Lady Juliette

Giochi dell'infanzia: Questi genitori sono mio padre e mia madre


 Questi genitori sono mio padre e mia madre C'era una volta un bambino, nato da famiglia povera e numerosa, che s'inventava i giochi più strani e semplici. Era fantasioso, inventivo, costruiva pupazzi  e altri giocattolini con materiale ricavato di qua e di là, oppure carretti con legni vecchi e si faceva trainare dai suoi amici. E sempre coi suoi amici, legando e appallottolando vecchie stoffe, giocava a pallone fino a che questo non si sfaldava. A quei tempi, negli anni cinquanta, quindi nell'immediato dopoguerra, comprare un pallone da calcio era una spesa inconcepibile per le famiglie disagiate e numerose, che già potevano permettersi il lusso di mangiare la carne solo la domenica. Questo bambino, da adulto e genitore, racconterà alle sue figlie della sua infanzia, e dei suoi giochi, ma anche delle sue notti in bianco perchè suo padre, insieme all'altro figlio maschio, lo svegliava di notte per aiutarlo a mare, nella passione della pesca che il suo papà coltivava come una necessità per sfamare la famiglia e che trasmise anche a loro due. E racconterà anche degli anni tristi dell'asilo: a quei tempi, gli asili venivano aperti a tutti, anche ai figli delle famiglie povere, ma poiché queste non potevano pagare la retta comunale, i figli di queste ultime erano esclusi dai giocattoli e da altri giochini messi a disposizione delle strutture. Così questo bambino, altri suoi compagni, era costretto ad assistere in disparte, in ginocchio sul brecciolino del cortile dell'asilo, ai giochi degli altri bambini delle famiglie più abbienti senza potere far nulla. Ma questo bambino, crescendo, diventerà un bravo calciatore, togliendosi delle belle soddisfazioni e viaggiando molto soprattutto per il sud-Italia, pagato dalle società e ricevendo premi partita in denaro per obiettivi raggiunti come per esempio, i campionati vinti col salto di categoria. Dirà alle sue figlie della soddisfazione, da giovane, con questi soldi guadagnati, di contribuire al bilancio familiare, nonché di aver contribuito a sostenere le spese per il matrimonio di tre sue sorelle. E nella stessa città, c'era una bambina che non ha avuto un'infanzia felice, perché i suoi  si sono separati quando lei ancora frequqnetava le elementari. Terza di quattro sorelle, frequentò le scuole medie, in collegio, lontano. La sua vita scivolava via tra studio e orari ferrei da rispettare. Il suo ritorno a casa fu accorciato per via del terremoto del Belice, perchè questa bambina fu spedita a Palermo. Nel frattempo, però, lei e questo ragazzo bravo nel gioco del calcio, incrociarono le loro vite, e cominciarono a frequentarsi, fino ad innamorarsi l'uno dell'altra. L'adolescenza della ragazza non fu meno sacrificata e infelice della sua infanzia. Lei, come tutte le sue sorelle, viveva col padre per decisione del giudice, in quanto lui, essendo un professore di Lettere, poteva, col suo stipendio fisso, sfamarle. Fu così che questo ragazzo e questa ragazza continuarono a crescere, fin quando lui, giovane ventunenne, vinse il concorso ed entrò a lavorare in ferrovia, continuando a giocare a pallone per racimolare soldi per aiutare la sua famiglia. Lei attraversò un'adolescenza fatta di lavori domestici e studio, e l'unica sua via di fuga furono gli incontri con questo giovane: le uscite, le passaggiate, il gelato, e il ballo alla rotonda d'estate, un film al cinema, tutto era considerato un gioco, uno svago, un'idea di divertimento tra i baci, le carezze, e gli abbracci del loro amore che cresceva giorno per giorno, finché decisero di sposarsi. Lui continuò la passione del gioco del calcio fino alla soglia dei cinquant'anni e insieme trasmisero il sentimento ludico alle loro figlie. Ma più che una passione, era una forma di cultura, la "cultura del gioco". Lei, laureata in Pedagogia con una tesi sulla Montessori, sapeva meglio di chiunque altro quanto fosse importante il gioco nella vita di un bambino. E così la primogenita crebbe tra giochi diversi, oltre che tra favole narrate dalla madre. E così fu anche per sua sorellina. Il padre non mancava di portarle alla villa comunale o in un'altra villetta adibita a parco giochi per farle giocare all'aria aperta, così come d'estate abituarle ai giochi da spiaggia, tra un tuffo e l'altro.  D'inverno, attorno al tavolo, accadeva che il padre o la madre, nel tempo libero, giocassero a carte con queste loro figlie, insegnando, in base all'età, col passare del tempo, ogni tipo di gioco: dall'asso piglia tutto alla briscola, fino alla scopa e al tresette. Inoltre, facevano imparare nuovi giochi, come la dama e lo shangai. Non che loro si intromettessero sempre nei giochi delle figlie, le quali erano libere di giocare tra loro in casa o in strada con i loro amici, ma a volte giocavano con esse perchè la dimensione ludica non ha mai abbandonato questi due "bambini", nonostante le infanzie povere e difficili, seppur per differenti motivi. E alle loro figlie è rimasta ancora adesso dentro questa cultura del gioco come fondamentale ristoro per ossigenare la vita che vuole ed esige le sue boccate di aria pura. Quando la vita stessa va presa come un gioco, con le sue regole da rispettare, e i suoi antagonisti o avversari da superare, allora ogni bambino potrà sentirsi un "grande", ed ogni adulto potrà sempre riscoprire quel bambino che "lavora" giocando, con perizia, ingegno, fantasia e spirito di abnegazione, spendendo fino all'ultima stilla di energia. Quei due bambini hanno sorriso attraverso la loro anima giocosa che ha stretto i denti anche davanti ai sacrifici più duri, e questo lo hanno trasmesso alle loro figlie. Nulla potrà impedire ad esse di conservare e alimentare, trasmettere e condividere, l'anima ludica che dentro ogni persona si nasconde e vuole essere scovata. Quelle due figlie oggi sono grandi, e quei genitori sono rimasti, nella loro severità di educatori, come dei bambini affascinati dal gioco per il solo gusto di giocare, di divertirsi, di stare insieme, di ridere di eventuali gaffes proprie e altrui, di ironizzare ed autoironizzare sulle sconfitte come sulle vittorie; perchè bravi lo siamo tutti, non esiste primo o ultimo quando si ama giocare. Il gioco induce alla sana competizione, al buttarsi nella mischia, come qui dentro lo stiamo facendo nel gioco-gara, al confronto che induce al miglioramento, alla crescita, all'aggregazione. E queste due figlie ringraziano i loro genitori. Questi genitori sono mio padre e mia madre.