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IL GENOCIDIO ARMENO RICONOSCIUTO DA GIOVANNI PAOLO II E PAPA FRANCESCO


Il 9 novembre 2000 Papa Giovanni Paolo II e il Catholicos Karekin II, il capo della Chiesa apostolica armena, firmavano a Roma un «comunicato congiunto» nel quale si parlava esplicitamente del «genocidio armeno»: «I capi delle nazioni non temevano più Dio né essi provavano vergogna di fronte al genere umano. Il XX secolo è stato contrassegnato per noi da una estrema violenza. Il genocidio armeno, all’inizio del secolo, ha costituito un prologo agli orrori che sarebbero seguiti. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a milioni di fedeli». L'iniziativa provocò una durissima reazione diplomatica della Turchia. L'anno successivo, 2001, durante il viaggio in Armenia, Papa Wojtyla evitò nei suoi discorsi pubblici di pronunciare direttamente la parola «genocidio», ma usò, nella preghiera da lui recitata, l'espressione Metz Yeghérn, «Grande Male», cioè la stessa usata dal popolo armeno per definire la tragedia avvenuta agli inizi del Novecento. Era il 26 settembre, e Giovanni Paolo II, che stava compiendo la visita al memoriale di Tzitzernakaberd, complesso architettonico costruito a Yerevan a ricordo delle vittime armene cadute nel 1915, pregò con queste parole: «O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi! Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo, l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn, il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele, come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più. Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma, che riecheggia la supplica del suo predecessore, il Papa Benedetto XV, quando nel 1915 alzò la voce in difesa  "del popolo armeno gravemente afflitto, condotto alla soglia dell’annientamento"». Al termine della vista in Armenia, il Papa e Karekin II firmarono una nuova «dichiarazione congiunta», nella quale venne usata questa espressione «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo». Dunque per la seconda volta a distanza di due anni, seppure in un testo sottoscritto congiuntamente dal capo della Chiesa cattolica e da quello della Chiesa apostolica armena, compariva la parola «genocidio» riferita ai massacri del 1915. Nel saluto all'inizio della messa del 12 aprile, Papa Francesco ha inserito la tragedia del 1915 nel contesto degli stermini di massa del Novecento, citando non soltanto quelli nazisti e stalinisti, ma anche quelli molto più vicini a noi, avvenuti in Asia e in Africa. Con queste parole ha definito la prima delle «tragedie inaudite» del secolo scorso: «Quella che generalmente viene considerata come "il primo genocidio del XX secolo"; essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi». Nel testo scritto del saluto papale, subito dopo la frase non a caso virgolettata sul «primo genocidio del XX secolo», è stata volutamente riportata la fonte della citazione (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001), vale a dire la dichiarazione congiunta di quattordici anni fa. In questo modo, Papa Francesco ha usato la parola «genocidio» ma al tempo stesso l'ha pronunciata citando un suo predecessore oggi santo. Se si rilegge il testo del saluto di Papa Francesco, ma soprattutto la sua omelia e il messaggio consegnato al popolo armeno alla fine della liturgia, ci si rende conto come il riconoscimento dello sterminio del 1915 non abbia alcuna prospettiva di rivendicazione né di colpevolizzazione della Turchia nel suo insieme per i fatti avvenuti un secolo fa. Negare contro l'evidenza i fatti del 1915, sebbene anche in Turchia vi siano intellettuali e storici che riconoscono quanto avvenuto, intervenire diplomaticamente quasi che la discussione sui fatti storici rappresentasse un vulnus inferto alla nazione turca, è la strada che il governo di Ankara ha deciso di imboccare. Come dimostra la dura reazione di ieri dopo le parole del Papa. Tensioni che certo non aiutano in un momento delicatissimo dal punto di vista geopolitico, dato che la Turchia ha ai propri confini l'autoproclamatosi Califfato islamico, ed è il Paese dove negli ultimi anni i cattolici hanno pagato un tributo di sangue: don Andrea Santoro è stato ucciso a Trebisonda nel 2006, e il vescovo Luigi Padovese è stato ucciso a Iskenderun nel 2010. Vaticaninsider- lastampa - Andrea Tornielli – Città del Vaticano -