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MIGRANTE FILIPPINA IN ARABIA SAUDITA: SFRUTTATA E DERISA PER LA SUA FEDE


“La mia vita in Arabia Saudita è stata come una prigione e l’angoscia di quei momenti è stata insopportabile”. È quanto racconta Norma Caldera, collaboratrice domestica filippina emigrata per lavoro in Arabia Saudita e fuggita dopo sette mesi  di continui soprusi dovuti alla sua fede cattolica. “Ogni giorno mi alzavo presto per pregare – continua – e ogni volta che i colleghi e i datori di lavoro mi vedevano pregare iniziavano a insultarmi e deridermi per la mia fede cristiana”. Come altri 10milioni di filippini, Norma è stata costretta a lasciare il suo Paese per cercare lavoro all’estero. Per 17 anni ha lavorato ad Hong Kong, ma la crisi l’ha costretta di nuovo a partire per recarsi in Arabia Saudita a lavorare come domestica in una famiglia. Nel Paese Arabo lavorano circa 200mila filippini. Questi oltre a essere sfruttati e mal pagati, subiscono violenze verbali e fisiche a causa della  fede cristiana. L’ultimo caso riguarda una ragazza, Sylviana Hugilon Basera, morta in circostanze misteriose. Finora le autorità saudite hanno rifiutato di fornire spiegazioni sulla sua morte e di restituire alla famiglia la salma che giace da mesi in un obitorio. “Quando ho detto ai miei datori di lavoro che ero cattolica e che volevo morire cattolica, la prima cosa che hanno fatto è stata abbassarmi lo stipendio da 1000 euro a 700”, racconta  Norma. “Durante il Ramadan – continua –  mi hanno costretto a digiunare insieme a loro. Per me era difficile lavorare con gli stessi ritmi senza poter mangiare . Ma purtroppo non avevo scelta”. La donna aggiunge che nei sette mesi di lavoro non le è stato concesso di uscire, nemmeno per andare a messa la domenica. Inoltre lei non aveva una sua stanza o un letto dove dormire. L’unico luogo per riposare era il pavimento della cucina o una tenda piantata nel giardino di casa.  “Ho vissuto questa circostanza pregando e avendo fede in Dio – continua la donna - ero disposta a fare questo sacrificio per poter far studiare le mie due figlie”. Lo scorso 29 dicembre la donna ha fatto ritorno nelle Filippine, cinque mesi prima della scadenza del contratto. Norma dice che ora tenterà di trovare un impiego in patria oppure in un altro Paese non islamico. di Santosh Digal (AsiaNews) Migranti cattolici filippini, testimoni della fede nei Paesi islamici “Mi sto recando a Riyadh in Arabia Saudita per lavorare come infermeria. Sono spaventata perché per due anni non potrò ricevere i sacramenti e assistere alla messa”. È quanto racconta ad AsiaNews Radika Canlas, ragazza cattolica filippina di 23 anni costretta a cercare lavoro nel Paese arabo dove vige l’islam radicale del wahabismo. Ella aggiunge che nonostante l’impossibilità di professare la sua religione cercherà di “testimoniare la fede” attraverso il suo lavoro. “La mia fede cattolica è molto importante, ma non ho avuto scelta a causa delle difficoltà economiche. Ci sono poche possibilità di lavoro nel mio Paese”, afferma Radika che in attesa di partire alla volta di Riyadh si è recata in una chiesa di Manila per confessarsi e prendere la sua ultima messa. Lei dice che durante il lavoro a Riydah “le  preghiere personali, la recita del rosario e la lettura quotidiana della parola di Dio saranno la mia unica forza e il mio unico contatto con Gesù”.  In Arabia Saudita vivono e lavorano circa 8,8 milioni di stranieri, i cattolici sono circa 900mila molti dei quali filippini. Nel Paese non vi è libertà religiosa e vige il divieto di portare  simboli religiosi, di pregare in pubblico e in privato. I non islamici devono anche attenersi alle regole e tradizioni dell’islam come il Ramadan. La situazione si complica per le donne straniere impiegate soprattutto nella pulizia degli ospedali, costrette a vivere in uno stato di semireclusione chiuse durante il tempo libero in dormitori e lavorando sei giorni a settimana, 12 ore al giorno, fino al termine del contratto di lavoro. Nonostante questo rischio, Radika dice di essere desiderosa di comprendere altre culture e tradizioni e di instaurare un buon rapporto con gli altri migranti filippini già residenti in Arabia Saudita. “Essendo nata e cresciuta in un Paese cattolico, è per me una sfida pensare di poter vivere in un Paese di cultura islamica”, afferma la giovane, e aggiunge che “ tutto ciò è per me un modo per apprezzare ancora di più il mio credo e comprendere e rispettare le altre religioni. Devo preparare la mia mente e il mio cuore in modo da poter vivere in un ambiente multi religioso”. Nella Filippine il salario mensile di un’infermeria è di circa 20mila pesos (280 euro) troppo basso per poter vivere. All’estero  esso può giungere sino a 2mila euro. Secondo la Conferenza episcopale filippina  lasciano il Paese circa duemila persone al giorno che si aggiungono agli oltre 10milioni di lavoratori già all’estero. In questa situazione i vescovi  esortano da anni il governo a impegnarsi per offrire maggiori opportunità lavorative all’interno del Paese. La Chiesa è attiva nell’aiuto ai migranti sin dal 1955. Essa opera attraverso la Commissione per la cura dei migranti e dei viaggiatori (Ecmi) che offre un aiuto alle persone emigrate nel Paese dove in cui lavorano. Considerandoli i “missionari dell’era moderna” la Conferenza episcopale esorta inoltre i migranti ad essere testimoni della loro fede cristiana nel luogo in cui lavorano. Il responsabile dei lavoratori migranti residenti in Europa e Medio oriente , mons. Precioso Cantillas, ha affermato che “i filippini emigrati all’estero sono colpiti  dalla crisi globale. Essi stanno lottando per salvare i loro risparmi e tentano di mantenere tra di loro uno spirito nazionale”. Il segretario dell’Ecmi, padre Edwin Corros, ritiene necessario aumentare il sostegno della Chiesa ai migranti nominando più cappellani in Medio oriente ed Europa. Intanto la presenza nelle Filippine di circa 20milioni di disoccupati nel solo 2009, fa crescere il numero dei migranti. (AsiaNews)