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IL NATALE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA


"Ho trascorso quasi tutti i Natali della mia vita insieme a dei bambini orfani. Stando con loro, mi sentivo vicina a Gesù". Così mi disse un giorno Madre Teresa di Calcutta. Nella mia lunga carriera di giornalista ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare diverse volte questa piccola grande suora, che ad appena nove anni dalla sua morte è già stata proclamata beata. Nelle interviste parlava sempre dei suoi bambini e del Natale, "il più grande evento cosmico della storia", diceva. Mi raccontò che era stata sua madre ad abituarla a stare con i bambini poveri nei giorni di festa. "Ogni domenica nostra madre ci accompagnava in qualche famiglia povera della città perché portassimo cibo e qualche indumento", mi ha raccontato. "E il giorno di Natale andavamo dalle famiglie più indigenti. Ricordo che c’era una povera vedova che viveva con i suoi sette figli, quasi tutti piccoli, in una stanza buia e sporca. Mi si spezzava il cuore quando andavamo a trovarla e vedevamo quelle povere creature, ammucchiate su un unico grande letto, che era una specie di giaciglio dalle coperte unte e logore. Una stanza sola per otto creature, con un buco per cucina e senza neppure il gabinetto. E la mamma ci diceva che anche Gesù era nato nella più squallida povertà, in una stalla peggio di quella stanza. E io piangevo ascoltando quelle parole". Madre Teresa apparteneva a una famiglia benestante. Suo padre era un impresario edile. A Skopie viveva in una villa confortevole, ma crebbe, per volere dei suoi genitori, sempre a contatto con la povera gente. Si fece suora per dedicarsi ai poveri. Ma l’Istituto religioso nel quale era entrata, "Suore di Nostra Signora di Loreto", pur lavorando in terra di missione, si interessava di educazione e di insegnamento. Per 18 anni madre Teresa fece la professoressa, ma poi, come raccontava lei, "ebbi una seconda chiamata. Gesù mi fece capire che dovevo dedicarmi ai più poveri tra i poveri". Lasciò l’Istituto delle Suore di Loreto e iniziò un nuovo cammino. "Nell’estate del 1948 - mi raccontò - ottenni il permesso dal papa Pio XII, lasciai il convento e andai a fare un corso di infermiera per poter essere in grado di assistere con maggior efficienza i poveri. Volli iniziare la mia nuova missione il giorno di Natale 1948. Scelsi il Natale perché rappresenta l’essenza della nostra fede. È il simbolo della sofferenza e insieme del trionfo dell’umanità, dell’uomo, come figlio di Dio. Sofferenza, costituita dalla nascita, dal venire in questo mondo di esilio e di prove; trionfo, perché Gesù, facendosi uomo, ha salvato l’umanità, ha vinto la morte ed ha regalato la risurrezione. "La mattina di quel 25 dicembre 1948, dopo aver assistito alla Messa andai a visitare l’unico ‘slum’, cioè l’unica baraccopoli che conoscevo, quella di Motijhil, una località vicina all’edificio della scuola dove per tanti anni avevo insegnato. In quello slum per tanto tempo avevo mandato le mie allieve a portare i regali di Natale che io preparavo per dei bambini poveri che non conoscevo. Ora, finalmente, potevo andarci di persona da quei bambini. Potevo celebrare il Natale a contatto ‘reale’ con Gesù che vive nei poveri. Per tutto quel giorno di festa rimasi a Motijhil, a fraternizzare con le mamme e giocare con i bambini. Ero talmente felice che dimenticai di non avere un luogo dove andare a dormire. Così, a sera, cominciai a cercare un alloggio e mi sembrava di vivere l’avventura della Madonna incinta che non trovava posto in albergo e finì in una stalla, dove diede alla luce Gesù. Io, a notte fonda ormai, riuscii a trovare una donna che mi affittò una misera capanna per cinque rupie al mese. Il giorno dopo, in quella capanna iniziai a far scuola a cinque bambini. I miei primi bambini. Nella capanna non c’erano né tavolo, né sedie, né lavagna. Con un bastoncino tracciavo i segni dell’alfabeto sul pavimento di terra e così insegnavo. Tre giorni dopo quei cinque bambini erano diventati 25 e prima della fine dell’anno erano 41. In seguito su quel luogo costruii una scuola che occupa ora 500 bambini. Da allora - concluse madre Teresa -, ogni anno a Natale io festeggio l’inizio della mia opera". Mons. Pavel Hnilica, vescovo cecoslovacco, grande amico e collaboratore di Madre Teresa, mi ha raccontato: "Ho trascorso diversi Natali con Madre Teresa. Ma ne ricordo uno in particolare. Ero in India, a Calcutta. La Madre mi invitò a cena la sera del 24 dicembre, vigilia di Natale, per festeggiare insieme a lei e alle sue consorelle. Una cena povera, quasi misera, come è consuetudine per le Missionarie della Carità, ma ricca di affetto, di gioia, di fraternità. L’atmosfera era così cordiale, che ci si dimenticava quasi di mangiare. Ad un certo momento sentimmo bussare alla porta. Una delle suore andò a vedere e tornò portando un cesto coperto da un drappo. ‘Me lo ha dato una donna che è subito andata via’, disse. E portando il cesto a Madre Teresa aggiunse: ‘Sarà una benefattrice che ha voluto regalarci un po’ di cibo per Natale’. Madre Teresa tolse il drappo e i suoi occhi si illuminarono. ‘È arrivato Gesù’, disse con un bellissimo sorriso. Le suore corsero a vedere. Nel cesto c’era un bambino di pochi giorni che dormiva. Era un bambino abbandonato. Quella donna che lo aveva portato, forse la madre, non lo voleva tenere e lo aveva affidato alle suore. Una scena che si ripeteva con frequenze a Calcutta. La suore lanciavano grida di gioia e si stringevano a quel cesto, intenerite dal bambino addormentato. Le loro grida lo svegliarono e il piccolo si mise a piangere. Madre Teresa lo prese tra le sue braccia, sorrideva e aveva nello stesso tempo le lacrime agli occhi. ‘Ecco, ora possiamo dire che il nostro Natale è veramente completo, vero’, disse. ‘Gesù bambino è venuto tra di noi. Dobbiamo ringraziare Dio di questo meraviglioso regalo’". - Renzo Allegri - *Io sono Amore*