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L'ESERCITO SILENZIOSO DELLE DONNE MALTRATTATE


Sette milioni sono state vittime di violenza fisica o sessuale. In metà dei casi il responsabile è il partner.Una rosa bianca, immacola­ta. Che lentamente anneri­sce, sporcata da un male che nasce da dentro. È la violenza domestica, la più segreta, quella che si consuma tra le mura di casa. Un mondo sommerso fatto di bot­te fisiche e mentali, che corrode dall'interno colpendo soprattutto le donne, vittime di aggressori che troppo spesso hanno i volti di ma­riti e fidanzati. Oggi e domani le principali città italiane saranno in­vase da migliaia di braccialetti di gomma bianchissimi, inviati an­che a tutte le parlamentari donne: un modo di raccogliere l’invito del ministero delle Pari opportunità a indossare qualcosa di bianco, per solidarietà con le vittime degli abu­si. Per riportare la rosa sporcata al suo vero colore. L’occasione è la Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, in corso a Roma, promossa col ministero degli Esteri. Per capire, e combatte­re, un fenomeno che fa paura. E sfugge, per i confini resi incerti dal­la difficoltà a denunciare la vergo­gna della violenza casalinga. In Italia sette milioni di donne hanno subito violenza fisica o ses­suale nel corso della vita. Di que­ste (dati Istat) 2 milioni e 938 mila hanno subit violenza dal partner o dall’ex. Un universo di sopraffazio­ne di cui fa ancora più paura la fac­cia che rimane oscura, quel 93% di abusi che non viene denunciato, sommerso da mille paure. Sette mi­lioni di vittime silenziose, secon­do il ministero. «Il passo più diffi­cile per una donna — spiega Ga­briella Carnieri Moscatelli, presi­dente di Telefono Rosa — è con­vincersi a chiedere aiuto». Ma usci­re dall’isolamento è solo il primo passo: «Poi c’è l’iter giudiziario e la ricostruzione di sé». Del proprio io massacrato a calci e pugni da chi credevamo vicino: «Da una mappatura del nostro Osservato­rio — continua Moscatelli — su un campione delle circa duemila donne che hanno chiesto aiuto nel primo semestre 2009, risulta che autori delle violenze sono i mariti nel 34% dei casi, gli ex mariti nel 12% e nell’8% i conviventi». Part­ner senza controllo, capaci di acca­nirsi in molti modi: «Nel 49% dei casi la violenza è psicologica, nel 34% fisica, nel 13% economica e un buon 21% è vittima di minacce e stalking, spesso anticamera di abusi più pesanti». In un anno al Telefono Rosa (che su Facebook ha aperto una pe­tizione per chiedere l’abolizione dei benefici di legge per chi com­mette violenze sulle donne) arriva­no in media 5 mila telefonate. Una è stata quella di Rosaria, 3 figli, 40 anni. Ne aveva 15 quando ha cono­sciuto il fidanzato, 20 quando l’ha sposato. Da allora ne sono dovuti passare altri 20 per venir fuori dal­l’inferno. «I primi tempi mi ero ac­corta di qualche sua reazione vio­lenta — racconta — ma ero troppo giovane per capire. Poi sono co­minciati gli schiaffi, i calci, i pu­gni, le sedie che volavano. Quando gli ho detto che mi volevo separa­re è iniziata la guerra». A Rosaria non è bastato andare via di casa: lui l’aspettava fuori, la seguiva al lavoro, la caricava in macchina con la forza. Ci sono volute un’ami­ca e le parole della figlia 18enne per spingerla a chiedere aiuto: «Co­me ho fatto a resistere vent’anni? Arrivi a pensare che sia quella la vi­ta che ti spetta». Poi la separazio­ne, il giudice. Come per Angela, 40 anni anche lei, un bimbo di 4, cin­que di convivenza con un compa­gno che la picchiava. «Con un fi­glio di mezzo è difficile pensare di reagire — racconta — ma dopo es­sere stata spedita troppe volte al pronto soccorso la mia è diventata una scelta obbligata». Angela co­mincia adesso a non avere più pau­ra quando torna a casa, quando guarda negli occhi la gente. Per due che hanno spezzato il vincolo, quante altre restano in si­lenzio? Il baratro oggi è più profon­do o abbiamo solo scoperchiato un vaso? «Difficile dirlo — dice Marina Bacciconi, responsabile dell’Osservatorio nazionale violen­za domestica — poiché la maggior attenzione sociale e mediatica agi­sce da lente distorsiva e, d’altra parte, l’informalizzazione del ma­trimonio e della parentela nella so­cietà (e non solo in Italia) si affer­ma sempre più come dato struttu­rale, culturale. Lo stesso modesto aumento negli ultimi anni può aver poco significato e derivare dalle stesse ragioni». Ma se non è possibile quantificare la violenza si può qualificarla: anche gli abusi hanno un genere. Quasi sempre maschile singolare. «Il nostro mo­nitoraggio (registriamo un feno­meno quando tribunali, polizia, ca­rabinieri, Pronto soccorso e medi­ci di famiglia lo incontrano in mo­do da avere una fotografia ad 'alta definizione' del fenomeno) — con­tinua Bacciconi — evidenzia che fra le vittime circa 1 su 3 è ma­schio, minore o anziano ma anche adulto. Ma la donna è certamente la principale vittima». È sulle dina­miche dell’atto violento che emer­gono le differenze più sensibili: «Il maschio conta più sulla propria forza fisica (pugni, calci, minac­ce), la donna per lo più sull’uso di oggetti disponibili in casa, nella vi­ta quotidiana. Il coltello e altri strumenti da ta­glio appartengono a entrambi, an­che se forse con diverso significa­to». Legato quasi sempre all’istin­to di difesa: da una ricerca dell’Uni­versità di Bristol che mette in rela­zione violenza domestica e «di ge­nere » risulta che gli uomini prefe­riscono usare la forza fisica (61% dei casi monitorati) ma scendono all'11% nel ricorso alle armi. Que­sto perché la violenza femminile è il più delle volte autodifesa. Gli uo­mini tendono a reiterare gli abusi, combinando violenze fisiche, ver­bali e psicologiche per creare un contesto di paura per controllare la partner. Un inferno tra le pareti di casa. - Giulia Ziino  - .corriere.it -