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DUE GIGANTI DELLA FEDE E IL 900 IL SEGNO DEL BENE NELLA REALTÀ TOCCATA DAL MALE


Sembra quasi di vederli, Pacelli e Wojty­la, camminare oggi fianco a fianco sul­la strada verso la beatificazione. Per quegli strani (strani?) casi della storia, i percorsi delle rispettive cause, lunga, tormentata e controversa l’una, rapidissima quasi a fu­ror di popolo l’altra, hanno finito ieri per convergere nella firma che Benedetto XVI ha contemporaneamente apposto sui De­creti che ne riconoscono le 'virtù eroiche', primo passo verso la gloria degli altari. Due giganti, che a confronto con le tragiche e infinite contraddizioni del secolo forse più buio per l’umanità, seppero illuminarlo con la fiaccola della Verità. Non è giusto, e Papa Ratzinger l’ha nuova­mente sottolineato ieri parlando al Dica­stero per le Cause dei santi, leggere la san­tità in chiavi diverse da quella dell’'effica­cia del Vangelo'. E questo, ovviamente, va­le anche per Pio XII e Giovanni Paolo II. È tuttavia altrettanto vero che, proprio per l’essere Cristo il signore della storia, non si può scrutare l’itinerario dei due Servi di Dio che dentro le vicende di un Novecen­to di cui finirono con l’essere protagonisti assoluti. Opponendosi con tutte le loro for­ze, in ogni momento, a ogni forma di ne­gazione dell’uomo. Che si chiamassero fa­scismo, nazismo, comunismo, degenera­zioni ultime dell’idea statuale ottocente­sca, tragici colpi di coda di una concezio­ne della ragion di Stato alla quale, in nome dell’ideologia costitutiva, tutto può - e, al­la bisogna, deve - essere sacrificato. Op­pure relativismo, globalizzazione, coi loro opprimenti fardelli pieni di quel vuoto po­st- ideologico che ancora aspetta di essere colmato. Se dunque i santi, come ha detto ieri Be­nedetto XVI, sono una prova che «la pre­senza di Cristo nel mondo, creduta e ado­rata nella fede, è capace di trasfigurare la vita dell’uomo», Pacelli e Wojtyla rappre­sentano in questo senso, nel loro tempo, un esempio inequivoco, uguale e parallelo, della capacità del bene cristiano di incide­re su una realtà segnata dal male. Un mare di cose sono già state dette sul­l’argomento, e altri mari verranno detti. Ma oggi, forse, bastano due immagini a fissa­re quella 'capacità'. La prima è del 19 lu­glio del 1943, quando Pio XII arrivò nel quartiere romano di San Lorenzo appena bombardato dagli alleati, mentre ancora si cercavano i morti sotto le macerie. Il Papa che digiunava in segreto per condividere le privazioni del suo gregge, che aveva dato ordine di soccorrere «in ogni modo» gli e­brei ovunque perseguitati (fatto ancora di­scusso solo da chi ne vuole a tutti i costi di­scutere, non certo dalla verità storica) quel 19 luglio scese tra la sua gente. Un gesto tanto semplice quanto impensabile, che trasformò quel giorno disperato: «Davve­ro vedemmo Cristo tra noi», ha ricordato una volta il cardinale Fiorenzo Angelini, che all’epoca era parroco e fu testimone del fatto. La seconda immagine, separata dalla pri­ma da quasi cinquant’anni, è del 23 giu­gno del 1996. E ci mostra Giovanni Paolo II che, col suo passo già tanto affaticato, var­ca la Porta di Brandeburgo. Il Muro era crol­lato appena da sette anni, ma la sbornia dell’illusione di essere al capolinea di una nuova età dell’oro era passata da un pez­zo, cancellata brutalmente dalle crudeltà a­troci dei rinascenti nazionalismi, dall’ini­zio dell’abbandono che trascinava in bas­so il Sud del mondo, da quel «vivere come se Dio non esistesse» che - diceva il Papa ­rappresentava un male ben peggiore, per­ché più subdolo, dell’ateismo. Nel silenzio di quel piovigginoso pomeriggio berlinese, prima che esplodesse l’applauso, furono gli occhi di tutto il mondo a riconoscere in quell’uomo divenuto debole, che da quel­l’ubriacatura aveva messo in guardia fin da quando la polvere del Muro non s’era an­cora del tutto posata, la forza invincibile della profezia cristiana. Due immagini che davvero declinano quanto detto ieri da Benedetto XVI: «La santità, cioè la trasfigurazione delle perso­ne e delle realtà umane a immagine del Cri­sto risorto, rappresenta lo scopo ultimo del piano di salvezza divina». Chissà, ora che camminano fianco a fianco, Pacelli e Wojty­la è di questo che parlano. - Salvatore Mazza - Avvenire -