ASCOLTA TUA MADRE

SONO ANCORA ALL'INIZIO: MA SONO STATO FATTO AD IMMAGINE DI DIO


Una giovane coppia mi attende. Non sono parrocchiani. Lei ha le trecce. Sembra più giovane ancora dei suoi 23 anni.Sono loro, soli. Li raggiungo alla camera mortuaria dove mi chiedono di portare la benedizione di Dio, un soprannaturale conforto, dinanzi al dolore per la perdita del loro figlio di due mesi.Non sono ancora sposati.Un dolore incredibile. Due mesi. Neppure il tempo, quasi, di gioire per il dono della vita. Eppure, la mamma, la giovane con le trecce, ha vissuto più gioiosamente in quei due mesi di quanto non sia il dolore nell’ora della morte.Sono loro soli in quella stanza, loro e la piccola urna contenente quell’umana presenza, quel fattore di gioia immensa, generatore di festa e di speranza. La vita è un miracolo. E’ un imprevisto. Non era. Improvvisamente, è. “Creatio ex nihilo”, una creazione dal niente. Ora, non è più, ma è il fatto stesso di esserci stato che genera dolore. E questo – a pensarci – desta meraviglia. Il suo esserci stato, il fatto che pur per poco, la sua presenza era evidente (non un’idea, non un personale convincimento, non una convenzione) a commuovere gli occhi di una ragazza e del suo compagno, timidamente e teneramente al suo fianco.Entrato, mi inginocchio. Mi accorgo che anche loro si inginocchiano come se avessi loro detto di fare altrettanto, quando invece ancora nessuna parola è stata pronunciata. Non li conosco. Solo li ho sentiti per telefono un paio di volte.Un pensiero mi interpella: “Perché ti sei inginocchiato?”Rispondo tra me e me…“E’ un gesto che compi sempre, Massimo, un gesto che ti educa al fatto che sei dinanzi alla morte. Un mistero più grande che mi sovrasta. Un mistero davanti al quale solo Cristo può dire “Non piangere”. Io non sono capace. Mi pare di collocarmi nel modo più adeguato davanti alla morte”.Lo sguardo si sofferma su colui  che non è più. I genitori piangono sommessamente. La mia presenza li ha resi più abbandonati, come se potessero, le lacrime, correre più liberamente, come se al mio arrivo e al mio inginocchiarmi le lacrime potessero essere raccolte.Tiro fuori la catena del Rosario. Con un cenno dello sguardo mi sincero che abbiano tempo per una preghiera prolungata. Non solo una benedizione, ma una preghiera semplice, ma intensa. Niente è più dolce di questa ripetizione. Una catena che ti abbraccia. Le Ave Maria sono carezze per i due giovani ragazzi. Rimaniamo così, in ginocchio, davanti all’urna per una mezz’ora coinvolti in una grande pace che la Madonna ottiene ai suoi figli.Con voce silenziosa chiedo se avevano dato un nome. “A due mesi, ancora non si sa il sesso”.In quel vasetto, colmo di sangue, sta il piccolo, esile presenza di uno. Non maschio, non femmina. O almeno, i dottori non hanno potuto verificarlo, ma maschio o femmina era.“Sto in ginocchio” – riprendono i pensieri – “perché mi sia più evidente che sono davanti ad una persona. Al mistero di un uomo fatto ad immagine di Dio”. Che dignità, abbiamo! “Sei fatto ad immagine di Dio, maschio  o femmina ti creò, l’Onnipotente. Cristo è morto e Risorto anche per te”.Quando esco dalla camera mortuaria e salgo in auto, mi stupisce il pensiero di quello che è accaduto. È incredibile come nonostante sia oltre dieci anni sacerdote la pagina della Scrittura che più spesso mi ritrovo tra le mani, sia ancora la prima. Sono ancora all’inizio. A stupirmi della vita.- Don Massimo Vacchetti - libertaepersona.org -