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UN AMORE DI PLASTICA CONTRO LA SOLITUDINE O AL RIPARO DA LITIGI E CAPRICCI?


Si chiama Dirk e ha acquistato la “moglie” per 6750 dollari. Jenny, è una bambola di silicone, con cui lui vive da quattro anni come se fosse una donna, la più adorabile delle donne, nell’immaginario maschile: sempre sorridente e silenziosa. La fotografa tedesca Sandra Hoyn ha documentato la loro giornata di coppia “tipo”: dalla colazione al mattino fino alla sera al momento di coricarsi, inframezzata da attività quotidiane abituali, “di famiglia”, come stare insieme sul divano a guardare la televisione oppure coccolarsi un po’. Per la notte, le mette la mascherina per evitare il fastidio della luce e – assicura – il sesso è “esplosivo”. La domenica, poi, c’è il rituale del bagno in comune. L’ha “sposata” in pompa magna con una cerimonia nel suo appartamento e le ha regalato un anello a forma di cuore. Sarebbe romantico se non fosse inquietante. “Non posso vivere senza amore. La mia solitudine mi ha distrutto”, dichiara il quarantenne americano, con alle spalle un matrimonio fallito e un figlio. “Jenny mi dà sicurezza. Non voglio più vivere senza di lei. Sono commosso dalle sue parole, dalla sua purezza, dalla serenità e dall’onestà del suo parlare”. Dirk sarebbe un uomo qualunque, se la sua storia non fosse straordinaria. Oppure, no. Rischia di essere una storia qualunque. C’è Davecat, ricordate? Il trentasettenne statunitense fanatico di Carmen Consoli che, dall’età di 23, ha pensato bene di interpretare nella vita “Amore di plastica” della sua cantante preferita e l’ha raccontata su Real Time nel programma “Io e la mia ossessione”. Dal 1999 vive con la sua compagna gonfiabile come se fosse la moglie. Poi, negli anni, la routine di gomma è diventata noiosa quanto quella di molte coppie “naturali”, e allora ha trovato su Internet un’amante. Di gomma, anche lei. Non sono soltanto gli statunitensi a vivere strani amori virtuali in 4d. Le foto del matrimonio di un 28enne cinese malato terminale di cancro con una fantastica donna in silicone – e non soltanto siliconata – hanno spopolato sul web, dividendo il pubblico interessato tra ammiratori/ammirati e critici/disgustati. Gli amatori del sesso virtuale assicurano che il genere ottiene sempre più seguito tra i frequentatori dei siti dedicati, al punto che si può parlare, più che di una moda, di una tendenza, di un costume, ovvero, di un uso sociale. Tanto che perfino il cinema, sempre veloce nel descrivere e analizzare comportamenti sociali, ha prestato attenzione al fenomeno. “Lars e una ragazza tutta sua”, del 2007, con la regia di Craig Gillespie, racconta la storia tragicomica di Lars, nelle vesti del brillante Ryan Gosling, che presenta la sua “fidanzata”, conosciuta su Internet, agli amici. Bianca è bellissima, una bambola. Davvero. In colla e plastica. E chi creda che si tratti di una “particolarità” maschile, si sbaglia. Per le donne sole c’è il “fidanzato a maglia”, My Knitted Boyfriend, caldo caldo dall’Olanda, interamente cucito in lana 100 percento, messo al mondo dalla designer Noortje de Keijzer.  C’è Arthur, di pelle chiara e capelli scuri, e Steve, nero africano. La bocca chiusa in un sorriso largo e innocuo, a confortare donne deluse da uomini ombrosi, borbottanti o perfino nevrastenici, troppo “duri” o assenti. Nell’era della comunicazione, insomma, dilaga la solitudine profonda, che spinge a proiettare emozioni e sentimenti su oggetti inanimati, ai quali si riconosce un’anima come specchio del proprio desiderio. L’amore è fantastico, perché fantasioso, generato dalla fantasia. Uno schiaffo all’amore come rapporto autentico. Non comporta responsabilità, verso l’altro, non chiede sacrificio, e neppure il semplice ascolto, dei bisogni dell’altro, della sua realtà, di chi sia davvero. Dall’amore egoistico, che tratta l’altro come un oggetto, siamo passati all’amore egotico, autistico, che trasforma un oggetto in un altro. O meglio, nell’illusione dell’altro. Se una grande psico-analista come Melanie Klein sostiene che spesso la spinta alla relazione amorosa nasce da un bisogno di sfuggire alla solitudine, certi “amori”, ovvero, alcune ossessioni psico-patologiche, riflettono un bisogno di solitudine come fuga dalla mancanza di amore. Rivelano anche un bisogno di amore per se stessi. “L’Amore è eterno. Come gli altri amano delle capre o delle pecore, io amerò una bambola”, scrive il poeta francese Joë Bousquet. Il titolo della poesia è “Fumerolle” (Fumarola) e inizia significativamente così: “L’amore nello specchio che affascina gli astri, povera fumarola”. Sì, l’amore come specchio di sé, come proiezione dei propri bisogni, desideri, istinti, impulsi, su un oggetto esterno, che sia una persona o una cosa, è davvero come una fumaiola, come il fumo che si alza dal vulcano, fortemente acido e corrosivo. Offusca la coscienza, di sé e del mondo, appanna le relazioni con il proprio Io autentico e con le persone. Ed è un disturbo sociale, oltre che della personalità. A bruciare ed essere ridotti in cenere, sono i rapporti autentici, la capacità di crescere e vivere come persone in relazione, con gli altri e con la realtà, con la verità, anche su se stessi, sulle proprie fragilità, le sofferenze, le delusioni, le aspettative, le speranze, le capacità e i limiti. In una società nella quale la verità è continuamente manipolata e oscurata da fumi di menzogne e di omissioni e che non insegna e non aiuta ad amare davvero se stessi e quindi il prossimo, il partner, l’amore è come un gioco di bambole allo specchio, povera fumarola. di Emanuela Bambara