ASCOLTA TUA MADRE

LA CHIESA E’ RIMASTA INDIETRO DI 200 ANNI?


La cattolicissima Repubblica, che notoriamente invia ogni domenica i suoi giornalisti all’Angelus, perché il lunedì riferiscano ai fedeli l’insegnamento del Papa, con malcelata malizia ha osservato, oggi, come, in occasione dell’appuntamento domenicale con i fedeli nel Cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, Benedetto XVI non abbia menzionato il cardinale Carlo Maria Martini. Siccome in verità a Repubblica interessano i suoi fedeli lettori e non i fedeli della Chiesa, è evidente che il giornalista che intorno alle 12 di ieri, anziché trovarsi con gli amici al bar per l’aperitivo ha avuto l’onere di seguire il Pontefice, doveva verificare “le mosse” di Benedetto XVI. Poiché – grazie a Dio – Papa Ratzinger non è (ancora) tenuto a rispondere delle sue azioni al Gruppo Editoriale L’Espresso né – grazie a Dio – ha mai seguito la logica del politicamente o del massmediaticamente corretto, ha fatto esattamente ciò che fa sempre, e cioè… il Papa. Prendendo spunto dalla splendida liturgia di ieri (liturgia peraltro tanto amata, studiata, approfondita dallo stesso cardinal Martini), obbediente al compito di Pastore della Chiesa, ha indicato la strada. Che – dispiacerà ai media laicisti che, riprendendo una frase dell’ arcivescovo di Milano, hanno titolato gongolanti «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni» – è sempre la stessa strada: non segue le mode, non si adegua al “sentire del tempo”, non tiene conto dei sondaggi né dei dati auditel. E’ vero che nella sua ultima intervista, pubblicata sul Corriere, Martini se n’era uscito con quell’espressione, che, pur argomentata, certo non voleva essere un complimento. In effetti, posto che per i credenti la Chiesa è il Corpo di Cristo, è come dire che… Cristo è rimasto indietro di duemila anni. Eccole, le parole pronunciate dal Santo Padre e dirette a tutti: vivi e… morti. Chiarissime. Come è chiarissima, da duemila anni, la strada indicata da Cristo a chi desidera seguirlo. Sì, perché c’è un particolare di cui è bene tengano conto i cattolici, ed anche i laici(sti) che sperano in chissà quali futuri compromessi al ribasso da parte della Chiesa: non è la Chiesa che deve rincorrere il mondo, cercando di stargli al passo. Siamo noi, chiamati, se lo desideriamo, a seguire Cristo, oggi presente e vivo nel sacramento dell’eucaristia, e nei volti della sua Chiesa. Ed è Lui che ci ha insegnato ad essere «nel mondo ma non del mondo» e a chiedere al Padre «… venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà…». Non la nostra o quella della mentalità dominante e/o modaiola. La Sua. Più chiaro di così… Cari fratelli e sorelle! Nella Liturgia della Parola di questa domenica emerge il tema della Legge di Dio, del suo comandamento: un elemento essenziale della religione ebraica e anche di quella cristiana, dove trova il suo pieno compimento nell’amore (cfr Rm 13,10). La Legge di Dio è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita, lo fa uscire dalla schiavitù dell’egoismo e lo introduce nella «terra» della vera libertà e della vita. Per questo nella Bibbia la Legge non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere il suo Alleato e scrivere con esso una storia di amore. Così prega il pio israelita: «Nei tuoi decreti è la mia delizia, / non dimenticherò la tua parola. (…) Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, / perché in essi è la mia felicità» (Sal 119,16.35). Nell’Antico Testamento, colui che a nome di Dio trasmette la Legge al popolo è Mosè. Egli, dopo il lungo cammino nel deserto, sulla soglia della terra promessa, così proclama: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi» (Dt 4,1). Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo. E così la religione smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per fare la sua volontà, - che è la verità del nostro essere - e così vivere bene, nella vera libertà, e si riduce a pratica di usanze secondarie, che soddisfano piuttosto il bisogno umano di sentirsi a posto con Dio. Ed è questo un grave rischio di ogni religione, che Gesù ha riscontrato nel suo tempo, ma che si può verificare, purtroppo, anche nella cristianità. Perciò le parole di Gesù nel Vangelo di oggi contro gli scribi e i farisei devono far pensare anche noi. Gesù fa proprie le parole del profeta Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6-7; cfr Is 29,13). E poi conclude: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8). Anche l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera, mette in guardia dal pericolo di una falsa religiosità. Egli scrive ai cristiani: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Vergine Maria, alla quale ora ci rivolgiamo in preghiera, ci aiuti ad ascoltare con cuore aperto e sincero la Parola di Dio, perché orienti i nostri pensieri, le nostre scelte e le nostre azioni, ogni giorno. Autore: Saro Luisella  - Fonte: CulturaCattolica.it