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Il blocco


Rieccomi. Ho sofferto di un blocco creativo. No, non è vero. Più semplicemente, era estate. Lo scrivere è una operazione introspettiva, bisogna essere soli, in casa o fuori ma soli con sé stessi, unico interlocutore una tastiera, un foglio di carta o eventualmente un registratore (“In the Name of the Father” docet), se si è più bravi a parlare. Una condizione del genere è un “rifugio”, caldo e sicuro, nelle stagioni dalle lunghe ombre. Vicino ad un calorifero, sigaretta in bocca mentre le mani picchettano veloci sui tast cercando di riprodurre in parole ciò che biologicamente risultano essere dei picchi energetici riscontrabili nell’attività cerebrale. E mi aggrada parecchio. D’estate, rimanermene in casa, sudante, davanti ad uno schermo, birra ghiacciata in mano.. beh, ha un suo perché, ma non mi viene da scrivere. Trovo difficoltoso respirare, con tutta quell’afa, figuriamoci scrivere. Gli stessi pensieri si muovono come il respiro. Corti, sofferenti, si muovono come immersi in un liquido. Arrivano alle dita deboli, hanno perso la loro potenza, la loro esplosività dirompente. Non mi urge, lo scrivere.Col sole, sono pieno di energia. Mi piace stare all’aria aperta, far sbizzarrire lo sguardo negli spazi ampi. Mi piace andare al parco, passeggiarci a piedi nudi, sdraiarmi sull’erba trovandola fresca e refrigerante al contatto con la pelle, da quella posizione osservare le stelle e “unire i puntini” cercando costellazioni che non trovo. O che non esistono.