Post n°7 pubblicato il 24 Marzo 2010 da gandalf350
Cosa ci sta succedendo? Mentre passeggiavo ho visto un vecchio trascinato sull’asfalto. L’hanno derubato, nessuno lo aiuta, i passanti sono ciechi, proprio non lo vedono. Mi ha ricordato un altro vecchio. Quello era steso sul pavimento del reparto macelleria di un supermercato tra le scatole di detersivi. Gli avevano messo un sacchetto di croccantini per cani sotto la testa. E’ rimasto così fermo sotto gli occhiali tra i passi della gente, con le mani sul petto. Mi sono fatta largo tra la gente e sono uscita. Ho visto una giovane coppia in mezzo alla folla, si baciava. Ho sentito un signore di mezza età che cercava di bloccarli in quell’atto e minacciava di chiamare la polizia e denunciarli per atti osceni. Ma cosa ci sta succedendo? Oggi me ne sto a vivere seduta su una sedia, e non c’è abbastanza tempo per scrivere, per amoreggiare con la penna e mangiarsela tra i pensieri. C’è solo un paese di montagna dove la luce invade ogni cosa, riuscendo a zoommare lo sguardo anche sui particolari silenziosi che in città solitamente vagabondano distanti. L’aria è un calderone di profumi alchemicamente dosati, che mi convincono a curiosare tra le case. Io qui seduta, trattengo il sapore del caffè tra lingua e gola. Mi do carezze con una mano, pettinando i capelli. Intorno odori di galline, paglia, fertilizzanti naturali, il fumo di un camino, i fiori tra le strade. I bambini abbracciano i loro palloni come tesori da proteggere, le ragazze sostano fuori dei loro negozi con le mani in tasca e gli occhi dal trucco disfatto. Ce n’è una appoggiata ad una staccionata, ha una musica tutta sua nelle orecchie e mentre si muove allegramente canta, lo fa con il piacere di farlo, urlando stonata parole in un inglese rattoppato, ma con un sorriso che incontra i miei occhi e li nutre di una spensieratezza che sembrava perduta. Altra gente si gira e la guarda. La deridono con i sorrisi eppure l’ammirano nel cuore. Tutti camminano frettolosi, eppure sento che vorrebbero sedersi accanto a lei solo per guardarla ancora, per ricordarsi di come può essere facile fare qualcosa che è naturalmente facile da fare. Qualcosa che è altrettanto facile da dimenticare però, a causa di regole già “regine”. In quel momento coincidono due immagini per fissare il tempo che scorre: una lucertola si mette a guardarmi con la zampa immobilizzata verso l’alto come se aspettasse la mia reazione per diventare invisibile e scappare, e una bambina per strada che lascia cadere una macchina fotografica giocattolo e con le mani che reggono la testa atteggia un espressione di dolore incontenibile. Ma c’è un sole che si lascia andare su un campo di erba perché lo preferisce alla strada e alle sue storie, e c’è un vecchio in mezzo al campo che dipinge solitario e sorridente con un cappello di paglia. La sua immagine mi fa pensare a chi prova la tristezza della noia, a quelli che non sanno mai come impiegare il proprio tempo e si consumano tra loro e le sigarette. In lontananza un ragazzo steso su una panchina lascia ciondolare la mano, gli occhi sono chiusi però sembrano in perenne movimento, come se continuassero a vedere oltre, si! Oltre la stessa vita della strada con le sue storie. E cosa sta accadendo ora? Quel ragazzo non dorme, immagina. Accanto gli passa gente diversa, gente che ne ha quasi paura e se ne tiene lontana con piccole risate e un chiacchierio sommesso nelle orecchie. Sono attirati anche loro dal campo e vorrebbero stendersi ma non lo fanno. Sono incuriositi dal ragazzo e anche da quel vecchio e dal suo dipinto, fissano tutto divertiti parlando ad alta voce. Solo quella lucertola ricompare all’improvviso su un sasso, chiude gli occhi e si gode il sole. Come sarebbe bella la mia vita se almeno per una volta riuscissi a ricordarmi di noi capaci ancora di smettere di imparare quelle strane regole e vivere solo di un bacio luminoso e di un canto libero. Non esiste la noia durante una corsa che si libera del tempo ed apre le braccia ad un presente nuovo di zecca. Com’è bella questa terra, però mi chiedo cosa ci stia succedendo. Forse niente di nuovo, mi stendo al sole anche se sto fumando un’altra sigaretta. |
Post n°4 pubblicato il 05 Marzo 2010 da gandalf350
τοῦ λόγου δ'ἐόντος ξυνοῦ ζώουσιν οἱ πολλοὶ ὡς ἰδίαν ἔχοντες φρόνησιν (Eraclito)
La cecità! Sarebbe un sollievo per me ora? Appena sveglio ho accostato di nuovo l'orecchio alla finestra, per sentire le voci del mare. La stanza dove abito è tutto un pullulare buio di ombre, che sfilaccia la solidità delle pareti. È una strana giornata di ardori spenti. Se ripenso all'inizio, a come tutto è proseguito dopo, penso che sarebbe inutile accecare di bianco le mie pupille. Intorno a me un sentore di vita salmastra gocciola sui muri. La prima notte dopo la partenza di Carmen fu una notte di preveggenza. Ma io ignorai i segnali di quella sera d'agosto, scavai ostinatamente tra il ciarpame accumulato nei quindici anni della nostra convivenza: cercavo solo una traccia che mi guidasse fino al centro delle sue ragioni. Sbarrate le imposte di legno per tenere fuori i rumori della strada, nel silenzio mi sembrava di soffrire meno. Forse per un istante riuscii anche ad assopirmi. Il cuore mi rimbombava dentro sempre più veloce, inseguendo le orbite di pensieri maligni. Ce n'era uno con la punta velenosa. Nel dormiveglia lo vedevo chiaramente davanti agli occhi, talmente acuminato che avrebbe attraversato la pelle bianchissima e delicata di Carmen, spaccandola. La parete di fronte sbiancava. Se solo fosse possibile - ripetevo con l'ingenua insensatezza di chi non crede al pericolo, eppure lo tiene in mano. Mi afflosciai fino all'incoscienza. Sul muro si disegnò la figura di Carmen. Le mie pupille dilatate vedevano le immagini di noi due, insieme in quella stanza. Lei era lontana e sorridente, rideva di un riso nuovo che non le avevo mai conosciuto quando stava con me. E accadde. Il muro si sfibrò perdendo consistenza, come se il collante che teneva insieme tutti gli elementi della parete si smagliasse senza cedere. Sulla parete c'era una parola, simboli che non riuscivo a leggere. Le lettere urlavano direttamente nel mio cervello. Occhiali: una parola sola, incoerente perfino per un'allucinazione. Allora affondai le gambe nella melma di una corsa attraverso le stanze e la parola mi teneva dietro. Quasi sfondai la porta della camera di mia sorella: era calda e sicura. Occhiali - Occhiali - ripeteva la voce. Mia sorella era di spalle, con la Cavalcata delle Valchirie che ingurgitava l'aria a tutto volume. Quando la afferrai si girò e mi sorrise, calmando l'ansia irragionevole che mi segregava tra le pareti e la voce. Occhiali! - I suoi occhi erano liquidi e incolore, densi di una melma incosciente senza pupille. Anche lei sorrideva. Stavo per vomitare, superai la porta per rientrare nella mia stanza. La macchia era già là, solo un po' più in basso di dov'era prima, ora anneriva il comodino. Appoggiati sul bordo di marmo c'erano degli occhiali rotondi, azzurrati, con una solida montatura di osso marrone. Me li sistemai sul naso e la mia angoscia si calmò, come l'esaudimento di una preghiera. La macchia svanì in un chiaroscuro indistinto. Notai subito che dai cristalli emanava una pallida luminescenza calda e colorata. Mi piacque quella sensazione di calore che partiva dai vetri per diffondersi prima sul viso e poi dentro, dentro la mia testa. Un punto scuro al centro delle lenti mi consentiva di fissare con chiarezza il pensiero sulle immagini. Lentamente cominciai a capire la strana virtù degli occhiali, che riversava i colori solo all'interno. Fuori, invece, il vetro proiettava solo un bianco-nero senza sfumature, però si poteva concentrare lo sguardo. Mi sentii al centro della stanza, del mondo e di me stesso, quando fissai lo sguardo in quel punto scuro. Carmen ormai era solo una silhouette insignificante, piatta come tutto il resto che mi circondava. Stentavo addirittura a credere di aver diviso il mio letto con quella cosina scialba. Bastava concentrare un solo pensiero per annerire la sua immagine, annullarla definitivamente per sempre. Il potere delle lenti verso l'esterno era davvero tremendo. Tanto potente fuori, quanto sicuro e tranquillizzante all'interno. Davanti a quegli occhiali perfino dio era solo un giocattolo dipinto sui muri senza prospettiva. Blu intenso, indaco, verde bottiglia. Io, solo Io immerso in un mare di gradazioni diverse. Tu - urlai - sei solo una sfumatura priva di spessore. Posso cancellarti con uno sguardo -. Ma anche in un mondo monotono arriva la notte, progredendo flebilmente dal nero a un nero più scuro. Il muro di fronte si annerì, tutto si macchiò di nero, dissolvendosi sotto il mio sguardo concentrato. La stanza si era amalgamata col buio fino a sparire, sentivo solo gli odori e i rumori del mare. Fu allora che cominciai quasi a dubitare delle mie infinite tonalità. Dove avrei potuto specchiarmi? Dove far esplodere i miei colori? Una distesa monocroma ingoiava le sfumature e i riflessi. Sì, i riflessi! Era quella la soluzione, pensai. C'era uno specchio nella mia stanza e prima che la luce si affievolisse dovevo specchiarmi. E accadde. Il lampo dei miei colori divampò nel buio. Erano così intensi da accecarmi, provocandomi uno svenimento. Caddi riverso sul letto. Furono i rumori della strada a riportarmi bruscamente indietro alla coscienza. Ebbi paura che gli occhiali si fossero spaccati nella caduta, ma erano intatti, ancora integri in quella sfavillante luce argentata di notte alta. Vidi il blu della notte striato dal chiarore lattiginoso di luna. Carmen però non c'era, se n'era andata davvero. Provai l'impulso fortissimo di urlarle contro il mio risentimento. In questa vertigine io ero qui da solo, e lei in giro con la sua massa di capelli biondi e profumati, la sua carne sfiorata da tanti sguardi diversi. Di nuovo quel senso di vomito. La gelosia mi raggelava, specchiandomi ora in bianco e nero dentro un mondo di colori. Da allora è così: sono una figura monocroma, circondata da infiniti toni di vita colorata. Ed ora anche se mi accecassi, il bianco negli occhi non cancellerebbe le immagini che ho visto. Occhiali - Occhiali - ecco che sento di nuovo quella voce. Dentro di me le ombre stanno crescendo, c'è solo il rumore del mare a farmi compagnia. Gli occhiali sono solo una speranza di vedere.
Senza colori, senza occhiali, senza speranza...
B u i o.
http://www.myspace.com/dariodegiacomo
|
Inviato da: virgola_df
il 01/01/2011 alle 21:23
Inviato da: virgola_df
il 21/11/2010 alle 20:33
Inviato da: virgola_df
il 12/09/2010 alle 16:22
Inviato da: virgola_df
il 27/04/2010 alle 21:25
Inviato da: virgola_df
il 03/04/2010 alle 13:19