Ciascuno di noi fa, nel tempo, una scoperta che allo stesso tempo è bellissima e drammatica. Io mi percepisco come punto chiaro e definito di approccio alla realtà e alle cose, vedo con i miei occhi, percepisco con i miei sensi, rifletto con la mia testa. Tuttavia allo stesso tempo percepisco che io stesso sfuggo a me stesso alla comprensione della mia realtà personale. Sono per me stesso un mistero un qualcosa di chiaro e allo stesso tempo inafferrabile. Con diritto posso dire io sono io.. ma allo stesso tempo io non sono io. Questa percezione duplice di sé apre al reale e cioè al senso del limite. Quel limite prezioso che suscita la altrettanto preziosa solitudine.. qualunque sia la mia vocazione di vergine o di coniugato. Nessuno ne è esente. Proprio quella percezione del limite che non è cara ai cartesiani che confondono il percepito con l'ontologico e che chiudono l'essere alla trascendenza di sé. Infatti la preziosa solitudine apre ad altro da sé, a quel bisogno ontologico di posseder-si visto che in definitiva nessuno si possiede; questo è il fondamento di ogni autentica esperienza religiosa ben lontana da ogni fondamentalismo che cerca di incastonare l'essere nelle regole siano esse religiose o laiche. Anche i comandamenti di Dio e la legge di Cristo rispettano, necessariamente, questa solitudine dell'essere affinché si trascenda; la legge di Dio è mistero, perché pur essendo chiara necessita di affrontare la solitudine ed il vuoto, necessita di ascolto e di trascendenza; quello che chiamiamo con una parola "Conversione"! La solitudine, come compagna drammatica e bellissima dell'esistenza può ovviamente avere due risvolti: o giocare sulla scommessa e portare l'essere dell'uomo a dischiudersi verso altro da sé oppure chiuderlo nella paura di un radicale narcisismo. La struttura epocale narcisistica ed edonistica non facilita l'uomo sicuramente verso un cammino di vita ma lo chiude in un omeostatico sguardo su se stesso. E' il dramma di tante coppie che non "rischiano" nella solitudine di incontrare l'altro nell'Altro che è Dio ma si chiudono in un perpetuo convivere narcisistico. L'omosessuale vive con ancora più drammaticità questo essere un quesito per se stesso, forse grazie alla sua sensibilità e, purtroppo in tanti casi, rifiuta di comprender-si e di avere risposte e si chiude all'unica vera battaglia della crescita di sé verso una dimensione squisitamente narcisistica dell'esistenza. L'omosessuale non cerca l'altro da sé per comprendere se medesimo ma cerca l'uguale per trovare conferma del vuoto che porta dentro. Difficile ammettere a se medesimi questa sconfitta per cui ecco nascere con rabbia l'orgoglio omosessuale, la sempre più spesso falsa coscienza civile di essere "vittima", il bisogno di affermare se stessi come polo sessuale alternativo. Davanti a chi ha messo in barca i remi della battaglia nella conoscenza di sé è difficile ragionare perché vive perennemente sulla difensiva. E chi vive sulla difensiva è aggressivo. E' un cammino a circuito chiuso perché più l'omosessuale non trova risposte più si aliena nella ricerca di sé nell'uguale e così facendo aumenta il suo stesso baratro di auto-comprensione. Questa drammatica dinamica suicida ci interpella innanzitutto nell'entrare anche noi a piene mani nel vuoto che portiamo dentro e scoprire la luce di speranza che Cristo vi ha acceso e portarla con la stessa gratuità con cui l'abbiamo ricevuta ai nostri fratelli e sorelle omosessuali per capire il senso profondo della propria vocazione nel mondo. Seguire Cristo vuol dire entrare nel dramma dell'esistenza e farsi discepoli e servi dell'altro, qualunque sia la sua connotazione sociale. Vuol dire scoprire insieme il primato ontologico della persona ed aiutare chi ci è accanto al grande viaggio dell'uscire fuori da sé. Anche per questo motivo non ci può essere una "famiglia omosessuale" essa genererebbe, pur non volendo, pur in buona fede, una mostruosità pedagogica ed educativa verso l'equilibrio psico-affettivo del bambino. La cattiva educazione di tanti figli non dipende dall'istituzione di famiglia eterosessuale in quanto istituzione sbagliata o fallimentare ma in quanto composta da genitori immaturi. Tuttavia essa è l'unica via di salute psichica e di fecondità. La riproduzione sessuata, infatti, non è solo fisica ma anche psicologica e spirituale. Di fatto poiché non esiste in natura il terzo sesso in grado di riprodursi la ricerca scientifica e psicologica, illuminata dalla Rivelazione Cristiana, deve essere libera di poter studiare le cause della genesi dell'omosessualità per aiutare i fratelli e le persone omosessuali ad un cammino di autocoscienza e di comportamento più idoneo con la finalità della natura umana e del suo profondo significato sessuale. L'omosessuale non è un "appestato" ma un malato di senso e di solitudine come ciascuno di noi; e come ciascuno di noi attende delle risposte per il suo cammino. Anche qualora ci sia nell'omosessuale una inclinazione "innata" è solo fornendo dei parametri corretti a livello di figure genitoriali che esso può uscire dal circolo vizioso di non risponder-si alla risposta di sé e alla solitudine esistenziale e aprirsi in maniera feconda all'alterità sessuale nell'Alterità per eccellenza che e Dio. Certo questo comporta fatica sia personale che sociale, poiché è difficile affermare il primato della persona prima del suo essere sessuato ed è difficile percepire e percepir-si alla luce del Vangelo. Il rischio discriminatorio che l'omosessuale vive, talvolta, socialmente e ancora prima nel percepire se stesso alla luce di Cristo creano una dinamica di chiusura alla crescita e al trascendimento di sé; una dinamica di senso di colpa verso cui nasce solo un sentimento di difesa e di rabbia: perché io? Paradossalmente sappiamo che quella che può essere un punto di debolezza può aprire, evangelicamente, in Cristo, ad un punto di forza; ad una coscienza di sé migliore, ad un maggiore servizio dei fratelli. Anche l'omosessuale ha dunque, evangelicamente una risposta, una vocazione, una chiamata sociale. La chiamata che Cristo fa nella Chiesa a vivere la Castità in una forma del tutto particolare può diventare fonte di estrema ricchezza e di realizzazione di sé. Quella alla Castità non è certo una risposta generalizzata ma deve trovare nella collocazione di una storia personale, il "quid" esistenziale perché ciascun omosessuale la viva con particolare fantasia nello Spirito nel primato della sua persona aperta all'alterità e alla fecondità. Omosessualità e Chiesa: La risposta pastorale Come risposta pastorale a quanto finora detto portiamo la citazione di un sacerdote francese, Daniel Ange, che da anni lavora in prima linea verso i fratelli e le sorelle omosessuali: ".. Oso , dunque, semplicemente chiederti di non farne dei colpevoli né degli eroi, ma di riconoscerli - come chiunque tra noi - veri figli di Dio.. Peccatori come tutti, chiamati come tutti a diventare santi. In breve: né incolparli né discolparli, ma con-patire e guarire. Né riderne né approvare, ma accogliere e sostenere. Né distruggere né applaudire, ma costruire e far maturare. Né accusare né legittimare, ma aiutare e servire. Amare, amare, amare. Amare tutto nell'omosessuale: fino al punto di non avallare la sua omosessualità." Aggiungiamo queste preziose indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede che potrete trovare in calce per intero: "... Scegliere un'attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L'attività omosessuale non esprime un'unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un'esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l'essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un'attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall'autocompiacimento. ... Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo. Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di autorinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell'abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio. Si celebra veramente il mistero pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell'obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell'amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell'autorinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di autodonazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli. Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela." - Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1°-10-1986 (7.12) - Persona Humana Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1°-10-1986 Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, in L'Osservatore Romano, del 24-7-1992 Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessualiFamiglia, Matrimonio e unioni di fatto ISTRUZIONE circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali -- *Io sono Amore*
OMOSESSUALITA': PSICOLOGIA DELLA RELAZIONE E LA RISPOSTA PASTORALE DELLA CHIESA
Ciascuno di noi fa, nel tempo, una scoperta che allo stesso tempo è bellissima e drammatica. Io mi percepisco come punto chiaro e definito di approccio alla realtà e alle cose, vedo con i miei occhi, percepisco con i miei sensi, rifletto con la mia testa. Tuttavia allo stesso tempo percepisco che io stesso sfuggo a me stesso alla comprensione della mia realtà personale. Sono per me stesso un mistero un qualcosa di chiaro e allo stesso tempo inafferrabile. Con diritto posso dire io sono io.. ma allo stesso tempo io non sono io. Questa percezione duplice di sé apre al reale e cioè al senso del limite. Quel limite prezioso che suscita la altrettanto preziosa solitudine.. qualunque sia la mia vocazione di vergine o di coniugato. Nessuno ne è esente. Proprio quella percezione del limite che non è cara ai cartesiani che confondono il percepito con l'ontologico e che chiudono l'essere alla trascendenza di sé. Infatti la preziosa solitudine apre ad altro da sé, a quel bisogno ontologico di posseder-si visto che in definitiva nessuno si possiede; questo è il fondamento di ogni autentica esperienza religiosa ben lontana da ogni fondamentalismo che cerca di incastonare l'essere nelle regole siano esse religiose o laiche. Anche i comandamenti di Dio e la legge di Cristo rispettano, necessariamente, questa solitudine dell'essere affinché si trascenda; la legge di Dio è mistero, perché pur essendo chiara necessita di affrontare la solitudine ed il vuoto, necessita di ascolto e di trascendenza; quello che chiamiamo con una parola "Conversione"! La solitudine, come compagna drammatica e bellissima dell'esistenza può ovviamente avere due risvolti: o giocare sulla scommessa e portare l'essere dell'uomo a dischiudersi verso altro da sé oppure chiuderlo nella paura di un radicale narcisismo. La struttura epocale narcisistica ed edonistica non facilita l'uomo sicuramente verso un cammino di vita ma lo chiude in un omeostatico sguardo su se stesso. E' il dramma di tante coppie che non "rischiano" nella solitudine di incontrare l'altro nell'Altro che è Dio ma si chiudono in un perpetuo convivere narcisistico. L'omosessuale vive con ancora più drammaticità questo essere un quesito per se stesso, forse grazie alla sua sensibilità e, purtroppo in tanti casi, rifiuta di comprender-si e di avere risposte e si chiude all'unica vera battaglia della crescita di sé verso una dimensione squisitamente narcisistica dell'esistenza. L'omosessuale non cerca l'altro da sé per comprendere se medesimo ma cerca l'uguale per trovare conferma del vuoto che porta dentro. Difficile ammettere a se medesimi questa sconfitta per cui ecco nascere con rabbia l'orgoglio omosessuale, la sempre più spesso falsa coscienza civile di essere "vittima", il bisogno di affermare se stessi come polo sessuale alternativo. Davanti a chi ha messo in barca i remi della battaglia nella conoscenza di sé è difficile ragionare perché vive perennemente sulla difensiva. E chi vive sulla difensiva è aggressivo. E' un cammino a circuito chiuso perché più l'omosessuale non trova risposte più si aliena nella ricerca di sé nell'uguale e così facendo aumenta il suo stesso baratro di auto-comprensione. Questa drammatica dinamica suicida ci interpella innanzitutto nell'entrare anche noi a piene mani nel vuoto che portiamo dentro e scoprire la luce di speranza che Cristo vi ha acceso e portarla con la stessa gratuità con cui l'abbiamo ricevuta ai nostri fratelli e sorelle omosessuali per capire il senso profondo della propria vocazione nel mondo. Seguire Cristo vuol dire entrare nel dramma dell'esistenza e farsi discepoli e servi dell'altro, qualunque sia la sua connotazione sociale. Vuol dire scoprire insieme il primato ontologico della persona ed aiutare chi ci è accanto al grande viaggio dell'uscire fuori da sé. Anche per questo motivo non ci può essere una "famiglia omosessuale" essa genererebbe, pur non volendo, pur in buona fede, una mostruosità pedagogica ed educativa verso l'equilibrio psico-affettivo del bambino. La cattiva educazione di tanti figli non dipende dall'istituzione di famiglia eterosessuale in quanto istituzione sbagliata o fallimentare ma in quanto composta da genitori immaturi. Tuttavia essa è l'unica via di salute psichica e di fecondità. La riproduzione sessuata, infatti, non è solo fisica ma anche psicologica e spirituale. Di fatto poiché non esiste in natura il terzo sesso in grado di riprodursi la ricerca scientifica e psicologica, illuminata dalla Rivelazione Cristiana, deve essere libera di poter studiare le cause della genesi dell'omosessualità per aiutare i fratelli e le persone omosessuali ad un cammino di autocoscienza e di comportamento più idoneo con la finalità della natura umana e del suo profondo significato sessuale. L'omosessuale non è un "appestato" ma un malato di senso e di solitudine come ciascuno di noi; e come ciascuno di noi attende delle risposte per il suo cammino. Anche qualora ci sia nell'omosessuale una inclinazione "innata" è solo fornendo dei parametri corretti a livello di figure genitoriali che esso può uscire dal circolo vizioso di non risponder-si alla risposta di sé e alla solitudine esistenziale e aprirsi in maniera feconda all'alterità sessuale nell'Alterità per eccellenza che e Dio. Certo questo comporta fatica sia personale che sociale, poiché è difficile affermare il primato della persona prima del suo essere sessuato ed è difficile percepire e percepir-si alla luce del Vangelo. Il rischio discriminatorio che l'omosessuale vive, talvolta, socialmente e ancora prima nel percepire se stesso alla luce di Cristo creano una dinamica di chiusura alla crescita e al trascendimento di sé; una dinamica di senso di colpa verso cui nasce solo un sentimento di difesa e di rabbia: perché io? Paradossalmente sappiamo che quella che può essere un punto di debolezza può aprire, evangelicamente, in Cristo, ad un punto di forza; ad una coscienza di sé migliore, ad un maggiore servizio dei fratelli. Anche l'omosessuale ha dunque, evangelicamente una risposta, una vocazione, una chiamata sociale. La chiamata che Cristo fa nella Chiesa a vivere la Castità in una forma del tutto particolare può diventare fonte di estrema ricchezza e di realizzazione di sé. Quella alla Castità non è certo una risposta generalizzata ma deve trovare nella collocazione di una storia personale, il "quid" esistenziale perché ciascun omosessuale la viva con particolare fantasia nello Spirito nel primato della sua persona aperta all'alterità e alla fecondità. Omosessualità e Chiesa: La risposta pastorale Come risposta pastorale a quanto finora detto portiamo la citazione di un sacerdote francese, Daniel Ange, che da anni lavora in prima linea verso i fratelli e le sorelle omosessuali: ".. Oso , dunque, semplicemente chiederti di non farne dei colpevoli né degli eroi, ma di riconoscerli - come chiunque tra noi - veri figli di Dio.. Peccatori come tutti, chiamati come tutti a diventare santi. In breve: né incolparli né discolparli, ma con-patire e guarire. Né riderne né approvare, ma accogliere e sostenere. Né distruggere né applaudire, ma costruire e far maturare. Né accusare né legittimare, ma aiutare e servire. Amare, amare, amare. Amare tutto nell'omosessuale: fino al punto di non avallare la sua omosessualità." Aggiungiamo queste preziose indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede che potrete trovare in calce per intero: "... Scegliere un'attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L'attività omosessuale non esprime un'unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un'esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l'essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un'attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall'autocompiacimento. ... Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo. Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di autorinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell'abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio. Si celebra veramente il mistero pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell'obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell'amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell'autorinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di autodonazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli. Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela." - Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1°-10-1986 (7.12) - Persona Humana Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1°-10-1986 Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, in L'Osservatore Romano, del 24-7-1992 Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessualiFamiglia, Matrimonio e unioni di fatto ISTRUZIONE circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali -- *Io sono Amore*