La festa di Tutti i Santi, è una giornata di gioia, di speranza, di fede. Una delle giornate più intelligenti, più raffinate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, dell'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giustizia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa. E’ la festa di Tutti i Santi, non solo di quelli segnati sul calendario e che veneriamo sugli altari, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di piedi, senza che nessuno si accorgesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti nostri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo. Ho letto di un anziano parroco di campagna che nel giorno di Tutti i Santi, per far capire alla sua gente che si dovevano ricordare tutti i cristiani santi che stanno in Paradiso toglieva le immagini e le statue dagli altari. Una stranezza se volete, ma che voleva anche sottolineare il fatto che di solito, una volta che abbiamo messo i santi sugli altari, li ammiriamo, li invochiamo, ma non li imitiamo, perché pensiamo che siano troppo eroi per vivere come loro. Ma non è così. Nella festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci dice che i santi sono uomini e donne comuni, una moltitudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e di metterlo in pratica. Sono questi i santi che salvano la terra. C'è sempre bisogno di loro. È in virtù dei santi che sono sulla terra, che noi continuiamo a vivere, che la terra continua a non essere distrutta, nonostante il tanto male che c'è nel mondo. Ed è in virtù dei santi di ieri, dei santi che sono già salvati e che intercedono per noi: "una moltitudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo e lingua". La definizione più bella dei santi è quella che ho sentito da un bambino di una scuola materna. La maestra aveva portato la sua classe a visitare una chiesa con le figure dei santi sulle vetrate luminose. A scuola di catechismo ho domandato ai bambini: Chi sono i santi? Un bambino mi ha risposto: "Sono quelli che fanno passare la luce". Stupenda definizione: i santi fanno passare la luce di Dio che continua ad illuminare il mondo. Nella festa di Tutti i Santi, noi celebriamo la gioia di essere anche noi chiamati alla santità, perché ci è stato detto che abbiamo un cuore che batte come figli di Dio. Ci pensiamo? E San Giovanni che ce lo ricorda: "Carissimi vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente... ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". Ma quale è la strada della santità? Gesù ce l'ha indicata con l' annuncio delle beatitudini che sono la sintesi del Vangelo, lo specchio di fronte al quale ogni discepolo di Cristo deve confrontarsi. È il portale d'ingresso del Discorso della Montagna, la "carta costituzionale del cristianesimo". Ogni regno ha le proprie leggi. Le beatitudini sono la legge del Regno di Dio. Chi le osserva entra nella felicità del Regno. Questo dobbiamo capire. Dio ha posto nel nostro cuore la vocazione alla felicità, come ultimo segno della nostra somiglianza con Lui. Dio è il Sommo bene, il Beato per eccellenza. Per essere figli di Dio bisogna essere felici. - Gianni Sangalli - preghiereagesuemaria -Commemorazione dei defuntiA quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell'Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all'iniziativa dell'abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti. Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l'esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l'efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l'immagine di un edificio in costruzione. Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l’ottavario, le preghiere al cimitero.Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi ne avvertiamo un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell’anno un’occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa. Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita. Quando sentiamo che qualcuno è malato di idropisia (al tempo del santo, questa era la malattia incurabile), diciamo: "Poveretto, deve morire; è condannato, non c’è rimedio!". Ma non dovremmo, aggiunge, dire la stessa cosa di ogni uomo che nasce:"Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento, Gustavo Bécquer, paragona la vita umana all’onda che il vento spinge sul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi; a una candela prossima a esaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti, ignorando quale di essi per ultimo brillerà; e conclude: "Così sono io che mi aggiro per il mondo, senza pensare, da dove vengo, né dove i miei passi mi condurranno". Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui... Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole" (1Tes 4,13ss). Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Non abbiamo davvero un sommo sacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre volte nei vangeli si legge che Gesù pianse e, di queste, due furono per un morto. Nel Getsemani egli ha provato, come noi, “paura e angoscia” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole. - santiebeati -
FESTA DI TUTTI I SANTI (1° NOVEMBRE) - COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI (2 NOVEMBRE)
La festa di Tutti i Santi, è una giornata di gioia, di speranza, di fede. Una delle giornate più intelligenti, più raffinate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, dell'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giustizia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa. E’ la festa di Tutti i Santi, non solo di quelli segnati sul calendario e che veneriamo sugli altari, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di piedi, senza che nessuno si accorgesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti nostri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo. Ho letto di un anziano parroco di campagna che nel giorno di Tutti i Santi, per far capire alla sua gente che si dovevano ricordare tutti i cristiani santi che stanno in Paradiso toglieva le immagini e le statue dagli altari. Una stranezza se volete, ma che voleva anche sottolineare il fatto che di solito, una volta che abbiamo messo i santi sugli altari, li ammiriamo, li invochiamo, ma non li imitiamo, perché pensiamo che siano troppo eroi per vivere come loro. Ma non è così. Nella festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci dice che i santi sono uomini e donne comuni, una moltitudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e di metterlo in pratica. Sono questi i santi che salvano la terra. C'è sempre bisogno di loro. È in virtù dei santi che sono sulla terra, che noi continuiamo a vivere, che la terra continua a non essere distrutta, nonostante il tanto male che c'è nel mondo. Ed è in virtù dei santi di ieri, dei santi che sono già salvati e che intercedono per noi: "una moltitudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo e lingua". La definizione più bella dei santi è quella che ho sentito da un bambino di una scuola materna. La maestra aveva portato la sua classe a visitare una chiesa con le figure dei santi sulle vetrate luminose. A scuola di catechismo ho domandato ai bambini: Chi sono i santi? Un bambino mi ha risposto: "Sono quelli che fanno passare la luce". Stupenda definizione: i santi fanno passare la luce di Dio che continua ad illuminare il mondo. Nella festa di Tutti i Santi, noi celebriamo la gioia di essere anche noi chiamati alla santità, perché ci è stato detto che abbiamo un cuore che batte come figli di Dio. Ci pensiamo? E San Giovanni che ce lo ricorda: "Carissimi vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente... ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". Ma quale è la strada della santità? Gesù ce l'ha indicata con l' annuncio delle beatitudini che sono la sintesi del Vangelo, lo specchio di fronte al quale ogni discepolo di Cristo deve confrontarsi. È il portale d'ingresso del Discorso della Montagna, la "carta costituzionale del cristianesimo". Ogni regno ha le proprie leggi. Le beatitudini sono la legge del Regno di Dio. Chi le osserva entra nella felicità del Regno. Questo dobbiamo capire. Dio ha posto nel nostro cuore la vocazione alla felicità, come ultimo segno della nostra somiglianza con Lui. Dio è il Sommo bene, il Beato per eccellenza. Per essere figli di Dio bisogna essere felici. - Gianni Sangalli - preghiereagesuemaria -Commemorazione dei defuntiA quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell'Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all'iniziativa dell'abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti. Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l'esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l'efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l'immagine di un edificio in costruzione. Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l’ottavario, le preghiere al cimitero.Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi ne avvertiamo un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell’anno un’occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa. Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita. Quando sentiamo che qualcuno è malato di idropisia (al tempo del santo, questa era la malattia incurabile), diciamo: "Poveretto, deve morire; è condannato, non c’è rimedio!". Ma non dovremmo, aggiunge, dire la stessa cosa di ogni uomo che nasce:"Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento, Gustavo Bécquer, paragona la vita umana all’onda che il vento spinge sul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi; a una candela prossima a esaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti, ignorando quale di essi per ultimo brillerà; e conclude: "Così sono io che mi aggiro per il mondo, senza pensare, da dove vengo, né dove i miei passi mi condurranno". Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui... Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole" (1Tes 4,13ss). Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Non abbiamo davvero un sommo sacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre volte nei vangeli si legge che Gesù pianse e, di queste, due furono per un morto. Nel Getsemani egli ha provato, come noi, “paura e angoscia” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole. - santiebeati -