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HARL RAHNER: LA TEOLOGIA DELLA DISINCARNAZIONE


Non c’è ambiente più ospitale per gli sgambettatori dell’ortodossia cattolica dell’immediata eredità del Concilio Vaticano II, quel periodo fluido in cui all’improvviso si sono aperti crepacci teologici in cui anche oggi si rischia disgraziatamente di incorrere o nei quali ci si può deliberatamente tuffare. Di tutti gli autori che hanno imbracciato le armi del pensiero per proporre una teologia nuova da edificare in modo rigoroso sulle macerie di quella antica, il teologo Karl Rahner è allo stesso tempo il più influente e il più discusso. Nel gesuita tedesco c’è una naturale disposizione allo sconfinamento: oltre alle tentazioni di modernismo e panteismo, il focus polemico nei confronti di Rahner sta in quella "svolta antropologica" a cui Cornelio Fabro ha dedicato un volume nel 1974. Un testo caustico, teologicamente parlando. Oggi l’eredità friabile – e largamente irrisolta – di Rahner viene messa sotto accusa dal teologo Giovanni Cavalcoli, docente di Teologia dogmatica e Morale presso lo Studio teologico accademico bolognese, nel libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, in cui il domenicano solleva i tappeti del pensiero rahneriano per vedere quanta polvere c’è sotto. Il testo è costato all’autore non soltanto anni di lavoro per raggiungere un perfetto rigore argomentativo ma anche un confronto permanente con i suoi superiori sull’opportunità di pubblicare un testo che mette in discussione radicalmente una certa interpretazione del Concilio, quel consesso di cui Rahner era perito e da cui successivamente ha tratto interpretazioni di alcuni insegnamenti della Chiesa che Cavalcoli non teme di giudicare «eretici». Siamo molto oltre il Rahner modernista e progressista criticato già da molte scuole teologiche. E quel che è peggio, dice Cavalcoli, è che Rahner, "il grande architetto della teologia del XX secolo", non si è accontentato di proporre una visione alternativa al magistero della Chiesa, ma si è fatto, alla maniera protestante, «maestro e correttore di presunti errori», imponendosi anche all’interno della gerarchia stessa come teologo di riferimento di una presunta ortodossia. L’argomentare di Cavalcoli è una lama affilata, un incedere scientifico che sembra tratto direttamente da una quaestio disputata medievale: ogni affermazione viene analizzata e messa a confronto con una sentenza del magistero ufficiale per tirarne fuori contraddizioni e aporie, fino al precipitare della verità. Nel libro accomuna le tesi di Rahner a una corrente di pensiero che ha prodotto «disaffezione per la verità, saccenteria, superbia, sete di potere ed empietà, ribellione al Magistero e al Papa, cedimento agli errori della modernità, assenza di confutazione degli errori, profanazione della liturgia». Accuse gravissime che Cavalcoli ripercorre in sintesi parlando con Tempi: «Karl Rahner, ad esempio, estende l’identità dell’essere col pensiero a tutto il reale, mentre quest’identità appartiene solo a Dio; oppure c’è l’idea che Dio muti con la conseguente negazione delle due nature di Cristo e quindi la negazione del dogma dell’incarnazione». Una tradizionale critica a Rahner ripresa da Cavalcoli è quella di relativismo, dalla quale sono discese pressoché tutte le etichette di pensatore debole applicate al gesuita tedesco. Cavalcoli spiega che Rahner è arrivato a posizioni relativiste attraverso «la negazione dell’universalità e immutabilità del concetto», idea che abbonda nel rahneriano Corso fondamentale sulla fede ed è ben sintetizzata in una citazione che Cavalcoli estrapola dal suo libro: «Sempre e dappertutto l’uomo, nelle decisioni assolute e irrivedibili della sua vita, si basa su realtà storiche sulla cui esistenza e natura egli non possiede teoreticamente alcuna assoluta sicurezza». E se il percorso della conoscenza è immerso nella nebbia dei condizionamenti storici, Cavalcoli sottolinea come a maggior ragione Rahner non possa ammettere concetti dogmatici che non siano macchiati dalla relatività: «Il credere di poter afferrare i piani superiori del reale con la sua "esperienza trascendentale", nella quale, per la sua assoluta, proclamata indeterminatezza, ci può essere tutto e il contrario di tutto, è una pura e semplice illusione», conclude Cavalcoli.Una exit strategy esisteSecondo la ricostruzione di Cavalcoli, «il rahnerismo, con il pretesto dell’apertura al mondo moderno, del dialogo, del pluralismo, della democrazia, della libertà religiosa e di ricerca, dell’ecumenismo, dell’ispirazione dello Spirito Santo, ha eliminato nel Corpo di Cristo le difese immunitarie, rendendo insipida o discutibile la Parola di Dio, e ha tolto il muro di cinta della vigna del Signore». Uno scenario teologicamente corretto che Rahner ha disegnato con pazienza, nei lunghi anni dopo il Concilio che lo hanno consacrato come un gigante della teologia. Rimane la domanda: come e in quali spazi ha potuto liberamente creare un impianto filosofico alternativo? «Rahner lo ha fatto – spiega Cavalcoli – perché ha frainteso il vero spirito del Concilio, quasi che esso fosse un ritorno di modernismo e rinunciasse alla tradizionale condanna degli errori. Inoltre, ha affrontato la trattazione di tutti quei temi senza quel discernimento e quello spirito critico che gli sarebbero stati forniti da una sana preparazione filosofica e teologica fondata sulla fedeltà al magistero della Chiesa e in special modo su san Tommaso d’Aquino, raccomandato da secoli come guida negli studi filosofici e teologici». E nel proporre un’exit strategy dalle derive rahneriane sul Concilio, il domenicano dice che «occorre correggere gli errori di Rahner alla luce della dottrina della Chiesa e della sana filosofia», uno sforzo che implica «un intervento prudente, mirato, sistematico e organizzato dell’episcopato sotto la guida della Santa Sede». L’opera di "riconquista" del Concilio, conclude padre Cavalcoli, «richiederà molto tempo, ma con l’aiuto dello Spirito Santo, giungerà certamente a buon fine. Allora il Concilio sarà compiuto». - Antonio Gaspari - tempi -