al Fanum Voltumnae (Etruscol. ,1956, p.174). Questo Fanum però non era a Volsini, bensì a Tarquinia. Livio (IV 23; 25; 61; V 17; VI 2) spiegò che le riunioni dove gli Etruschi, durante la prima metà del IV secolo, eleggevano il capo supremo avvenivano al Fanum Voltumnae, cioè nel tempio di Voltumna. Egli però non disse presso quale città si trovasse il tempio; pose comunque Tarquinia a capo di un esercito federale condotto contro Roma alla metà dello stesso secolo. In ogni caso, è da escludere ch’egli intendesse che il Fanum fosse a Volsini. Egli, infatti, in altra occasione, parlerà di Volsini, Perugia e Arezzo, e le presenterà tutt’ insieme come tre distinte capitali d’Etruria, ognuna del proprio singolo stato (X 37). Lo specchio etrusco sopramenzionato, dove si vede il dio federale Veltune (lat. Voltumna o Vertumnus) presente a Tarquinia, è proprio del IV secolo. Nello stesso secolo, nelle tomba François, come abbiamo visto, è un Tarquinio Romano e non un Volsiniese il capo della coalizione alla quale la stessa Volsini apparteneva. *** Quando Roma sottomise Tarquinia, il ruolo di centro, limitato all’Etruria settentrionale ancora indipendente, dovette essere svolto da Volsini. E dopo che nel 264 a.C. il console M. Fulvio Flacco ebbe sottomesso anche Volsini, altre città, come Chiusi e Arezzo, dovettero via via assumere il ruolo di centro federale per l’Etruria settentrionale; ma, completata l’occupazione romana, Tarquinia dovette riestendere il ruolo di centro sull’intera nazione. E’ qui infatti che troviamo ancora le sepolture di personaggi che in vita hanno rivestito la carica di presidente della Federazione; ed è qui che i Romani, istituzionalizzarono l’antica scuola di aruspicina nel Collegio dei Sessanta Aruspici dove ognuno dei principi delle dodici città federate doveva inviare i propri figli a studiare. Nei rilievi del cosiddetto Trono di Claudio, eretto dagli Etruschi di Cere, sono rappresentati i dodici popoli della Federazione; e Tarquinia, personificata da Tarconte (o da Tagete) che ha in mano i Libri Tagetici, occupa il primo posto della rassegna. La Tabula Peutingeriana (IV sec. d.C.) pose Tarquinia al centro delle grandi vie di comunicazione; inoltre, mentre ogni altra città, Volsini compresa, vi fu raffigurata con due torrette, solo Milano (capitale dell’Impero Romano d’Occidente) e Tarquinia (capitale d’Etruria) lo sono da due torrette poste su un piedistallo. La città, peraltro, era la sede del consularis Tusciae. Qui troviamo la sepoltura del praetor Etruriae P. Tullio Varrone (CIL, 3364). Dagli Acta Santorum (9 agosto), poi, sappiamo che, attorno al 250 d.C., Secondiano fu inviato da Roma a Colonia (Gravisca), il porto di Tarquinia, dove fu processato e giustiziato da Marco Promoto, consularis Tusciae, la cui residenza era evidentemente Tarquinia. Il martire su sepolto in Colonia. A Tarquinia dove il santo divenne patrono se ne conserva ancora un braccio. Un governatore della Tuscia e dell’Umbria, poi, sotto Diocleziano, veniva chiamato Tarquinius, nome che potrebbe essere significativo della città dov’egli svolgeva la sua funzione (L. Cantarelli, La diocesi italiciana, p. 116). *** Volsini, tuttavia, aveva mantenuto un suo ruolo. Esiste un rescritto col quale l’imperatore Costantino, nel 337 d.C., concesse agli umbri di Spello l’esonero di recarsi a Volsini per celebrare le feste religiose. Manca ogni accenno a divinità antiche o federali. Le funzioni religiose di Volsini dovevano comunque essere il residuo del ruolo centrale che la città, dopo la caduta di Tarquinia, aveva assunto verso le ancor libere città della media valle del Tevere. L’estensione all’Umbria è poi dovuta alla riforma di Augusto che unì questa regione all’Etruria.Grazie professor Palmucci