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SAN MICHELE, L’ANGELO PROTETTORE DI ROMA


Il 29 settembre vi è la memoria liturgica dei tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Dei tre il più venerato è certamente Michele. Il culto a San Michele è sempre stato molto diffuso sia in oriente che in occidente ed uno dei più importanti luoghi di culto dedicati all’Arcangelo in Italia era la chiesa edificata a Roma sulla via Salaria dal papa Leone Magno (+ 461), in ringraziamento della protezione accordata dall’arcangelo alla Città al momento delle invasioni unniche. Di fronte all’avanzata delle orde di Attila, il pontefice, avendo rimesso la sorte della città tra le mani del grande arcangelo, si era avanzato alle porte della città incontro al Flagello di Dio che, impressionato dalla marcia e allettato da un confortevole bottino, non spinse più avanti la sua spedizione: salvata Roma, la chiesa promessa all’arcangelo fu dedicata il 29 settembre, che è rimasto il giorno della festa di San Michele (e dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, dei tre arcangeli). Ciò nonostante, tre anni più tardi, nel 455, il papa non ebbe la stessa possibilità con Genserico, re dei vandali – ben nominati – che invasero e saccheggiarono la Città. Finora, nessuno ha potuto dare una spiegazione soddisfacente di questa subitanea diserzione del Principe degli eserciti celesti. La preservazione provvidenziale di Roma minacciata dagli Unni confortò l’idea che Michele era il difensore speciale della Chiesa: non ne aveva salvaguardato la sede? La credenza in questa protezione particolare risale al IV secolo quando Costantino, recentemente convertito al cristianesimo, riporta la vittoria decisiva sul suo rivale Massenzio, il 29 ottobre 312. tutti conoscono la storia: ansioso per la riuscita della lotta che si prepara ad ingaggiare, il giovane Cesare d’Occidente ha l’ispirazione di porre alla testa dei suoi eserciti, nettamente meno numerose di quelle di Massenzio, padrone di Roma, un pavese – il labarum – recante il segno della croce, che gli sarebbe stata mostrata nel cielo la sera della vigilia, con questo commento scritto in lettere greche: "Con questo segno tu vincerai". Altre tradizioni affermano che una voce misteriosa gli avrebbe ingiunto di far dipingere sugli scudi dei suoi uomini le lettere greche Chi e Rho, intrecciate, che sono le iniziali di Christos. Comunque cosa sia allora accaduto e che cosa egli abbia fatto – forse il tutto, due precauzioni valgono meglio di una -, Costantino schiaccia Massenzio presso il ponte Milvio, nel luogo detto Saxa Rubra (Pietre Rosse), ed il vinto muore malinconicamente annegandosi nel Tevere. Due anni più tardi, nel 314, Costantino ha una visione. Un essere di luce gli appare, in piedi, vestito d’una lunga tunica, con le ali largamente dispiegate, le gambe leggermente divaricate e solidamente piazzato sul suolo, che gli dichiara: Io sono Michele, il capo degli eserciti di Dio, il protettore della fede dei cristiani. Sono io che, quando tu combattevi contro l’empio tiranno, ti ho assistito, rimettendo la vittoria tra le tue mani. L’arcangelo poi qualche secolo dopo ancora si è mostrato con splendore a Roma, nell’anno 590. La peste fa strage nella Città, decimando la popolazione – ad iniziare dal pontefice regnante – Pelagio II – ed isolando dal resto del mondo il centro della cristianità. Il nuovo papa, Gregorio, che si chiamerà Magno, ricorre ai mezzi provati: egli invita il popolo ad un triduum di preghiera chiuso da una processione penitenziale di cui lui stesso prende la testa, portando in alto l’icona della Vergine dipinta da San Luca, che si conserva nella Basilica della Madonna della Neve (oggi Santa Maria Maggiore) e che si venera sotto il titolo di Salus populi romani. Come la processione giunge sulle rive del Tevere, i fedeli, sorpresi, poi meravigliati, si mettono a guardare il cielo che si è subitaneamente illuminato: dei canti di una straordinaria bellezza sembrano rispondere nelle nubi. Nello stesso momento, il pontefice vede apparire al di sopra del mausoleo di Adriano il grande arcangelo che, armato da capo a piedi, che ripone la spada nel suo fodero. A partire da quel momento, l’epidemia si mette a regredire, per ben presto cessare del tutto. Si chiamerà da allora il monumento Castel Sant’Angelo: una replica della grotta del monte Gargano vi sarà edificata, e si erigerà alla sua sommità un’immensa statua dell’arcangelo. Il 29 settembre 1986 il papa Giovanni Paolo II per la benedizione della statua restaurata di San Michele a Castel Sant’Angelo pronunciò il seguente discorso. " E’ con viva gioia che mi trovo qui, nel giorno della festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, per questa significativa celebrazione del ritorno della celebre statua di San Michele Arcangelo sulla sommità di questo castello, che da essa prende il nome. La presenza di tale effigie appartiene infatti al paesaggio ed al volto di Roma ormai da molti secoli ed ha acquistato una sua imponenza particolarmente maestosa e solenne da quando il mio predecessore Benedetto XIV inaugurò, sul fastigio di questo edificio, l’attuale statua bronzea che raffigura l’Arcangelo nell’atto di riporre la spada nel fodero. Le testimonianze storiche di un culto reso in questo luogo all’Arcangelo Michele portano molto indietro nel tempo. Notizie attendibili attestano l’esistenza, già dall’epoca di Papa Bonifacio IV, di una cappella dedicata al suo culto e situata nella parte alta di questo edificio. L’intenzione era, ovviamente, di affidare la città alla protezione di questo Arcangelo, nel quale già il popolo di Israele vedeva una sua guida sicura (cfr Dan 12, 1) e che la Chiesa di Cristo, nuova famiglia di Dio, poteva perciò continuare ad invocare come Celeste Tutore. Seguendo l’esempio dei miei predecessori, e in sintonia con la tradizione profondamente radicata nella pietà del popolo romano anch’io desidero invocare San Michele Arcangelo quale protettore di questa città, le cui sorti affido alla sua intercessione ed alla sua tutela. Protegga il Santo Arcangelo l’attività di tutti i romani, ne favorisca la prosperità spirituale e materiale; aiuti ciascuno ad orientare la propria condotta secondo i dettami della norma morale; ravvivi negli amministratori della cosa pubblica la volontà di dedizione al bene comune nel rispetto delle leggi e del vero interesse dei cittadini; conforti l’impegno degli onesti nella promozione dei fondamentali valori della giustizia, della solidarietà, della pace; storni da questa città le calamità che ne insidiano il concorde impegno sulla via dell’autentico progresso: in particolare le calamità caratteristiche di questo nostro tempo che sono la dissacrazione della famiglia, la violenza e la droga. Con le parole di Dante, il vostro grande poeta, rivolgo anch’io al Signore la preghiera che tutte le riassume: "Come del suo voler li angeli tuoi / fan sacrificio a te, cantando osanna, / così facciano li uomini de’ suoi" (Purg. XI, 10-12). Con questi voti rivolgo il mio pensiero benedicente alla intera popolazione romana, e specialemte agli infermi ed ai bambini". -Don Marcello Stanzione - Pontifex -