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IL PRESEPE NEL COMO': RACCONTO PROFETICO


Da anni oramai con buona pace di tutti, l’antica festa del Natale era diventata la festa degli inverni. Inverni al plurale, per non scontentare nessuno, perché ci sono luoghi dove l’inverno è freddo, altri dove splende il sole e pensare che l’inverno fosse unico per tutti, era sembrato poco corretto. Le vie e i negozi si riempivano di luci e lustrini, ma nessuno faceva più presepi pubblici e le canzoni natalizie con riferimento religioso erano state messe al bando, si suonavano melodie che parlavano di pace, fratellanza, amore per la natura e rispetto per gli animali. Resisteva in qualche casa, in qualche angolo appartato, un piccolo presepe, ma in genere si trattava di persone anziane, incapaci di accettare la modernità, erano piccoli vezzi, per fortuna destinati a finire con loro. Era caduta in disuso anche la tradizione dei pranzi di Natale in famiglia. Troppe le famiglie allargate, le persone che vivevano in paesi lontani o le convivenze ripetute, mettere insieme tutti senza scontentare nessuno era davvero un impegno gravoso, così si erano diffusi i 'party invernali'. Grandi pranzi a buffet nei saloni degli alberghi, dove tutti potevano servirsi da soli, evitando abilmente il contatto con consanguinei antipatici, ex mogli, ex suocere o cognate petulanti, chi veniva da lontano trovava in quei luoghi anche una stanza per la notte, c’erano poi degli ottimi servizi di nursery così i bambini erano tenuti occupati da personale specializzato. In alcuni luoghi c’era anche la Spa, sauna, massaggi, bagni termali, per l’occasione gli accappatoi erano rossi, le ciabattine di spugna verdi e le tisane offerte in bicchieri di vetro con il bordo oro. Per i regali esisteva un catalogo dove scegliere i doni, era offerto anche un servizio impeccabile 'tutto compreso' dove i doni scelti venivano recapitati al destinatario incartati e con un biglietto d'auguri con una frase di circostanza, era così evitato lo stress da compere. Quando calava la sera, sazi di cibo e di vino, tutti si scambiavano abbracci e auguri, si salutavano con la promessa di ritrovarsi l’anno seguente e se ne tornavano a casa o si fermavano in qualche bar per un ultimo bicchiere, mentre la città sembrava esplodere di luce e gli autobus elettrici procedevano silenziosi e luminosi da un capo all’altro della città. Le statistiche dicevano che questo modo di festeggiare gli inverni aveva allentato le tensioni familiari, ma inspiegabilmente in quei giorni aumentavano i suicidi, così molti ospedali fornivano consulenze psicologiche gratuite e numeri verdi a cui chiamare per cercare conforto, per esprimere il proprio disagio o l’insoddisfazione di cui era sconosciuta la causa. Quell’anno però si era abbattuta sul paese un’epidemia d’influenza, si accaniva su bambini e anziani, un giorno di febbre e una settimana di malessere, nulla di grave, ma molto contagiosa e fastidiosa, soprattutto in periodo di shopping e di pranzi invernali. Quella notte era scesa la neve, non molta, sembrava un lieve strato di zucchero a velo sulla città ancora addormentata, ai più anziani aveva risvegliato ricordi remoti, ai più giovani il desiderio di disertare il pranzo d’inverno per andare a buttarsi su qualche pista da sci. Era tutto pronto, tutto prenotato, ma molti dei bambini erano ammalati, che fare? La soluzione la trovò Irina, la badante della bisnonna Maria, a cui la mamma del piccolo Pietro stava raccontando di questa influenza pestilenziale. - I bambini signora, li porti da noi a me i bambini piacciono e anche alla bisnonna Maria, lo dica anche alle sue cognate, faranno Natale, cioè la festa degli inverni con noi, poi passerete a prenderli quando avrete terminato il pranzo. La bisnonna Maria era una vecchia maestra, aveva cresciuto intere generazioni di bambini, quando ancora si studiavano le tabelline, le fotocopie erano sconosciute e le ricerche si facevano sui libri delle enciclopedie. Non si era mai adattata ai pranzi invernali, continuava imperterrita a chiamare il 25 dicembre festa del Santo Natale, da quando l’artrite le impediva l’uso delle mani e le aveva curvato le spalle, lasciava che fosse Irina a fare i cappelletti in casa, e girare il cappone nel forno, non le piacevano i piatti pronti e almeno per il Santo Natale voleva mangiare come piaceva a lei. I ragazzi arrivarono vocianti e allegri, erano in cinque, Pietro, Paolo, Edoardo e le gemelle Ingrid e Greta, non erano particolarmente entusiasti di quel cambio di programma, ma portavano con sé una montagna di pacchetti da aprire, alcune diavolerie elettroniche con cui pensavano di passare il tempo, e delle vaschette con cibi precotti da mettere nel microonde nel caso i cappelletti e il cappone con le patate al forno non fossero stati di loro gradimento. Irina aveva preparato una bella tavola Natalizia, aveva steso una grande tovaglia bianca ricamata con il filo rosso, aveva usato i piatti di porcellana della festa, i bicchieri di cristallo e le posate delle occasioni speciali. Al centro della tavola stava la zuppiera colma di cappelletti in brodo fumanti e per non dispiacere gli ospiti aveva scaldato anche i cibi precotti che si erano portati da casa. - Ma si mangia nei piatti della festa e non nelle vaschette. Aveva stabilito perentoria la bisnonna Maria.Il pranzo era stato allegro, i bambini avevano apprezzato i cappelletti e anche il ripieno del cappone, Pietro era un buongustaio, Paolo invece aveva detto di preferire gli hamburger, Edoardo aveva mangiato anche gli avanzi nel piatto delle gemelle e le gemelle si erano ingozzate con il panettone e in un attimo di distrazione di Irina, a turno avevano bevuto un sorso di spumante dal bicchiere della nonna che aveva finto di non accorgersene. - Non moriranno certo per aver intinto la lingua nel vino, buon sangue non mente il loro bisnonno nel vino ci faceva il bagno, diceva che l’acqua fa arrugginire le giunture.Dopo pranzo i ragazzi avevano scartato i pacchetti, e un po’ annoiati avevano accatastato il loro contenuto su una poltrona. Pietro aveva dato l’assalto ai cioccolatini appesi all’albero, le gemelle che si aggiravano per casa incuriosite. C’erano foto alle pareti, vecchi diplomi e una libreria piena di libri e di oggetti, ognuno con una storia, una pietra poteva raccontare la storia di un viaggio che la bisnonna aveva fatto con suo marito, dietro a una piccola bottiglia di vetro piena di ghiaia colorata c’era la storia di un ex alunno che diventato uomo si era ricordato della sua vecchia maestra e le aveva fatto un dono. A un tratto Ingrid si accorse di una luce intermittente che veniva da un cassetto lasciato aperto, era un vecchio comò che da sempre stava in salotto. Si avvicinò e chiamò sua sorella, erano davvero stupite da quel piccolo paese illuminato che Irina e la nonna Maria avevano preparato all’interno del cassetto. C’era una capanna di cartapesta, un gregge di pecore e dei pastori, un taglialegna, un laghetto di carta stagnola dove stavano i cigni e tre cammelli al bordo del cassetto. Nella capanna un vecchio con la barba si reggeva a un bastone e una bella ragazza vestita d’azzurro guardava un bambino adagiato in una mangiatoia. - Cos’è? - chiese Ingrid - Sì, che paese è? – le fece eco Greta- E’ il presepe - disse la bisnonna Maria - Il presepe nel comò - rise Irina.Questo espediente permetteva loro di chiudere il cassetto quando arrivava il medico o l’assistente sociale, perché questi luminari erano fermamente convinti che quell’attaccamento al passato fosse segno di una decadenza senile e nonna Maria ad ogni visita mensile, rischiava il ricovero alla Casa di cura per gli over 90 e Irina di perdere il posto di lavoro. Le piccole erano affascinate da quelle lucine che si accendevano e si spegnevamo, attorno a quella rappresentazione di una strana famiglia. Sulla capanna brillava una stella con la coda, - il bambino come si chiama? – chiese Ingrid. Così, mentre un vecchio mangianastri ormai consunto diffondeva una canzone natalizia di quelle messe al bando nei luoghi pubblici, bisnonna Maria, seduta sulla sua poltrona, cominciò a raccontare di quando a Natale si andava nei fossi e lungo i campi a cercare muschio, piccoli pezzi di legno, e sassolini per allestire il presepe, e quando la notte si dormiva con un occhio aperto per attendere il Gesù che portava i doni. Le piccole distolsero l’attenzione dal cassetto e si misero a sedere sul divano con le gambe incrociate come piccoli indiani, poi arrivarono Paolo stanco di giocare col Nintendo, Pietro e anche Edoardo, e nonna Maria raccontò che il signore anziano si chiamava Giuseppe, e la donna vestita d’azzurro era la Vergine Maria e il Bambino si chiamava Gesù, la stella aveva avvisato i pastori che erano corsi a vedere con i loro occhi il prodigio, e così quando arrivarono i genitori a ritirare i pargoli, la storia era arrivata a malapena alla strage di Erode. Nonna Maria li baciò uno a uno sulla fronte, prima di uscire le gemelle vollero aprire il cassetto del comò per salutare Gesù bambino e accertarsi che la stella brillasse ancora. La bisnonna Maria le guardò uscire avvolte nel loro cappotto rosso, e sperò che il seme gettato, un giorno desse frutto. - culturacattolica -