Creato da lauro_58 il 10/11/2006

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A volte ho vinto, molto più spesso ho perso. Cammino tra le strade della speranza senza ripari. E se inizia a piovere, mi fermo e guardo attorno. Poi alzo il bavero del cappotto, accendo una bionda e ricomincio a camminare.

 

 

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Joshua e Mrs Effe (seconda parte)

Post n°322 pubblicato il 24 Maggio 2013 da lauro_58

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Poi si fece largo in me una consapevolezza strana. Sembrava che muffa, polvere e acqua stagnante fossero odori familiari, che rendevano il luogo così arredato un posto in cui poter stare bene. Trovavo confortevoli tutti gli ambienti che gli altri preferivano evitare. Era una sensazione nuova, che vivevo come una disperazione. Ma il disagio è come il dolore, dopo un po’ smette di fare male e diventa altro. C’è chi si ammala, che diventa pazzo, io ho solo seguito il mio istinto. Infondo non sarebbe stato peggio che truccarsi come una femmina, amare una puttana, quasi ucciderla e subito dopo farci l’amore. Non sarebbe stato nemmeno peggio dell'essere perennemente agitato, patologicamente ansioso, mai in pace con me stesso. Come se non trovassi ne il modo ne il posto giusto in cui stare su questa terra. Come se fossi in transito per un viaggio di cui non conoscevo la partenza, ne la destinazione. Così accettai di buon grado quella consapevolezza. Una predilezione per i posti angusti e umidi. La prima volta che assecondai il richiamo dell’istinto fu una notte in fabbrica. Ero solo nel reparto quando infilai la testa in un tombino di scolo per vedere cosa non andasse nello scarico delle acque piovane. Da li vidi una tubazione e mi ci infilai, attratto da una voglia di umido insopprimibile. Poi entrai in un cunicolo, scivolando quindi in altro più stretto. Non mi fermai guadagnando posti sempre più scuri. La sorpresa non fu quando mi resi conto che le dimensioni dei pertugi non erano un problema e il buio non si mutava in tenebre, ma quando abbandonai quello che ora chiamo travestimento, lasciando che la pelle smunta lasciasse il posto a squame nere e verdi e che le cellule si modificassero, cambiando la struttura del corpo. Sentii la conformazione ossea trasformarsi e le viscere correggere il loro percorso. Ero pervaso da un diffuso senso di sollievo, come se non avere più a che fare con quelle maledette ghiandole sudorifere, per esempio, fosse una liberazione. Nemmeno gli effluvi che si alzavano dai cumuli di sporcizia erano così insopportabili e disgustosi come gli umori acri che secernevano gli umani. Ho sempre pensato di puzzare peggio delle bestie, nonostante coprissi le mie emanazioni con ogni tipo di profumo. Mi sentivo tanto repellente quanto lo è il mondo, così pieno di fumi di scappamento, ciminiere, spazzatura. Avevo un corpo impossibile da vivere, così come i vicoli stretti e palazzi talmente ammassati da rendere difficile persino al vento di passare e portare un po’ d’aria pulita.

Trovai quegli attimi magici, intrisi di conforto e finalmente sensati rispetto a quello che ero diventato. Fui richiamato alla realtà dalla sirena di fine turno. Potevo scegliere, o dileguarmi in fretta o tornare indietro. In un caso avevo tutto il tempo che volevo, nell’altro qualche minuto prima che si accorgessero della mia scomparsa. Ebbi paura e tornai indietro. Paura di lasciare il conosciuto per l’ignoto, di lasciare Fergie e tutto il resto. Paura che fosse tutto solo un sogno e che di li a poco mi sarei svegliato non avendo, nel mio destino, altro modo per vivere che quello di Joshua. C’era solo da capire in che modo avrei ripreso le mie sembianze innaturali visto che essere un camaleonte mi sembrava un buon modo per vivere su questa terra.

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