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LE SPOSE BAMBINE ISLAMICHE SONO 60 MILIONI E HANNO MENO DI 13 ANNI


La domanda a questo punto è una sola: esistono veramente gli islamici progressisti? Esiste un Islam razionale e caritatevole, permeato di spirito umanistico, difensore dei diritti umani, timorato di Dio e rispettoso della vita, democratico, illuminato e moderno? Oppure no, non esiste, e i cosiddetti islamici moderati sono soltanto una finzione propagandistica? Perché ormai non è più tollerabile oltre il continuo silenzio delle comunità musulmane occidentali rispetto ai crimini perpetrati dai fratelli islamici negli Stati orientali e africani. Non è più tollerabile oltre l’omertà che avvolge in modo mafioso i centinaia di centri culturali islamici delle città libere d’Occidente che si guardano bene dal denunciare e condannare certa cultura barbarica in cui vivono molti Stati musulmani. Ogni giorno, costantemente, vengono pubblicati da fonti umanitarie internazionali resoconti atroci di ciò che accade nell’Islam. Queste notizie sono talmente tante da finire per passare inosservate, sepolte da un’inflazione di tragedie umane. Non passano 24 ore, per esempio, che in paesi musulmani non venga impiccato qualcuno, minorenni compresi, spesso per crimini insignificanti. Donne e uomini vengono lapidati regolarmente, in pubbliche piazze, con pietre di grandezza sufficiente a far morire di dolore ma senza uccidere all’istante. Poi amputazioni, flagellazioni, istigazioni su ragazzini kamikaze al suicidio e all’omicidio, e di questo tenore tante altre assurdità. Oggi, però, parliamo di un’altra follia consentita dalle tradizioni primitive islamiche: le spose bambine. È arrivata dallo Yemen la notizia sconvolgente di Nojoud, una bambina di otto anni (sic!) presentatasi da sola in tribunale dicendo di essere stata costretta dal padre a sposare unuomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Secondo le Nazioni Unite nel mondo musulmano ci sono 60 milioni di “spose bambine”, la cui età è inferiore ai 13 anni. Il marito è sempre un uomo molto più anziano, mai incontrato prima, spesso un parente. Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio, ma purtroppo la maggior parte delle altre piccole spose come lei non saranno così fortunate. L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una “classifica” dei venti paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto, seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La “Top 20” è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio  Oriente. Queste bambine non potranno mai studiare né guadagnare lavorando, sebbene lavoreranno tutta la vita come bestie. Il loro ciclo di povertà non s’interromperà mai. L’attività sessuale precoce cui sono obbligate, le gravidanze e i parti procurano loro danni terribili, oltre a contagi d’ogni genere. Una volta malate vengono emarginate dai propri mariti e dalle comunità; la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane, a Boston, spiega che due milioni di ragazzine sono affette da fistole vescico-vaginali o retto-vaginali in seguito a lacerazioni prodotte dal feto. Ciò le rende incontinenti per il resto della loro vita, e il loro odore di urina è talmente forte che dalla loro gente vengono ghettizzate, scansate, abbandonate sole. Secondo l’Agenzia Onu per la popolazione (Unfpa), la morte di parto è cinque volte più probabile per le bambine sotto i 15 anni, e quella del feto è maggiore del 73%. La regista yemenita Khadija Al Salami è la responsabile culturale dell’ambasciata dello Yemen a Parigi; suo è il documentario Amina, vincitore dell’Horcynus Festival di Messina, in cui si racconta la storia di una bimbi di 11 anni costretta al matrimonio, e condannata a morte a 15 con l’accusa d’aver strangolato il marito. Oggi Amina ha 26 anni e Khadija Al Salami è riuscita a farla assolvere. La stessa Khadija era stata obbligata a sposarsi a 11 anni e a subire gli stupri del marito, come ha scritto nella sua biografia Piangi, regina di Saba. «Sposata a 11 anni, avrei voluto uccidere tutti, – racconta – non solo mio marito, tutti, anche me stessa. Di Amina volevo raccontare la sua versione della storia. Poi ho scoperto che non era lei l’assassina. Il cugino del marito è stato giudicato colpevole e punito con la morte». Alla domanda se i matrimoni di minori sono comuni oggi come un tempo in Yemen, la signora Khadija risponde: «Pensavo che ai miei tempi accadesse di più, che le cose fossero cambiate. Ma negli ultimi mesi mi sono resa conto che ci sono molti casi. Dopo il caso di Nojoud, la bambina che ha chiesto il divorzio in tribunale, altre tre ragazze hanno raccontato la loro esperienza. Forse è più raro nelle città, ma nelle campagne è una pratica diffusa». A causa dell’ignoranza e della povertà le madri non si oppongono; esse stesse erano spose bambine. «Quando vennero a chiedere la mia mano, mia mamma non si oppose. Una donna nasce per essere seppellita o sposata, diceva mia nonna».A fronte di tutto ciò abbiamo, da un lato, l’intervista dell’ambasciatore saudita in Gran Bretagna, Ghazi Al-Qusaibi, che dichiara: «Flagellazione, lapidazione e amputazioni sono, agli occhi musulmani, il nocciolo della fede», e «la cultura occidentale è ridicola, è una cultura perversa e inferiore». Dall’altro lato, abbiamo una serie infinta di fatwa di condanna da parte di eminenti religiosi islamici d’ogni Stato contro qualsiasi attricetta, scrittore o vignettista satirico; verso le barzellette i sacerdoti musulmani sono molto attenti. Però da nessuna parte nel mondo islamico si è mai levata chiara, forte e continua alcuna voce di condanna contro le crudeltà primitive di cui è permeata certa cultura musulmana. Né negli Stati islamici né in quelli occidentali, né fra autorevoli mullah in terra d’Africa né fra i predicatori nelle moschee occidentali. Un silenzio di tomba, un silenzio che smaschera l’assenza d’ogni valore religioso e umano di certe tradizioni spacciate per coraniche, e ne svela l’unico carattere: il peggior maschilismo retrogrado e oscurantista chiamato a proteggere il potere maschile delle società musulmane. Noi occidentali abbiamo pagato sulla nostra pelle per secoli la ricerca della verità e della giustizia, della libertà e della ragione; per millenni ci siamo massacrati, bruciati sui roghi e asfissiati coi gas, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Alla fine ora abbiamo nel Dna almeno una consapevolezza: che tutti gli uomini sono liberi e uguali. Da ciò devono discendere i nostri principi di tolleranza e di carità. Fino a che il mondo islamico non denuncerà i propri mostri come noi denunciamo i nostri, ma continuerà a sponsorizzare arcaiche violenze e sopraffazioni; fino a che non verrà alla luce quell’Islam razionale e caritatevole pronto ogni giorno a gridare e sfidare l’ingiustizia nascosta nei propri intestini, non ci potrà essere altro che conflitto fra le nostre culture. Aspettiamo il coraggio dei fratelli musulmani illuminati, uomini e donne. Nessuna religione può essere tale se non predica l’amore: noi occidentali dopo duemila anni lo abbiamo capito. A quando l’Islam?Fonte: Andrea B. Nardi  -loccidentale.it